Dario Argento compie 80 anni. La carriera del maestro del brivido all’italiana tra sospiri e inferno

Il maestro del brivido compie 80 anni. Ripercorriamo la sua carriera, dai grandi successi fino a oggi.

Urla e paura. Terrore e sangue. Queste sono le linee guida del cinema di Dario Argento, uno dei più noti e importanti maestri del thriller italiano, nato a Roma il 7 Settembre 1940, figlio del siciliano Salvatore Argento, ex partigiano di Giustizia e Libertà, produttore cinematografico per la Unitalia Film, e della brasiliana Elda Luxardo, prima fotografa di moda e di cinema del dopoguerra (ha fotografato Marcello Mastroianni, Gina Lollobrigida, Sophia Loren e Claudia Cardinale). Suo fratello, Claudio, è un noto pubblicitario che ha collaborato con molte case di produzione statunitensi.

Argento con il suo cinema eccessivo, eccentrico e violento, è stato in grado di costruire un suo linguaggio, una sua grammatica, giocare con la tradizione ripartendo da zero, spaventare i pubblici di tutto il mondo, parlando alle loro più profonde paure: l’orrore, il fantastico, il sangue che cola, la lama che affonda nelle carni, lo sguardo del cineasta che sa come raccontare; ogni elemento si combina per mettere in scena l’oscuro dell’uomo.

Dario Argento: la sua formazione

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Argento ha un animo ribelle, è uno spirito libero, irrequieto e curioso, che non si ferma mai: si è iscritto al Liceo classico, la scuola superiore più istituzionale di tutte, ma lo lascia al secondo anno e inizia a viaggiare, un’esperienza di vita che inevitabilmente lo forma, infatti deve arrangiarsi per sopravvivere alle giornate, durante la permanenza a Parigi lavora come lavapiatti. Dopo aver vissuto all’estero torna dove tutto è incominciato; è il ’68 e non è difficile per Argento decidere da che parte stare: si proclama comunista, non è mai stato uno che seguiva le regole. Inizia a lavorare a Paese Sera come critico cinematografico che gli permette di conoscere molte persone del mondo dello spettacolo. Gli articoli che scrive sono personali, la sua penna è tagliente e  capisce sopratutto che la scrittura è la sua strada. Nel frattempo si forma cinematograficamente guardando i film della nouvelle vague, apprezza e ammira i film di John Ford e di Alfred Hitchcock – proprio per questi suoi amori viene pubblicato dai Cahiers du cinéma. Stringe amicizia con Sergio Leone – di cui sarà sceneggiatore e soggettista -, Bernardo Bertolucci e Giuseppe Patroni Griffi. Proprio la sua passione per il cinema lo fa essere un cineasta consapevole e competente, in grado di ritagliarsi il suo posto in questo mondo, e rompe cliché, regole e sovverte ciò che fino ad ora è la norma.

Dario Argento: dalla sceneggiatura alla regia

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Decide di iniziare a fare lo sceneggiatore. Con Sergio Amidei scrive Scusi, lei è favorevole o contrario? di Alberto Sordi (1967), in cui si percepisce quella vena ironica e divertita che comunque fa parte della sua indole. Continua il suo lavoro poi avvicinandosi agli spaghetti-western Oggi a me… domani a te! (1968) e Cimitero senza croci (1969), ed è sua una delle penne del capolavoro di Sergio Leone C’era una volta il West (1968), prosegue poi con Metti una sera a cena (1969) di Patroni Griffi. Cambia strada nel 1970, dalla scrittura passa alla regia e realizza L’uccello dalle piume di cristallo. Il film rientra tra i miti del genere e rientra nell’empireo grazie anche a Morricone che cura le musiche e a Storaro la fotografia. Ormai la strada è aperta: il pubblico ama i suoi film, la critica si divide, c’è chi lo apprezza, chi no, soprattutto per l’uso del sangue, ma l’opera viene distribuita in tutto il mondo. Prende ispirazione da Mario Bava, Fritz Lang e Hitchcock – e per questo diventa in seguito il maestro del brivido italiano – ma non li imita, prende la loro lezione e la rimaneggia, mescolandola al suo universo fatto del perturbante freudiano, sangue, luci e colori, ambientazioni lugubri e musica.

Dario Argento: i primi successi costruiscono il marchio di fabbrica

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L’uccello dalle piume di cristallo colpisce chi guarda, terrorizza e pone domande: per tutto il film Argento gioca con lo spettatore e per fare ciò usa lo sguardo – i movimenti di macchina indirizzano lo spettatore, danno senso alle cose -; è molto interessante l’uso della soggettiva e il flashback con zoomate e fermi immagine utili a concentrare l’attenzione sui dettagli.

Nel 1971 escono altri due film necessari per comprendere il regista romano: Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio. Il primo esce dalla sua filmografia perché rientra nel poliziesco tipico americano, lo ripudia per questo nonostante ci siano vari elementi interessanti: ancora l’uso della soggettiva ad esempio. Il secondo invece pone importanti basi per il suo cinema del futuro: il sogno “premonitore” di Roberto, gli improvvisi flashback del folle omicida e la rappresentazione della morte come un momento estetico ed estetizzante.

Argento, con questi tre film che costituiscono la cosiddetta trilogia degli animali – perché nei titoli si fa riferimento a degli animali che incuriosiscono il pubblico e dall’altra parte cercano di creare una sorta di etichetta -, si ritaglia il ruolo che gli spetta nell’industria cinematografica dimostrando di essere un vero talento.

Dario Argento: la collaborazione con la tv ma soprattutto Profondo Rosso

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Collabora con la tv (La porta sul buio, nel 1973, ne realizza ben due episodi) in cui si nota da una parte il desiderio di parlare sempre il suo linguaggio e di stupire e colpire il pubblico che partecipa all’investigazione, grazie allo sguardo, chiedendo ad esso attenzione al dettaglio, dall’altra la sperimentazione, propria di Argento.

Arriva poi il successo con Profondo rosso, è sintesi perfetta di tutto ciò che Argento porta nei suoi film: l’inquietante, il terrore, l’uso della macchina da presa per spaventare, l’importanza della scrittura cinematografica. Argento gioca con il reale e con il sovrannaturale ma anche con lo spettatore mettendo sul tavolo gli indizi che devono solo essere compresi e colti. In questo film il cineasta sceglie una strada difficile: il volto dell’assassino è mostrato all’inizio – anche se sovrapposto a quelli deformi e grotteschi raffigurati su un quadro – e questa è una mossa che spiega in maniera emblematica il modus operandi argentiano: non è lo spettatore ad avere il potere ma è lui, il demiurgo, a decidere cosa debba esser visto.

Dario Argento: tra sospiri e inferno

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Argento ama cambiare strada, porsi nuovi obiettivi e affronta così un percorso diverso, grazie anche al lavoro con Daria Nicolodi, intraprendendo un viaggio claustrofobico e ansiogeno dentro l’orrore puro. Lavora a Suspiria (1977), un vero e proprio incubo. Il film lavora su due piani da una parte l’uso particolare dei colori, rosso, blu e verde, e dall’altra l’uso dell’esoterico che si esaspera di minuto in minuto; il risultato? Una favola nera e sanguinaria, dell’eccesso, che si consuma tra le pareti di una scuola di danza. L’occhio del regista si muove penetrando nelle aule, assistendo all’orrore che coinvolge i personaggi.
Il cineasta immerge lo spettatore in un vortice di luci e ombre, di volti, di una natura che infuria proprio quando esplode il male; l’orrore perturbante è ciò a cui punta Argento.

La sua filmografia prosegue con Inferno (1980) che continua il discorso incominciato con Suspiria toccando però i misteri della dottrina alchemica.
L’occhio di Dario Argento si ritrova a esplorare ambienti spaventosi, perfette le scenografie e l’uso delle luci che strizza l’occhio all’universo espressionista. Se Suspiria apre nuovi orizzonti, Inferno li estremizza: qui c’è il male puro.

Dario Argento: i difficili anni ’80

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Gli anni ’80 sono il periodo più intenso ma anche uno dei più complessi: realizza tre film, grandi successi, collabora con George Romero per una pellicola divisa in due episodi, si dedica all’attività di produttore, torna in tv per la trasmissione Giallo condotta da Enzo Tortora, realizza uno spot per la Fiat, un videoclip e la regia di una sfilata di moda per Trussardi. Un uomo eclettico che non teme di entrare in mondi a lui lontani. Questi anni però sono segnati da vicende private complesse e dalla censura che epura le sue opere, non si può dimenticare inoltre il suo licenziamento per la regia del Rigoletto di Verdi – ritenuta fin troppo libera e lontana dall’originale, il protagonista era diventato Dracula. Con Tenebre (1982) Dario Argento imbocca un’altra via: nella scena iniziale la voce narrante legge alcuni passi del libro Tenebre, prima che il testo venga dato in pasto alle fiamme. Trasforma il gioco in qualcosa di ancora più complesso, al centro ci sono delitti efferati quasi privi di attesa e suspense, costruzioni a cui ha abituato lo spettatore. Segue poi Phenomena (1985), spartiacque che riprende diversi spunti narrativi di Suspiria ma poi diventa qualcosa di ancora più eccessivo. Ultimo film di questo periodo è Opera (1987).

Dario Argento: il declino

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Opera conclude la fase prolifica e fortunata della carriera di Dario Argento si dovranno aspettare molti anni per vedere un’altra opera interamente realizzata del regista. Nel 1993 gira Trauma in cui compare la figlia Asia, protagonista anche dei successivi La Sindrome di Stendhal (1995) e Il fantasma dell’Opera (1998). Gli anni ’90 sono quelli del declino delle sue opere, nonostante venga premiato, soprattutto all’estero, e sia giurato al Festival di Berlino nel 2001.

Ci sono altre pellicole (Nonhosonno, 2001, Il Cartaio, 2004, Giallo/Argento, 2009) che non convincono a pieno lo spettatore e neppure la critica, che tralasciano elementi solitamente centrali del suo cinema, sceneggiature sciatte, montaggio poco accurato, regia scialba. Conclude la carrellata dei suoi film, Dracula 3D in cui il regista tenta di modernizzarsi parlando la lingua dell’oggi non ottenendo però gli effetti sperati.

Dario Argento: gli 80 anni di un gigante del cinema

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Dario Argento è il maestro italiano del brivido e della suspense, è stato capace di giocare con lo spettatore, lavorando con molti elementi, mescolandoli e mutandoli nel tempo senza fermarsi, cercando di essere sempre al passo con i tempi. Crea universi prima realistici, poi onirici e sovrannaturali, ci immerge nelle paure più profonde, usa l’attesa (di conoscere e di sapere chi è il colpevole), l’ansia di chi si sente in pericolo, rafforzandola con i colori e la luce, i temi musicali, per costruire narrazioni “orrorifiche” e maledette. Argento è il signore assoluto del cinema horror, ansiogeno, pauroso che fa tremare i polsi allo spettatore. Il respiro affannoso, il battito cardiaco accelerato sono queste le sensazioni che “viaggiano” dalle vittime sullo schermo a chi guarda. Il suo cinema è l’unico ad essere riconosciuto anche dai grandi registi d’oltreoceano, e, nonostante gli inciampi dei film dagli anni ’90 in poi, resta importante, interessante, inimitabile – non a caso prossimamente ci sarà una mostra per celebrare l’arte del regista romano.