Creed II e Rocky Balboa: la vera boxe nei film con Sylvester Stallone

Quanto c'è di vero nei personaggi che vediamo nella saga di Rocky Balboa e nello spin-off Creed? Chi sono i veri pugili a cui gli attori si ispirano? Ecco i nomi, gli aneddoti e le leggende della vera boxe nei film con Sylvester Stallone.

Arrivato nelle sale italiane, Creed II ci ha messo davvero poco ad entrare nel cuore degli spettatori italiani, da sempre tra i più affezionati al mito di Rocky Balboa e che già avevano gradito enormemente il primo capitolo di questa sagra spin-off sul più famoso pugile del cinema di sempre.
Film robusto, ben diretto e ben strutturato, Creed II sta raccogliendo consensi in tutto il mondo, tanto che già si parla di un terzo sequel, che permetta alla saga di fare a meno del personaggio interpretato da Sylvester Stallone.

Generalmente indicato come poca accurata e poco realistica per ciò che riguarda i combattimenti, la saga di Rocky in realtà attinge e piene mani da alcuni dei match e dei protagonisti più famosi della nobile arte.

Leggi il nostro Editoriale su Perché Sylvester Stallone è Rocky Balboa?

In molti altri casi invece, ha anticipato tendenze e realtà poi apparsi nella nobile arte, recuperato elementi tra i più importanti del pugilato, e creato una mitologia moderna sul rapporto tra uomo e società. In tutto questo (più che nella coreografia dei combattimenti) sta il segreto del successo di una saga a dir poco meravigliosa e unica, di cui Creed II è solo l’ultima prova.

Le belve dell’Est

In questo Creed 2 torna alla ribalta il temibile Ivan Drago (Dolph Lundgren) deciso a prendersi la sua rivincita per mezzo del figlio Viktor (Florian Munteanu), pugile possente e affamato di gloria e successo.
Ai tempi della Guerra Fredda, lo scontro tra Rocky Balboa ed Ivan Drago assunse toni epici proprio per il fatto che un sovietico e un americano si dessero battaglia in uno dei momenti più difficili della contrapposizione tra i blocchi.
È noto che Lundgren, ex campione di karate ed atleta magnifico, fosse stato inizialmente scartato perché troppo più alto e grosso di Rocky, con i suoi 196 cm faceva sembrare l’eroe quasi un nano.

Dulph Lundgren vinse il provino anche perché, essendo figlio di un militare svedese, sapeva come parlavano e che atteggiamento tenevano i membri delle forze armate europei.

La boxe (soprattutto dei pesi massimi) aveva allora come protagonisti pugili americani o inglesi. Gente come il grande Larry Holmes, Bonecrusher Smith, Frank Bruno, Micheal Spinks, Tim Whiterspoon, Carl Williams, Greg Page, Gerry Cooney e Tony Tubbs. Praticamente quasi tutti afroamericani o afrobritannici, a parte qualche eccezione nessuno superava il metro e 90. Da Russia, Ucraina, Polonia, est Europa in generale non era giunto nulla che potesse impensierire il dominio occidentale, e la fine del decennio e gli anni ’90, avrebbero visto quattro fuoriclasse anglofoni del calibro di Mike Tyson, Evander Holyfield, Lennox Lewis e Riddick Bowe dividersi cinture e gloria… eppure a modo suo, Stallone con Rocky IV aveva previsto ciò che sarebbe successo alla categoria dei Pesi Massimi da lì a 15 anni.

I fratelli Klitschko: il calco di Ivan Drago in Rocky IV 

I due fratelli Vitaly (a sinistra) e Wladimir (a destra) Klitschko. Tra i più vincenti e longevi pesi massimi di sempre. Tra i più giganteschi anche.

I due truci colossi che vedete sopra infatti, sono i due mastodontici fratelli Klitschko, Vitaly e Wladimir, entrambi ucraini, entrambi sui due metri di altezza, entrambi dominatori per anni della categoria, di cui si sono divisi cinture e gloria dalla fine degli anni ’90 a pochissimo tempo fa. Vi ricordano qualcuno? Beh, se volete saperlo, oltre che fisicamente, anche stilisticamente e come presenza scenica hanno davvero molto in comune con il terribile Toro Siberiano (questo il soprannome di Ivan in Rocky IV).
Molti avversari non han potuto superare la prova del loro nome, data la forza fisica, la potenza, la mole gigantesca (entrambi sopra i 110 kg di peso), le lunghe leve ed i colpi pesanti e chirurgici che sono valsi ai due fratelli un dominio quasi incontrastato fino ad età avanzata.

Cos’hanno in comune i Klitschko con Dolph Lundgren e Ivan Drago?

I punti in comune dei due fratelli ucraini con il personaggio di Ivan Drago e con l’attore che lo interpreta sono a dir poco pazzeschi. Il loro soprannome è rispettivamente quello di Dr. Ironfist Dr. Steelhammer. Il Dr. sta per Dottore, visto che entrambi sono laureati e hanno conseguito il Dottorato di Ricerca in Scienze Sportive.
I due fratelli sono inoltre figli di un ex militare dell’Armata Rossa, il Generale Vladimir Rodionovich Klitschko, comandante in carica per le operazioni di pulizia dopo il disastro di Černobyl’ del 1986.
Beh…Ivan Drago in Rocky IV è presentato come Capitano dell’Armata Rossa, mentre l’attore Dolph Lundgren possiede uno dei Q.I. più alti di tutta Hollywood, tanto che stava per ottenere un Dottorato di Ricerca in ingegneria chimica presso il prestigioso MIT, prima di diventare guardia del corpo di Grace Jones e successivamente cominciare la carriera di attore.

I due fratelli della boxe hanno però ben poco a che spartire con il personaggio di Ivan, visto che si son fatti la fama di essere si implacabili coi guantoni, ma anche di essere sportivi, altruisti, cortesi ed impegnati nel sociale nella vita di tutti i giorni. Niente “If he dies he dies” per loro. Ma di certo non sono i soli pugili che dal freddo Est Europa hanno deciso di conquistare gli USA.

Negli ultimi anni infatti, moltissimi pugili russi, kazaki, ubzeki, ucraini e di altri territori della fu U.R.S.S. hanno scalato le classifiche e si può dire che ormai dominino in lungo ed in largo. Gente temuta e rispettata, spesso amata dagli appassionati, come Lomachenko, Usyk, Golovkin, Kovalev, Briedis, Glowacki, Gvozdyk, Gassiev, Beterbiev… nomi un po’ impronunciabili, ma dietro fidatevi ci sta tanta tanta classe e voglia di emergere, la stessa di Viktor Drago!

Streets of Philadelphia

Sylvester Stallone sorprende la folla arrivando alla statua di Rocky [VIDEO]

Philadelphia è senza ombra di dubbio la città di Rocky, così come è la città di Adonis Creed e della sua epopea. E non è una città come le altre. Fondata da coloni svedesi a fine 17° secolo, è storicamente una della città simbolo della Guerra di Indipendenza Americana, ed è il luogo dove sono state firmate sia la Dichiarazione d’Indipendenza che la Costituzione degli Stati Uniti e per molti anni è stata oggettivamente la capitale amministrativa e legale dell’Unione. Ma Philadelphia è anche la capitale americana della boxe e non è un caso che Stallone vi abbia ambientato sia il filone narrativo di Rocky che quello di Creed.

Un numero sterminato di campioni e immortali del ring sono nati o sono stati adottati i loro nella città a cui il grande Bruce Springsteen dedicò una delle sue canzoni più straordinarie. L’elenco è davvero lungo: Tommy Loughran, Sonny Liston, Smoking Joe Frazier, Jack Blackburn, Joey Gardiello, Harold Johnson, Matthew Saad Muhammad, Bernard Hopkins, Jeff Chandler, George Godfrey, Harry Lewis, Bennie Briscoe, Battling Levinsky, Bob Montgomery, Meldrick Taylor, Freddie Pendleton, Smoking Bert Cooper, Gabe Rosado, Jersey Jay Walcott, Roy Williams, Steve Cunningham, Tex Cobb, Tim Whiterspoon e tanti altri ancora.
Il successo della saga creata da Stallone non ha fatto che aumentare la fama e consolidarne la tradizione e, per quanto gli incontri più importanti si facciano a Las Vegas, a New York o al Wembley Stadium, la gente di questa città è tutt’oggi fiera di questa tradizione lunga e gloriosa legata alla nobile arte.

Rocky Balboa e Chuck Wepner “il sanguinante di Bayonne”

Chuck Wepner (a sinistra) subì una tremenda punizione da Alì (a destra), ma da quel match nacque l’idea per Rocky Balboa.

Tutto ciò che riguarda Rocky e Creed ha avuto inizio il 24 marzo 1975 a Richfield, nei pressi di Cleveland (Ohio), quando Muhammad Alì difese la sua cintura di Campione del Mondo contro un semisconosciuto pugile di origini ucraine e russe chiamato Chuck Wepner. Wepner era un pugile che, in quella che ancora oggi viene definita come Golden Age (il periodo più incredibile per i Pesi Massimi) non aveva alcuna speranza di guadagnare palcoscenici di alto livello.
Grande, grosso, sgraziato, afflitto da una calvizie che combatteva con un ridicolo riporto, era però dotato di un grande coraggio, una mascella a prova di bomba e di una grande volontà. Tuttavia nessuno credeva che questo energumeno avesse qualche speranza contro Alì, che infatti dominò facilmente l’incontro grazie alla sua maggiore tecnica, velocità e classe.

Tuttavia Chuck Wepner non si era guadagnato il soprannome di The Bayonne Bleeder (il sanguinante di Bayonne) per niente; sanguinava, incassava, soffriva, a fine carriera solo l’italiano Vito Antofuermo avrebbe avuto più punti di sutura in faccia…ma non mollava.
Quando poteva si lasciava andare a confuse combinazioni, spesso ciccando o colpendo senza precisione un Alì che sembrava sempre più seccato di dover perdere ancora tempo con questo sconosciuto. Poi alla nona ripresa, un colpo al corpo di Wepner sorprese Alì, che sbilanciato dall’impatto finì a terra e fu contato dall’arbitro. Prima di Wepner solo grandi pugili come Sonny Banks, Henry Cooper e Joe Frazier lo avevano atterrato…ma Alì si rialzò e cominciò ad investire Wepner con una grandinata di colpi assurda.

Il match che fece scattare la molla a Sylvester Stallone

A bordo ring un giovane e sconosciuto Sylvester Stallone assistette sbigottito ad un pestaggio incredibile da parte del Campione, con Wepner che semplicemente rifiutava di andare giù. Alla fine della 15esima ripresa però, l’ennesima combinazione di The Greatest abbatté il coraggioso Chuck, che fu fermato dall’arbitro, impietosito dalla maschera di sangue che aveva al posto del viso.
Wepner si guadagnò però il rispetto nell’ambiente pugilistico e smise di essere visto da chi lo conosceva come un “bullo di quartiere”. Vi ricorda niente tutto questo? Indovinato.
Da quel match Stallone trasse lo spunto per la sceneggiatura di quel Rocky che avrebbe cambiato la sua e le nostre vite per sempre. E anche nel primo Creed – Nato per Combattere in fondo la situazione è quasi la stessa no?

Ivan e Viktor Drago: padre e figlio in Creed II

In Creed II uno degli elementi più interessanti è sicuramente il concetto di paternità. Sia reale che ideale, visto che i due lottatori hanno a che fare con figure paterne molto atipiche e sovente ingombranti. Viktor ha nell’allenatore e padre Ivan l’unica presenza all’interno della sua vita, in un rapporto duro ma onesto, nel quale il genitore investe su di lui ogni energia e momento con l’obbiettivo di farne un campione. Severo ma mai ingiusto o senza logica, crea un gladiatore pronto a tutto, un pugile atipico e pericolosissimo.

Leggi anche Creed II – gli easter eggs e i riferimenti a Rocky nascosti nel film

Adonis Creed invece un padre non l’ha mai avuto, ma sente in modo assolutamente importante la pressione che su di lui esercita la figura del grande Apollo, che non ha mai conosciuto. Per lui Rocky diventa gioco forza qualcosa di più di un semplice allenatore.
A molti sembrerà poco credibile che un genitore, ex campione di fama mondiale magari, faccia da allenatore per il figlio, ma nel mondo della boxe tale evento non è affatto così raro come si pensa, ed in questo Creed II si rifà ad una lunga tradizione.

Altre storie di famiglie e di boxe

Il grande Joe Frazier, il rivale più acerrimo di Muhammad Alì, fu l’allenatore del figlio Marvis, buon pugile degli anni ’80, un massimo leggero dai cui forse si aspettava troppo. Marvis vinse incontri importanti contro avversari del calibro di Joe Bugner, Bonecrusher Smith, James Broad e  James Tillis ma perse malamente contro il grande Larry Holmes e ancor peggio gli andò contro Mike Tyson, che lo mise brutalmente ko in una trentina di secondi. Floyd Patterson, tra i più grandi pesi massimi di sempre, dopo il ritiro fu un allenatore di successo, e portò il figlio Tracy Harris Patterson a vincere le cinture mondiali dei pesi supergallo e superpiuma. Un caso ancora oggi senza precedenti nella boxe.

Floyd Patterson, uno dei più grandi pesi massimi di sempre, con il figlio Tracy, pugile di talento degli anni 90

Tuttavia se si parla di famiglie della boxe, nessuno può certamente oscurare per importanza quella dei Mayweather, di cui fa parte il famosissimo Floyd Mayweather Jr., uno dei più grandi pugili di ogni tempo. Il padre Floyd Mayweather è stato un buon pugile welter, per quanto non sia mai riuscito ad agguantare la corona mondiale, al contrario dei fratelli Roger e Jeff, con il primo che è stato allenatore dei Floyd Jr. dal 2000 al 2012.
Floyd Jr. ed il padre hanno avuto un rapporto a dir poco burrascoso, vista l’infanzia orrenda che il padre fece vivere al figlio, costretto a vedere con i suoi occhi i genitori ed i parenti azzuffarsi per droga e debiti connessi ad essa. Le frequenti liti ed incomprensioni fanno sembrare i momenti più duri tra Ivan e Viktor Drago quasi toccanti.

Ultimamente si è parlato un sacco in Inghilterra di due figli di leggende del ring: Conor Benn e Chris Eubank Jr.; il primo è il giovane figlio di Nigel Benn, tra i più temuti e leggendari supermedi inglesi di sempre, soprannominato The Dark Destroyer, che da qualche tempo allena e segue il giovane figlio, che compete nella divisione SuperLeggeri.
Chris Eubank Jr. è invece figlio dell’ex grande rivale di Nigel Benn: Chris Eubank Sr., grande gladiatore del ring che abbinava una ferocia senza pari ad un’eloquio-sproloquio degno di un professore di Cambridge, di cui aveva anche la ricercatezza del vestire. Il figlio per ora ha mostrato di aver preso la sicurezza, spavalderia e mezzi fisici del padre, ma quanto a talento siamo abbastanza distanti, visto che ha perso gli unici due match significativi. Ma chissà che come per Adonis Creed non arrivi anche per lui l’ora del riscatto.

Creed II: faide familiari

In Creed II quella a cui assistiamo è la continuazione di una faida che affonda le radici nel film del 1985, quando Rocky Balboa per vendicare la morte di Apollo Creed andò in Russia, distruggendo in una terribile battaglia Ivan Drago.
Ora tocca al figlio di Ivan e ad Adonis, che possiamo tranquillamente reputare sia figlio di Apollo che di Rocky. Ma anche questo, nella boxe, non è qualcosa di inedito e possiamo anche dirvi da quale episodio quasi sicuramente Sylvester Stallone si è ispirato.

Ci riferiamo al match tutto al femminile tra Laila Alì e Jackie Frazier dell’8 giugno 2001, che vedeva contrapposte la figlia del grande Alì, contro la figlia di Joe Frazier, il suo più grande avversario. Il match ebbe un enorme eco perché Alì e Frazier erano stati protagonisti della più grande rivalità di sempre della boxe, avevan dato vita a due dei match più famosi di tutti i tempi: Fights of the Century del 1971 e Thrilla in Manila del 1975, ancora oggi considerati delle pietre miliari della nobile arte.
La loro rivalità era andata oltre la boxe, dal momento che Alì era l’idolo del fronte progressista, dei poveri, dei neri, della Hollywood di sinistra, era per i diritti civili e contro il Vietnam.
Frazier non si interessava di politica, ma gioco forza era stato controvoglia “arruolato” da quell’America bianca e progressista che odiava Alì, che non accettava il suo rifiuto di andare in Vietnam e l’essersi convertito ai Black Muslims.
In breve tra i due eran volate parole grosse ed era nato un odio che solo dopo molti anni sarebbe venuto meno. Ma il match tra Laila e Jackie (denominato Ali vs Frazier IV), fu anche l’occasione per promuovere in modo decisivo la boxe femminile al grande pubblico.

Laila Alì (a sinistra) e Jackie Frazier (a destra) posano di fronte al manifesto del loro match

Laila Alì era più giovane dell’avversaria (23 anni contro 39) ed era una pugile professionista da diverso tempo, una delle più famose non solo per il nome che portava, ma anche per la notevole bellezza e per le numerose vittorie nel carniere. Jackie salì sul ring a tarda età, spinta proprio dall’esempio di Laila e si presentò con soli 7 match all’attivo.
Ma l’incontro, per quanto poco elegante e raffinato, fu intenso, molto seguito e per nulla falso o finto, visto che le due se le dettero di santa ragione per otto round, alle fine dei quali Laila fu dichiarata vincitrice.
Da allora le donne hanno guadagnato molta credibilità e rispetto negli sport da combattimento, tanto che si può dire che proprio quell’incontro sia stato uno dei momenti cardine nella loro emancipazione.

Florian Munteanu in Creed II: veri campioni per veri film

Florian Munteanu, pugile amatoriale tedesco, è Viktor Drago in Creed II

Florian Munteanu, che interpreta in Creed II il figlio di Ivan Drago, non è un attore, ma un pugile dilettante tedesco di origini rumene, soprannominato Big Nasty per le sue ragguardevoli dimensioni (193 cm per 110 kg). Forse continuerà con la boxe, forse no, ma di certo non è l’unico caso di un vero pugile presente nella saga creata da Stallone.

A dire la verità, Chuck Wepner, a cui Stallone si era ispirato, avrebbe dovuto avere una piccola parte nel primo film, ma poi non se ne fece niente, per quanto Stallone e Chuck si fossero poi conosciuti sul serio e il pugile avesse concesso l’uso dei diritti della sua storia allo sconosciuto regista italo-americano per un cifra irrisoria. Avrebbe rimpianto la cosa per tutta la vita. Il tutto è mostrato nella seguente clip tratta da Chuck, film con Liev Schreiber del 2016, dedicato al bizzarro pugile americano.

Già nel primo film, che partiva da un budget non proprio altissimo, Stallone era riuscito a convincere il grande Joe Frazier a comparire in una breve scena, durante la quale avrebbe officiato da “cerimoniere” dell’incontro. In effetti chi meglio di uno dei più grandi pesi massimi di tutti i tempi per un match tra pesi massimi?

Tommy Morrison in Rocky V 

Ma non è stata certamente l’ultima volta. Anzi. In Rocky V Stallone scelse come co-protagonista, nella parte del suo allievo e poi nemesi, un giovane pugile emergente chiamato Tommy Morrison, che nel film si sarebbe chiamato Tommy Gunn.

Tommy Morrison famoso per la parte di Tommy “Machine” Gunn in Rocky V fu in realtà un grande pugile. Sul ring usava come nome di battaglia “Duke” visto che vantava una lontana parentela con il grande divo John Wayne, detto “il Duca” appunto.

Tommy Morrison era stato scovato da uno dei produttori, che aveva mandato a Stallone i video dei match di questo ragazzone biondo, adorato dalle donne, che nel quinto capitolo della saga in effetti dimostrò un bel carisma e una grande energia.
Di lì a qualche anno, Morrison avrebbe calcato i ring più importanti, mettendo in mostra grande qualità atletiche, coraggio, determinazione ed uno dei ganci sinistri più belli della storia dei pesi massimi. Avrebbe conquistato cinture importanti a livello mondiale.
Al suo attivo Morrison poté vantare negli anni a venire match contro campioni del calibro di Lennox Lewis, Ray Mercer, George Foreman, Donovan Ruddock, Pinklon Thomas, David Jaco, Ross Purity e Micheal Bentt.
Purtroppo nel 1996 Tommy (noto playboy) risultò positivo all’HIV e da quel momento cominciò una terribile tragedia che si sarebbe conclusa con la sua morte nel 2013, senza riuscire a tornare sul ring e lasciandosi andare negli anni a teorie complottistiche e radicali. Avrebbe meritato un destino migliore.

Antonio Tarver in Rocky Balboa del 2006

Nel bellissimo Rocky Balboa del 2006, Stallone arruolò Antonio Tarver, detto The Magic Man, per interpretare Mason The Line Dixon, il pugile che si sarebbe trovato ad affrontare nel suo epico ritorno sul ring ad età avanzata. E la scelta era quanto mai azzeccata.
Nel film infatti Dixon era un pugile brillante, imbattuto, stimato ma poco amato per lo scarso carisma e per la scarsa empatia. E Antonio Tarver, tra i migliori pugili della sua generazione, ha per lungo tempo sofferto la stessa cosa, visto che per tutta la sua carriera il pubblico non ha mai avuto in grande considerazione questo pugile mancino dall’ottima tecnica e pugno fulminante.
Tarver ha nel carniere vittorie contro Roy Jones Jr, Chad Dawson, Glen Johnson, Montell Griffin, Reggie Johnson e Danny Green. Gente che non scherzava.
Ma in un certo senso andare in difficoltà contro un pugile più vecchio è qualcosa che Antonio conosce, visto che nel giugno dello stesso annodi Rocky Balboa (uscito a dicembre 2006) aveva perso la corona dei pesi mediomassimi contro il leggendario Bernard Hopkins, veterano di 41 anni. Chissà che Stallone non si sia sentito mortificato a chiedergli di prenderle da un altro vecchietto durante il film! Ma di certo anche durante le riprese Antonio si è dimostrato uomo di grande intelligenza, educazione e classe.

Con Creed – Nato per Combattere e Creed II Stallone ha immesso nella saga spin-off altri veri campioni

Nella famosa scena in cui Adonis Creed cerca di attirare l’attenzione e guadagnare rispetto nella palestra di Tony Evers Jr. (figlio dell’ex allenatore di Apollo), lo vediamo mettere ko un pugile tra i più quotati della gym in pochi secondi, sfidando gli altri fighters e mettendo in palio la sua macchina. Peccato che tra i presenti vi sia il fortissimo Danny Stuntman Wheeler, interpretato da quello straordinario campione che altri non è che André Ward, detto Son Of God.

André Ward ha letteralmente dominato la categoria dei SuperMedi e Medio Massimi dal 2004 al 2017, prima aveva anche vinto la Medaglia d’Oro ai Giochi di Atene 2004. Pugile dall’intelligenza tattica sopraffina, dall’adattabilità camaleontica, dotato di una tecnica impareggiabile ha sempre basato la sua boxe sulla velocità e sull’incredibile capacità di contrattaccare l’avversario.
Sovente accusato di arroganza, di scorrettezze sul ring (molte le testate e diversi i colpi proibiti messi a segno), rimane tuttavia uno dei pugili che gli americani hanno più amato nel nuovo millennio e un futuro Hall of Famer della boxe.
Di certo non si può accusare Stallone di aver scelto male i suoi protagonisti e di certo Micheal B Jordan ha potuto avere sul ring un aiuto molto prezioso durante le riprese dei due Creed.

Creed e l’incontro tra Adonis e Leo The Lion Sporino alias Gabriel Rosado

Sempre in Creed , Adonis nel suo primo match in terra americana, si trova contro Leo The Lion Sporino, pugile figlio di uno dei più vecchi amici di Rocky, interpretato dal peso medio Gabriel Rosado. Rosado, pugile natio di Philadelphia (e dove sennò) è senza alcun dubbio uno dei più rispettati e valorosi pugili degli ultimi anni, un grande guerriero del ring che nonostante non sia mai riuscito a vincere contro i top contenders, si è sempre fatto onore.
Sportivo, coraggioso, sincero, ha sempre combattuto contro i migliori senza mai tirarsi indietro e senza mai mollare.

Gabriel Rosado durante le riprese di Creed – Nato per Combattere. Rosado è un grande gladiatore dei nostri giorni.

Passando alla nemesi di Adonis Creed, a Ricky Pretty Conlan, facciamo la conoscenza di uno dei pugili più amati dai sudditi di sua maestà negli ultimi anni: Tony Bellew, detto Bomber.
Grande tifoso del Liverpool, Tony si è ritirato da poco, dopo aver dato bella prova di sé nelle categorie dei mediomassimi, massimi leggeri e pesi massimi, e diventando un punto di riferimento per la boxe britannica anche grazie alla sua parlantina ficcante, al carisma e ai successi contro l’ex Golden Boy britannico David Haye.
Il suo è stato un percorso assolutamente unico, che lo ha visto cadere e rialzarsi, riprovarci sempre, dando prova di grande determinazione e coraggio. L’ultimo match lo ha visto perdere per ko contro il grande Oleksander Usyk, una delle “Belve dell’Est” di cui abbiamo parlato in precedenza.
Anche nella sconfitta ha però dimostrato sportività e gratitudine. Nel film tuttavia non tutto è andato liscio, visto che durante le scene del combattimento finale, Micheal B Jordan ha dovuto incassare sul serio un destro di Bellew, con risultati beh…giudicate voi.

Rocky: molti pugili in un solo corpo

Abbiamo parlato di Chuck Wepner, di quanto il suo match del 1975 dette l’idea a Stallone per proporre quella straordinaria storia di redenzione e successo che fu il primo Rocky.
Ma in realtà dietro la figura di Rocky Balboa si nascondono le vite e le personalità di moltissimi pugili che hanno fatto grande la boxe, regalando emozioni, incontri leggendari e diventando eroi per milioni di persone.

Sicuramente tra i più importanti c’è l’italiano Thomas Rocco Barbella, meglio noto con il nome di Rocky Graziano. Peso welter e medio di incredibile ferocia e resistenza, grazie alla boxe riscattò una vita che lo vedeva ai margini, spesso in guai con la legge e senza prospettive.
La sua incredibile storia, quella di un “bullo di quartiere” che diventava grazie alla nobile arte e all’amore di una ragazza un uomo maturo e un Campione affermato, fu immortalata nel bellissimo Lassù Qualcuno mi Ama del 1956, film diretto da Robert Wise e tratto dall’autobiografia di Graziano. Paul Newman fu chiamato ad interpretare il grande pugile degli anni ’40 e ’50, sostituendo quel James Dean che era morto poco tempo prima delle riprese. Il cast comprendeva anche Sal Mineo, Steve McQueen, Pier Angeli e Harold J Stone. Il film lanciò definitivamente la carriera di Newman e rimane uno dei migliori mai fatti sulla boxe, tanto che lo stesso Stallone si è ispirato a diversi aspetti e momenti di questo evergreen.

Rocky come Rocky Marciano?

Se si dice Rocky, nel mondo della boxe, viene automatico pensare ad uno dei più grandi pesi massimi di sempre, nonché dei più famosi italiani di sempre: Rocky Marciano.
Il suo vero nome era Rocco Francis Marchegiano, ma ciò che più conta è che si sta parlando dell’unico Campione dei Pesi Massimi ad essersi ritirato imbattuto: 49 match, 49 vittorie di cui 43 per K.O.
Come il nostro Rocky Balboa, anche Marciano non era esattamente un tecnico della boxe. Piccolo, tarchiato, tozzo, dotato di una mascella pazzesca, di una resistenza praticamente infinita sia alla fatica che al dolore, era armato con due dei pugni più terrificanti mai visti addosso ad un pugile ed era un aggressore costante.
Come Balboa, Marciano si fece un nome quando batté il campione uscente, il leggendario Joe Louis, uno degli immortali della boxe, con un ko devastante, per quanto al contrario di Apollo Creed, Louis ormai fosse vecchio e lento. Ma, come nella saga cinematografica, nacque una grande amicizia tra i due, che sarebbe durata per tutta la vita.
Incontri leggendari contro Ezzard Charles, Lee Savold, Roland La Starza, Jersey Jay Walcott e Archie Moore ne sancirono l’entrata nel cerchio delle leggende della boxe.
Gentile, modesto, umile, ironico ed educato, fu amatissimo dagli americani e rispettato persino da quel Muhammad Alì che in lui trovò inaspettatamente un uomo comprensivo e sensibile verso le sue lotte per i diritti civili.
Ma sul ring, come Rocky Balboa, Marciano diventava un selvaggio, capace di costringere ben 13 avversari a ritirarsi dalla carriera professionistica dopo averlo incontrato.

Vito Antuofermo, il combattente della working class italo-americana

Anche il grande Jake La Motta ha avuto il suo peso nel descrivere Rocky e sicuramente il bellissimo Toro Scatenato di Martin Scorsese è stato basilare nel dipingere un personaggio che sul ring è capace come nessun altro di dimostrare un coraggio al limite dell’incoscienza, per quanto poi in realtà fuori dal ring i due gladiatori (quello vero e quello creato da Stallone) non avessero molto in comune. Forse il vivere in un quartiere povero e disgraziato.
La capacità di sopportare ferite incredibili senza cedere ha reso famoso anche Vito Antuofermo, grande pugile italo-americano degli anni ’70 e ’80, capace di misurarsi con coraggio e caparbietà contro gentedel calibro di Marvelous Marvin Hagler (che rincontreremo più tardi), Emilie Griffith, Denny Moyer, Bennie Briscoe, Hugo Corro, Alan Minter, detenendo la Corona di Campione del Mondo dei Pesi Medi dal 1979 al 1980. Come Rocky Balboa anche lui più che un tecnico era un guerriero, un pugile che andava sul ring come si andava in guerra, che ancora oggi detiene il record per numero di punti di sutura collezionati su un viso che ne ha viste di tutti i colori. Come Rocky però era umile, dimesso, rispettoso ed educato fuori dal quadrato. Per chi come noi ama il cinema però, Vito Antuofermo è ricordato anche per aver recitato ne Il Padrino Parte III e Quei Bravi Ragazzi.

Smoking Joe Frazier: il vero alter ego di Rocky Balboa

Ma se dobbiamo trovare il vero alter-ego di Rocky Balboa, beh allora bisogna nominare quello straordinario guerriero che abbiamo già citato diverse volte fino ad ora: Smoking Joe Frazier.

Joe Frazier (a sinistra) e Muhammad Alì (a destra) durante il famoso Thrilla in Manila, il match più violento di sempre. Entrambi rischiarono di morire quella sera. L’allenatore di Frazier (Eddie Futch) ritirò il suo pugile alla fine del 14esimo round per evitare la tragedia.

Nato nella poverissima South Carolina, Frazier si trasferì presto proprio a Philadelphia da giovane, dove cominciò a coltivare il sogno dell’infanzia: diventare Campione mondiale dei Pesi Massimi.
Da pugile amatoriale vinse l’oro alle Olimpiadi di Tokyo del 1964, trionfando in finale nonostante una mano fratturata. Come Rocky Balboa e Adonis Creed però, non trovò sulla sua strada ricchi ingaggi ad attenderlo o promoters, ma disoccupazione e miseria, che per di più era costretto a far condividere a moglie e figli.

Poi però grazie ad un giornalista, tornò sotto la luce dei riflettori e ricominciò a combattere, finendo per strappare a Jimmy Ellis la cintura di Campione dei Pesi Massimi, nel periodo in cui Muhammad Alì era costretto all’esilio per il suo rifiuto a combattere in Vietnam.
Tra di lui ed Alì vi era un complesso rapporto umano, fatto di rispetto, affetto ma anche di uno spirito competitivo che portava entrambi spesso in rotta di collisione. Ad ogni modo Joe si impegnò personalmente non solo per aiutare Alì economicamente ma anche per fargli riavere la licenza di pugile, incontrando il Presidente Nixon.
Dai e dai alla fin fine il match venne organizzato e si trattò del famoso Fight of the Century, uno dei più belli di sempre, in cui Frazier batté Alì (che rientrava dall’inattività) con una prestazione maiuscola, culminata con un atterramento divenuto leggendario.

Il miglior sinistro di sempre!

La statua che la città di Philadelphia ha dedicato al grande Frazier.

Il colpo migliore di Joe Frazier infatti era il gancio sinistro, quello che Alì soffriva di più; nonostante infatti Joe non fosse mancino, quel braccio sinistro era un pistone, una molla capace di distruggere ogni avversario, tanto che molti chiamavano Joe “falso destro”.

Joe Frazier era poi un in-fighter, un pugile cioè che cercava sempre lo scontro ravvicinato, il corpo a corpo, che attaccava senza sosta muovendosi sul tronco ma anche accettando di incassare alcuni colpi pur di piazzarne qualcuno a modo suo.
La sua mascella ed il suo coraggio erano leggendari, così come il fatto che mitragliasse gli avversari con serie infinite di colpi.

Anche quando perse con Alì (una ai punti, l’altra per decisione del suo angolo di fermare il match nel famoso Thrilla in Manila) gli inflisse sempre punizioni severissime, tanto che per molti il Parkinson di Alì fu dovuto proprio ai suoi pugni. Il match a Manila fu qualcosa di tremendo, ancora oggi è considerato il più violento ed intenso e portò entrambi ad un passo dalla morte.
Solo con il gigantesco George Foreman non ci fu mai nulla da fare, con il coraggioso Joe che dovette cedere alla mole e alla potenza dell’avversario.
La città di Philadelphia gli ha riconosciuto il diritto ad avere una statua poco dopo la morte, avvenuta nel 2011, una statua che lo mostra intento a portare quel gancio sinistro che lo rese immortale. Vi ricorda niente tutto questo? La sua statua fu fatta proprio in antitesi a quella di Rocky Balboa, da molti ritenuto indegno perché personaggio di finzione. Entrambi i match tra Apollo Creed e Rocky Balboa seguirono grosso modo l’andamento di quello tra Alì e Frazier a Manila, mentre la sconfitta di Frazier contro Foreman fu quasi identica a quella subita da Rocky contro Clubber Lang. Ed è proprio a Lang che è dedicato il prossimo segmento.

Il terrore nero

Fu sicuramente geniale da parte di Stallone concepire una nemesi nuova per il suo Rocky III, un avversario che spiazzasse il pubblico e che fosse totalmente diverso dall’elegante e irriverente Apollo Creed. Quel villain avrebbe costretto Rocky (assistito dall’ex rivale Creed) a cambiare stile, personalità, persino modo di pensare. Quel nemico era Clubber Lang ed il primo match tra lui e Rocky, rimane uno dei momenti più dolorosi della saga.

Interpretato dal pittoresco Mr. T. (all’epoca buttafuori e guardia del corpo per diverse star), Clubber Lang in realtà è uno dei personaggi più profondi, interessanti e politici di tutta la saga e soprattutto non era un vero cattivo. Non lo era per il semplice fatto di essere un grande guerriero del ring desideroso di emergere, convinto di poter batter il Campione, com’è sempre avvenuto nella boxe.
Ma Clubber Lang funzionava così bene perché si rifaceva in particolare ad alcuni pugili tra i più terrificanti, potenti e paurosi mai esistiti, tra i più forti di sempre e che avevano tutti una cosa in comune: erano neri.

Il primo al quale assomigliava nei pregi (e anche nei difetti) era il possente George Foreman, pugile che per potenza e possanza non ha ancora oggi pari nella storia dei Pesi Massimi.
Texano, cresciuto nei ghetti, Foreman è stato tra i più grandi di sempre, e negli anni ’70, dopo aver vinto l’oro Olimpico nelle olimpiadi messicane del ’68, si aggirava come un tirannosauro per il ring, distruggendo e polverizzando ogni avversario con dei pugni che sembravano fatti di ferro. Si sbarazzò in soli due round del Campione del Mondo Joe Frazier, e stessa sorte toccò all’altro grande avversario di Alì dell’epoca, il Mandingo Ken Norton. Pugile allora dalla personalità scontrosa e diffidente, solo e triste, sfogava la sua rabbia sul ring, tanto che quando si profilò un incontro con Alì, i più temettero per la vita di The Greatest.

Foreman era più alto, più giovane, molto più potente e nel pieno della forma, mentre Alì sembrava troppo stanco, vecchio e usurato per reggere all’urto di questo gigante dai muscoli di ferro. Ma così come successe a Clubber Lang, anche Foreman fu battuto dalla tattica, tecnica, dalla velocità e intelligenza del suo avversario; Muhammad Alì a Kinshasa, nel leggendario Rumble in the Jungle del 1974, lo demolì prima mentalmente e poi pugilisticamente.
Foreman, come Lang, sprecò un sacco di energie in colpi imprecisi o a vuoto e alla fine, stremato e innervosito, venne finito da un Alì che su quel ring, usando le corde e la mente, mostrò che i muscoli non sono certo tutto nella boxe, per quanto tuttavia la sconfitta di Lang assomigli di più a quella patita da Foreman contro lo sgusciante Jimmy Young, a seguito dalle quale Foreman divenne prete e cambiò vita.

Un altro pugile al quale Stallone si era ispirato per Clubber Lang era senza ombra di dubbio il terribile Sonny Liston, detto l’Orso Nero.

Un momento della prima sfida tra Sonny Liston (a sinistra) e Alì (a destra). Liston si ritirò per infortunio al sesto round. Tuttora è considerato tra i più terrificanti pugili di sempre. La sua prematura scomparsa è avvolta nel mistero.

Liston fu il primo grande rivale di Muhammad Alì, che lo batté in uno dei più grandi upset della storia della boxe, costringendo all’abbandono quello che era ritenuto (ed è ritenuto ancora oggi) il più pericoloso peso massimo di sempre.
Liston, come Foreman (che ne fu sparring partner agli inizi) era nato nel Sud povero, razzista e disperato e grazie alla boxe aveva salvato la sua esistenza; dotato di una potenza paurosa, di un cipiglio a dir poco inquietante, solo con lo sguardo terrorizzava gli avversari.
Ma non aveva solo la potenza dalla sua, era anche un pugile dotato di una solida tecnica e di intelligenza, che sapeva quando travolgere l’avversario e quando invece pazientare.
Persino Alì ne fu spaventato al peso, per quanto poi il match si rivelasse quasi facile per lui, dal momento che Liston, pur avendo un collo da mezzo metro e mani da quaranta centimetri, era però troppo lento per un pugile come Alì.
Morto in circostanze alquanto misteriose (si pensa probabilmente ucciso dalla mafia inscenando un’overdose), Liston era stato a lungo evitato da campioni come Floyd Patterson e Igmar Johansson, spaventati dalla sua possanza e potenza.
Lang gli assomigliava molto nell’arte dell’intimidazione, nell’entrare sul ring con il cappuccio in testa e lo sguardo truce. “La posa del boia” era stata definita e tutto questo, assieme alla fama di picchiatore terribile, faceva crollare mentalmente gli avversari ben prima dei pugni.

Lang però assomigliava nella personalità competitiva e agonista, nel metodo di allenamento al limite dell’umano, e nel carattere ombroso e scontroso anche ad uno dei più grandi pugili di sempre, uno che l’Italia la conosce bene visto che ci vive da anni: Marvelous Marvin Hagler, forse il più grande Peso Medio di ogni tempo.

Le affinità tra Marvelous Marvin Hagler e Lang in Rocky 3

Come Lang anche Hagler dovette a lungo fare indirettamente i conti con la popolarità e la fama di un rivale che proponeva (come Apollo Creed) una boxe spumeggiante e aveva il carisma da star dello spettacolo: Sugar Ray Leonard.
Come Lang anche Hagler era mancino, dotato di mani pesanti, volontà ferrea e ambizione, per quanto in dotazione di uno straordinario bagaglio tecnico, un fiato e una classe che il Lang di Rocky V, picchiatore del ring, non aveva neppure a livello concettuale.
Ciò che li faceva accomunare era soprattutto la straordinaria determinazione e gli allenamenti massacranti, che si svolgevano in quella che Hagler definiva “La Gabbia”, un seminterrato presso il suo campo di allenamento dove si sottoponeva a calistenia, sparring e un repertorio di esercizi a dir poco terrificante.

Clubber Lang, come Hagler nella vita reale, prima di aver la chance di conquistare la corona di Campione del Mondo era passato attraverso un lungo percorso fatto di match poco remunerativi e poco noti.
A conti fatti Clubber Lang non è realmente un cattivo, quanto semplicemente un avversario, un contendente, un uomo in cerca di gloria e successo, così come era Rocky, ma il fatto di essere nero, afroamericano gli dava tutt’altra sfumatura.
L’America di quegli anni infatti, era ancora un’America a maggioranza bianca, dove sopravviveva (a volte in modo esplicito altre volte in modo sotterraneo) una costante paura per l’afroamericano potente, impietoso e ribelle, che non si conformava a quei comportamenti che per i bianchi un “bravo negro” doveva avere.

Earnie Shavers detto The Black Destroyer

Un momento del match tra Alì (a sinistra) ed Earnie Shavers (a destra) del 1979. Alì vinse ai punti un grande match, ma subì colpi terrificanti dal potentissimo Earnie.

Ultimo ma non ultimo, viene il terzo tra i più forti picchiatori di tutti i tempi: Earnie Shavers, detto The Black Destroyer, pugile la cui potenza può essere paragonata nella storia dei Pesi Massimi solo ai già citati Foreman e Liston.

Shavers non fu mai Campione del Mondo, ma rimane uno dei più temuti pugili di sempre, capace anche in caso di sconfitta di rovesciare addosso agli avversari colpi di un tonnellaggio assurdo.
Come disse Tex Cobb, pugile di valore che con Shavers vinse, “era capace colpendoti in viso di romperti un ginocchio”; Shavers provò la sua potenza contro Alì e contro Larry Holmes in due match, perdendo tutte e tre le volte, ma infliggendo danni terrificanti.
Alì lo descrisse sempre come il più potente tra i suoi avversari: “I suoi pugni” disse “erano come calci di un mulo. Mai prese botte così!”. Fuori dal ring però Shavers era (ed è rimasto) un uomo tranquillo e quasi timido, a dispetto della ferocia sul ring. Clubber Lang oltre che per la potenza gli assomiglia per l’irruenza, che sovente diventava scarsa precisione, nonché per una resistenza aerobica non proprio enorme, visto che Shavers sovente se non finiva l’avversario a metà incontro accusava la fatica.
Anche lui soffrì in carriera e nella vita di tutti i giorni per il razzismo dei bianchi.

Niente religioni strane, niente locali malfamati o amicizie strane, niente musicisti (visti come viziati e debosciati), niente vanterie o spese pazze ma soprattutto niente donne bianche.
Foreman, Liston, Hagler e Shavers, a modo loro e con modalità differenti, erano il simbolo per molti bianchi, del nero che non stava al suo posto, che non rispettava quelle regole “giuste” e di “buonsenso” destinate alla sua “razza”. Tutti e tre soffrirono per buona parte della loro vita il razzismo e la discriminazione in ogni forma nota e conosciuta, visto che rivendicavano a modo loro la libertà di fare ciò che per un bianco era normale fare.
Non un semplice avversario o un villain quindi Clubber Lang, ma un pugile che portava con sé la contraddizione della società americana, per la quale il nero poteva essere libero ma solo a condizione di non turbare l’autostima dei bianchi ed il loro complesso di inferiorità.

Apollo Creed: il più grande!

Una delle immagini simbolo della boxe. Alì che incombe vittorioso dopo aver atterrato Sonny Liston nel loro secondo incontro. Ancora oggi quel match è avvolto dal mistero, visto che per molti Liston finse il ko. Si tratta del famoso “pugno fantasma”.

Se si dice Rocky Balboa, allora si dice subito Apollo Creed, il grande rivale, il grande amico, morto sul ring per i colpi sovietici del terribile Ivan Drago.
Interpretato dall’ex giocatore di Football Carl Weathers, Apollo era ispirato in modo palese (a dir poco) a quel Muhammad Alì che all’epoca era ancora nel pieno della carriera ed era amato ed odiato in egual misura dentro e fuori gli Stati Uniti.

Apollo Creed ha tutto di Alì, ne ha il carisma, lo stile da outfighter, da ballerino del ring che armato di velocità, jab, gioco di gambe e intelligenza manda gambe all’aria ogni avversario, ed è talmente bravo che ormai nessun si sente più di sfidarlo.
Si narra che lo steso Alì nel vedere il film avesse esclamato “cavoli! ma quello sono io!”. Aveva perfettamente capito cosa aveva fatto Stallone: aveva dato al pubblico americano quello che voleva, una Speranza Bianca (White Hope) che si misurasse da pari con quell’Alì che a molti dei bianchi non era mai piaciuto.
Tuttavia Stallone andò oltre tutto questo, facendo perdere con onore Rocky nel primo, pur dopo aver dato filo da torcere a Creed, e trionfare nel rematch dove Apollo per spingerlo a combattere si lasciò andare a provocazioni e schermaglie verbali che nello stile, linguaggio e argomenti erano in tutto e per tutto uguali a quelle di Alì. Uguali erano anche l’orgoglio, il carisma, e anche il coraggio che lo porterà a sfidare ancora il mancino di Philadelphia.

Apollo Creed: così Stallone ha fatto evolvere il personaggio del pugile

Il successo di Rocky permise a Stallone di portare avanti un’evoluzione ulteriore del personaggio, che qui non era né un Black Muslim né un paladino dei diritti civili, quanto piuttosto un professionista affamato di consenso, rispetto e successo. Una star insomma, e lo si dice naturalmente senza nulla di denigratorio o altro.
Stallone offrì al pubblico un Creed/Alì meno politicizzato, anzi persino patriottico in certi momenti, una star del pop che sovente strizzava l’occhio molto più a quel Sugar Ray Leonard che in quegli anni era la star mondiale del pugilato.
Certo, non può che strappare un sorriso a rivedere il momento in cui Stallone si trovò di fronte al vero Creed, o meglio, al vero Alì durante la 49esima notte degli Oscar in un siparietto diventato leggendario.

Alì non è morto sul ring, ma ancora una volta Stallone in un certo senso non sbagliò a far morire Creed, invecchiato ma non rassegnato, sotto i colpi del più giovane e vigoroso Ivan Drago.
In fin dei conti il terribile morbo di Parkinson si palesò in tutta la sua virulenza quando Alì, ormai vecchio ma ancora pronto a lottare, fu punito in modo terribile dal suo ex sparring partner Larry Holmes.
Holmes, che sarebbe diventato uno dei più grani pesi massimi di sempre, cercò di limitare i danni inflitti all’ex Campione, ma così facendo allungò quell’agonia che lo stesso Stallone definì come “un’autopsia eseguita su un uomo ancora in vita”.

Ma la morte di Creed fu trasformata nel figliol prodigo che si immolava sull’altare di quella patria che Rocky avrebbe servito sfidando il suo uccisore. Apollo/Alì diventava quindi patriota, abbracciava la nuova America di Reagan al grido di “O noi o loro!” e che sul palco, con affianco James Brown, gridava al mondo quanto era bella l’America.

Comunque fosse, la figura di Muhammad Alì rimane centrale in Rocky e gran parte della sua parlantina, del suo carisma, presenza scenica sono perfettamente opposti alla semplicità e anche goffaggine di un Rocky che anche nel carattere ricordava uomini come Marciano o Frazier, poco avvezzi a parlare con la bocca piuttosto che con i guantoni.

L’ultimo round in Rocky V

Una delle scene più sottovalutate e terribili della saga di Rocky riguarda quando, in Rocky V, vengono mostrate le conseguenze sofferte da Balboa durante la battaglia con Ivan Drago.
Solo, tremante, pieno di dolore al limite dell’umano, in stato confusionario e pieno di paura, viene soccorso dalla moglie Adriana e cui si rivolge chiamandola col nome di Mickey (il vecchio allenatore morto nell’episodio precedente). Raggelati gli spettatori si rendono conto che Rocky ha raggiunto un limite di sopportazione che non può più superare.

Stallone con Rocky ci ricorda che la boxe è uno sport tremendo, che sovente presenta un conto assolutamente osceno, ributtante e per questo viene combattuta quasi sempre da gente che non ha molto da perdere all’inizio.
I danni sofferti da molti pugili hanno sovente comportato demenza, handicap motori e mentali, difficoltà a livello di memoria e linguaggio, sbalzi di umore, e non pochi tutt’oggi sono i fighters che muoiono o riportano danni terribili sul ring.
Nasi fracassati, denti in frantumi, mascelle e costole fracassate, ossa del cranio fratturate, mani piene di danni, occhi che non vedono più, sopracciglia che sono un dedalo di cicatrici…questa, anche questa è la boxe.

E ora, con Creed II, Stallone ci mostra cosa voglia dire rialzarsi dopo aver perso, inseguire ancora una volta quel paradossale sogno di rischiare ancora una volta la vita, di andare ancora una volta di fronte ai pugni omicidi di un altro uomo.
Perché l’uomo ama tanto la boxe? Perché lo affascina così tanto? Forse perché, al di là di tutti i discorsi su psiche, dramma, eros e morte, come diceva Nelson Mandela:

La boxe significa uguaglianza… Sul ring il colore, l’età e la ricchezza non contano nulla…