In linea con l’assassino: il finale del film di Joel Schumacher

Colin Farrell presta il volto a un protagonista bieco, dall'ambizione per niente elevata e da una forte inclinazione ad approfittare del prossimo in virtù delle sue mire.

Nel 2002 usciva nelle sale cinematografiche In linea con l’assassino, il diciassettesimo lungometraggio firmato da Joel Schumacher, il cui titolo originale è Phone Booth che senza dubbio incarna al meglio l’indole di questo thriller statico – per non dire immobile – eppure ricco di tensione e di cambi di prospettiva. Stuart è un uomo poco virtuoso: in lui prevale la volontà di essere superiore agli altri o quanto meno di apparire tale. Così, le sue giornate scorrono tra bugie, atteggiamenti ostili e finte risate. La sua ambizione, come prevedibile, gli fa aprire le porte alla possibilità di conquistare altre donne fuori dal suo matrimonio con Kelly. Proprio per questo Stuart si trova all’interno di una cabina telefonica nel momento in cui squilla il telefono: decidendo di rispondere, l’uomo non sa che mette in moto un processo che non gli permetterà più di vivere come aveva fatto fino a quel momento.

Nel finale di In Linea Con L’Assassino si svela la verità, capovolgendo la prospettiva del film

Colin Farrell presta il volto a un protagonista bieco, dall’ambizione per niente elevata e da una forte inclinazione ad approfittare del prossimo in virtù delle sue mire. L’obiettivo di sceneggiatori e regista era quello di impostare il film completamente all’interno della cabina telefonica e il risultato mette alla prova l’espressività dell’attore irlandese, che si dimostra all’altezza della situazione. La narrazione viene messa con apparente casualità, salvo poi scoprire che il cecchino appostato sul tetto che tiene sotto scacco l’arrivista protagonista conosce molto di lui. Ed è proprio nel finale che buona parte di questa verità si svela, fornendo una chiave di lettura capace di capovolgere, o comunque minare alle basi, la prospettiva finora perseguita dal film. La situazione diventa infatti una sorta di divino contrappasso che punisce Stuart per le sue scorrettezze passate. Il pericolo in ballo è molto grande e Stuart deve decidere, d’ora in poi, di rigare dritto per evitare che gli elementi veramente importanti della sua vita finiscano col pagare le conseguenze delle sue azioni.

In linea con l'assassino Cinematographe.it

Colin Farrell in una scena del film.

Al di là della tensione narrativa creata da In linea con l’assassino, raggiunta anche grazie all’utilizzo di riprese in tempo reale, il film si concede momento di tenera nostalgia retrò, a partire dalla stessa cabina telefonica (sarebbe impensabile e ben poco credibile che qualcuno risponda a un telefono pubblico che squilla) fino ad arrivare anche a un uso dello split screen così smaccato e irriverente. Il ritmo del film non cede mai il passo a momenti di stanchezza, nonostante l’iterazione di dialoghi e situazioni simili, ma si conclude con un finale che si pone in netto contrasto rispetto al resto del film, svoltando il senso di tutta la storia. I ruoli di buoni e cattivi si trovano all’improvviso messi in discussione: lo spietato killer diventa una sorta di padre dalle atroci risoluzioni, ma che agisce spinto dalla necessità di un bene superiore. La sua opera, si suppone, non si fermi all’approccio con Stuart, ma anzi sembra inarrestabile visto che il telefono della cabina torna a squillare nuovamente quando ancora l’uomo non è sceso dall’ambulanza. Chi lo segue nel ruolo di vittima e carnefice insieme è un altro uomo qualunque, esattamente come Stuart, e con molta probabilità si troverà di fronte al mostro che cela in se stesso. O forse no, perché di fatto agli spettatori non è dato sapere cosa succederà e lascia che le speculazioni e le ipotesi individuali guidino il pubblico verso la retta via, è proprio il caso di dirlo.