Joker: analisi psicologica della risata compulsiva di Arthur Fleck

In Joker di Todd Phillips, Arthur Fleck è un aspirante comico, ironicamente afflitto da una non meglio specificata sofferenza psichica il cui sintomo più evidente è una risata patologica.

Uno sghignazzo incontrollato e delirante, dal suono ilare ma dissonante rispetto all’espressione del volto, afflitto da un misto di terrore e rassegnata disperazione: questa la descrizione più immediata della risata del Joker di Joaquin Phoenix, in un film guidato dal personaggio in cui il principale mezzo per esprimere la gioia diviene simbolo di una sofferenza inenarrabile.

Nel film di Todd Phillips, Arthur Fleck è un aspirante comico, ironicamente afflitto da una non meglio specificata sofferenza psichica il cui sintomo più evidente è una risata patologica, il cui stimolo – cioè – sopraggiunge in contesti inappropriati, spinta dal disagio emotivo e dal relativo stato di agitazione. Arthur si ritrova così a scoppiare a ridere in modo incontrollato su un autobus, durante una conversazione seria, o dopo aver ricevuto una notizia negativa, suscitando le reazioni indignate e talvolta violente delle persone attorno a lui, nonostante l’uomo sia abituato a mostrare prontamente un biglietto in cui spiega la sua condizione.

Joker, cinematographe.it

Una vita vissuta dunque all’insegna dell’imparare a far ridere, evitando di ridere, lavorando da clown in attesa di raccogliere materiale sufficiente per poter mettere in scena uno spettacolo, per il quale sono necessarie – tuttavia – battute originali, difficili da reperire per un uomo mentalmente compromesso, che sembra non comprendere le dinamiche umoristiche dell’umanità che lo circonda.
Arthur è un uomo abituato da sempre ad essere attaccato e bullizzato per la sua innocua condizione psichica che fa sentire derise le persone, in una sorta di paradosso in cui viene punito perché ritenuto responsabile di qualcosa che in realtà subisce ogni giorno sulla propria pelle, a causa di una società superficiale e vuota che non riesce a vedere al di là dell’apparenza, opponendosi a tutto ciò che è diverso.
Ma – come dice lo stesso Joker – “il lato peggiore della malattia mentale è che la gente vorrebbe ti comportassi come se tu non l’avessi”: una frase che esprime tutta la solitudine esistenziale di un uomo rassegnato a non essere compreso, alla strenua ricerca di un’approvazione  (nella forma del far divertire) che sembra non arrivare mai.

joker, cinematographe

Arthur vive insieme all’anziana madre (che si rivelerà poi adottiva), accudendola amorevolmente in attesa che le sue lettere destinate all’aspirante sindaco di Gotham City – Thomas Wayne – ricevano risposta, e che la situazione in città torni ad un equilibrio.
La donna, affetta da delirio psicotico e disturbo narcisistico di personalità, è responsabile di aver fatto subire al figlio varie torture fisiche e psicologiche, affibbiandogli – per mascherarle –  il dissonante soprannome di Happy e spronandolo fin da piccolo a “mostrare una faccia felice“. Arthur è invece un uomo profondamente depresso, che ha trovato nel desiderio di diventare un comico una forma di catarsi, per liberare se stesso da un dolore emotivo costante dal quale non riesce ad avere tregua.
Vediamo ora quali sono le possibili origini psicopatologiche della risata complulsiva del protagonista di Joker:

Joker: quali sono le origini della risata patologica di Arthur Fleck? [SPOILER]

joker, cinematographe

La risata è una normale risposta emotiva a situazioni che suscitano gioia, divertimento o benessere, provocabile anche con la stimolazione di determinate aree corporee (solletico). Nasce dall’attivazione di specifiche aree cerebrali che si collegano a corrispondenti schemi motori, che coinvolgono sia la mimica facciale che la respirazione. I meccanismi che regolano la normale risposta emozionale della risata possono tuttavia risultare danneggiati, portando alla sua manifestazione patologica; può accadere in caso di patologie prettamente neurologiche (come demenza, ictus, tumori cerebrali, epilessia ecc.) o in presenza di disturbi psichiatrici (come il disturbo bipolare, la schizofrenia ecc., con quest’ultima che sembra in particolare fare al caso del Joker).
In alcuni casi, più rari, la risata patologica può essere l’esito di un importante trauma cranico (anche questo, descritto nel film in riferimento al protagonista, come già accennato vittima, durante l’infanzia, di varie sevizie) e portare anche alla perdita dei sensi per sincope, provocata da uno sbalzo nella pressione arteriosa (risata killer).

L’ipotetica diagnosi di Arthur Fleck

Joker, cinematographe.it

Joker, quindi, sembra vittima di una condizione psichiatrica composta da un importante disturbo del tono dell’umore (depressione maggiore) e da una forma di schizofrenia tale da non permettergli di avere un adeguato controllo sulla realtà circostante, confondendo fantasia con eventi concreti (come nel caso della relazione amorosa con la sua vicina di casa, che si rivelerà illusoria).
In più, Arthur Fleck sembra soffrire di un disturbo istrionico di personalità che lo rende poco obiettivo rispetto ai suoi effettivi talenti, sognando un’approvazione pubblica non proporzionata all’investimento e alle capacità personali. Un’approvazione che – come ennesima beffa – finirà per sopraggiungere proprio attraverso la derisione, di fronte a un pubblico che ride di lui, invece che per lui, in occasione dell’invito allo show di Murray Franklin.

Ma, al di là dell’inquadramento psicopatologico, il protagonista di Joker è innanzitutto un uomo profondamente solo, prima vittima e poi carnefice di una società che promuove l’isolamento del diverso e del meno avvantaggiato. Un preludio sufficiente a divenire il futuro nemico di Batman, date le origini altolocate del supereroe, qui esasperato dall’ipotesi di un’inaspettata parentela fra i due, che si rivela poi frutto del delirio della madre adottiva di Arthur, ma che contribuisce a seminare il germe di un’ostilità inestinguibile.
Un risentimento che solo il sangue e la morte riescono temporaneamente a sedare, come simboleggia la scena verso il finale del film, in cui l’uomo utilizza il sangue provocato dal violentissimo incidente nella volante della Polizia (dal quale esce miracolosamente salvo) per allargare il suo ormai raccapricciante sorriso rosso, finalmente libero dalla forzata adesione a un sistema che per primo non vuole accettarlo.