Il Filo Nascosto: Daniel Day-Lewis nell’ultima titanica interpretazione

Daniel Day-Lewis offre nel ruolo di Reynolds Woodcock ne Il filo nascosto un'interpretazione degna del suo grande talento, che si dirama tra la natura fragile dell'uomo e quella divina dell'artista. Un addio al mondo della recitazione indimenticabile

Il momento è arrivato, un altro attore se ne va. Nulla di drammatico, o quasi, ma uno dei più grandi interpreti che le ultime generazioni ci hanno offerto ha annunciato l’avvicinarsi del suo ritiro, la sua uscita dalle scene su un palco cinematografico che per anni lo ha accolto sapendo cosa avesse in cambio da offrire: un impareggiabile talento, un’abilità sconfinata nel perdersi tra le storie dei suoi personaggi. È il Daniel Day-Lewis dai tre premi Oscar a parlare, dell’imponente Lincoln di Steven Spielberg, il “Bill il Macellaio” di Gangs of New York di Martin Scorsese, il pittore e scrittore che con il suo piede sinistro non solo fece clamore, ma portò l’attore al suo primo riconoscimento da parte dell’Academy.

Un addio che passa prima dalle dichiarazioni per tramutarsi poi in un regalo grazie al suo ultimo lavoro, un dono che fa agli spettatori e all’affezionato regista Paul Thomas Anderson, ancora una volta deciso a reclutarlo per fare in modo che si sposti tra gli spazi delle sue opere. Un interprete incontenibile che si è fatto feticcio del cineasta per dare corpo ai suoi personaggi frastagliati. E con Il Filo Nascosto Daniel Day-Lewis incarna l’estro dell’artista Reynolds Woodcock in un film magistrale che racchiude la conflittualità tra l’essere uomo e l’essere esteta; che divide e unisce, sfinisce e fa continuamente rinascere.

Daniel Day-Lewis e Il Filo Nascosto –  Come cucirsi addosso un personaggio

il filo nascosto, cinematographe.it

Elegante e slanciato, l’anfitrione inglese contiene compostamente la grandezza dello stilista che si accinge ad interpretare, lasciando al contempo che questa riempi gli spazi della casa/studio rappresentata con raffinatezza metodica sulla totalità dello schermo. Camicia, pantaloni, giacche stirate, un uomo che ha confezionato su di sé l’abito più immacolato che possa essere cucito, per comprimere una furia interna che non può nascondersi dietro ogni singola fodera delle sue meravigliose creazioni. Perché il Reynolds Woodcock di Daniel Day-Lewis cela un segreto, come i vestiti che fabbrica e in cui lascia dentro tutte le volte qualcosa che gli appartiene.

L’haute couture acquista con Day-Lewis un ideatore di sogni austero, capace di riservare il suo amore soltanto alle proprie invenzioni, un uomo assecondato nella vita da un affetto femminile che sempre gli è stato accanto e che in cambio non ha mai preteso niente: una madre defunta che vestì un abito da sposa cucito da un giovane Reynolds, una sorella complice, ma autorevole e in linea con le idiosincrasie di un eterno fanciullo. Ed è capricciosa l’esecuzione di questo protagonista perché capricciosa è la sua indole. Idolatrato, Daniel Day-Lewis rappresenta la visione che Reynolds Woodcock ha di se stesso, del proprio modo di essere, ma ancora di più la maniera in cui ha necessità di essere visto e in cui desidera essere adorato.

Daniel Day-Lewis e come rimanere immortali nella storia del cinema

il filo nascosto colonna sonoraAmmirato come un Dio che esegue le proprie opere. Così l’attore riporta la natura del personaggio, rendendolo teso e scontroso nella sua fisionomia longilinea, un’irrequietezza che traspare tutta dalle rughe del proprio volto, pronto a sciogliersi nell’istante, a tratti agognato, di una vulnerabilità difficile da liberare. E nel suo binomio dell’artista come uomo e come divinità la recitazione di Daniel Day-Lewis si dirama: due registri che, nella loro reciproca compenetrazione, di volta in volta si sovrastano per far uscire ora l’arroganza del creatore, ora la fragilità dell’umano. Sciolto il tutto da un sorriso soltanto accennato, l’attore spazza via l’ombra dell’accuratezza, lavorativa e familiare, per mostrarsi soddisfatto o, ancor più, sereno. Un gesto della mano che scaccia via i tormenti, destinato a durare il tempo di un battito.

Chiudere con un’interpretazione similare la propria carriera significa rendersi immortale nel panorama della filmografia mondiale, più di quanto non lo sia già. Un personaggio che, attraverso la scrittura accurata di Paul Thomas Anderson (che si riflette sull’esistenza di Reynolds Woodcock), si presta ad una scintilla che solamente un gigante come Daniel Day-Lewis sarebbe riuscito ad accendere, con la svariata gamma di manie che riproduce. Un film e un attore protagonista che, fondendosi assieme, hanno deciso di incastonare un loro personale pilastro nella storia della settima arte.

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