Guillermo Del Toro: il regista della trasformazione

La ricca filmografia del regista è piena di richiami alla trasformazione, fisica e mentale, in un mondo dai contorni neri e fiabeschi.

Guillermo del Toro è tornato, recentemente e giustamente, a far parlare di sé con l’uscita della serie Cabinet Of Curiosities, su Netflix, dove fa da anfitrione (un pò come Alfred Hitchcock con la sua celebre serie) a storie horror dirette da altri talentuosi autori; e per il suo Pinocchio, visionario e diversissimo, passato dalla sala e disponibile sempre sulla piattaforma della N rossa dall’8 dicembre 2022.

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Ma la sua carriera è un continuo brillare di opere come piccole esplosioni, simili ad epifanie, con le quali travalica continuamente i confini (del genere, dei generi) trasformando letteralmente la materia che decide di modellare a secondo delle sue ossessioni.

Non è ovviamente un caso se nell’infanzia ha letto Lovecraft, il genio di Providence che probabilmente ha aperto nella mente di un adolescente – avido lettore di fumetti e appassionato dell’occulto – nuovi, spaventosi mondi nei quali far maturare la sua visione poetica.

Gli inizi di Guillermo Del Toro con Cronos

Perché fin dal 1993, anno in cui esce Cronos, Del Toro dimostra di avere già ben chiari gli elementi che contraddistingueranno la sua filmografia, ovvero l’amore per gli artefatti antichi, la maniacale cura per le scenografie e, sopra ogni cosa, la trasformazione dell’umano in subumano in ogni suo aspetto (letterale, letterario, politico e metaforico).

Cos’è infatti, se non una dichiarazione di intenti, mettere al centro della propria storia un alchimista di nome Umberto Fulcanelli?
Come per Argento, come per Avati, anche per Del Toro Fulcanelli, pseudonimo di un autore di libri di alchimia del XX secolo, la cui identità non è mai stata accertata, che fin dal nome (formato da Vulcano ed Helio, due elementi che rimandano ai fuochi alchemici) riecheggia la trasformazione prodigiosa, il passaggio da uno stato ad un altro.

In Cronos, quando il protagonista inizia il restauro di un marchingegno dorato, inizia parallelamente una trasformazione fisica: taglia i baffi, ringiovanisce, adotta un atteggiamento diverso anche con la moglie, diventando dipendente dal contatto con la materia oscura dell’oggetto.

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I mostruosi scarafaggi di Mimic e La guerra della spina del diavolo

Similmente, Mimic (del 1997) racconta della mutazione di alcuni enormi scarafaggi in esseri antropomorfi, con lo stesso meccanismo biologico escogitato da alcuni predatori per ingannare le prede: è però con La Spina Del Diavolo, del 2001, che la poetica del regista assume forme stilistiche più compiute modellandosi nella sua forma definitiva, assumendo quindi le sembianze di una favola nera che traslittera nell’allegoria politica.

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Perché l’abilità massima di Guillermo Del Toro è proprio quella di rendere chiaro come il classico (inteso come mostro, come leggenda, come Storia) non è di per sé intoccabile, contenendo un nucleo emotivo che non ha termini assoluti di moralità.

Con La Spina Del Diavolo Guillermo Del Toro parte dall’analisi politica per trasformare il discorso in una fiaba fantastica, con un’essenzialità di esecuzione e una entusiastica visceralità che rendono la materia narrativa, di suo non proprio originale o nuova, viva e pulsante.

Il film prosegue il cammino oscuro preconizzato dai due film precedenti, ma sa farsi ancora più intimo dove la semplicità dello sfondo è solo lo specchio di profondità ben più vaste. perchè al centro del film, intrecciata con la guerra civile franchista, c’è la trasformazione suprema e assoluta, quella più dolorosa, la più impervia, eppure la più inevitabile: il passaggio dall’infanzia all’età adulta.

Un passaggio che è un po’ il punto focale di tutto il suo universo artistico, la pietra angolare delle sue storie nerissime che non per niente assumono quasi sempre il tono della fiaba dark.

Ecco perché il discorso de La Spina continua con Il Labirinto del Fauno, film del 2006 con cui l’opera precedente forma una sorta di dialogia spuria. Il mondo ricreato dal regista è inghiottito definitivamente da un’oscurità portatrice di quel senso di vertigine e di vuoto tipico dell’adolescenza, quando le coordinate emotive e sociali vengono sovvertite e anche il corpo -in incessante mutazione- sembra essere una terra straniera.

L’ambientazione de Il Labirinto del fauno, film visionario e allegorico, sembra uscire dalle “pitture nere” di Goya: anche se tutto avviene nella mente della ragazza protagonista, ma al tempo stesso intorno a lei.

Ogni dettaglio dello spaventoso arabesco di morte e rinascita è un riflesso della sua vita reale: e il percorso della giovane Ofelia sarà costellato dai dolori della crescita, per comprendere che diventare adulti vuol dire affrontare la realtà (dalla quale è impossibile fuggire) in ogni suo aspetto più crudo e doloroso.

La realtà e la fiaba in La forma dell’acqua

Rivelatrice, in questo senso, una frase dello stesso Guillermo: “quando le persone mi dicono ‘oh, la fantasia è una grande via di fuga’, io sono solito rispondere ‘non credo. La fantasia è un grande modo per decifrare la realtà’”. È in questo modo che il regista rielabora e rende personale, e poeticamente coerente, i materiali più differenti, dalla pittura alla scultura, dalla letteratura all fumetto, dal cinema d’autore ai b-movie.

La Forma Dell’Acqua, il suo capolavoro del 2017, si rivolge quindi al passato seguendo un sentiero che parte sempre dalla Storia, questa volta la Guerra Fredda, così da decrittarla attraverso gli strumenti della fantasia.

Nel racconto, Elisa è una donna delle pulizie che apparentemente è l’ultima ruota del carro di una società maschilista, omofoba, razzista, accecata dai pregiudizi: ma è anche una donna forte e indipendente, che con la sua forza da outsider mostrerà una prospettiva che deraglia la chiusura del mondo reale.

Da Cronos al Labirinto Del Fauno, fino a La Spina Del Diavolo e Crimson Peak e quindi La Forma Dell’Acqua, il Tempo è il tiranno che governa il mondo, e costringe gli uomini alla crescita, alla mutazione, alla trasformazione.

Tutti i personaggi dei mondi immaginati di Guillermo Del Toro, conseguentemente, tentano di compensare questa paura (che nasconde quella della morte) cercando di fermarlo, il Tempo, attraverso la scoperta di una realtà altra. La fantasia e la realtà, allora, dialogano sempre, senza sosta, e questa frattura tutto è possibile. In uno spazio senza tempo chiamato Cinema.