C’è ancora domani: una colonna sonora da cantare “a bocca chiusa”

La colonna sonora di C'è ancora domani cuce sulla storia parole e sinfonie e continua a cantare, persino " a bocca chiusa"!

Ci voleva la delicatezza di Paola Cortellesi per portare in scena, in C’è ancora domani, tutte le donne del secondo dopoguerra, quelle dello “stai zitta”, degli schiaffi e delle cinghiate, quelle che non potevano studiare “perché sei femmina”; le stesse che tra il 2 e il 3 giugno 1946 si trovarono ad affollare le urne e a votare, a contare per la prima volta.
Il suo sguardo, in un elegante bianco e nero, è una carezza che si infila tra le prevaricazioni e lo fa sincronizzando ogni piccola particella della macchina cinematografica, allineando l’agilità interpretativa del cast al ritmo di una sceneggiatura (scritta da Paola Cortellesi insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda) in cui le disgrazie quotidiane si tingono di speranza. La colonna sonora, dal canto suo, ricama in suoni e parole tutte le emozioni che trapelano dalle immagini, talvolta ponendosi in contrapposizione con esse, come se volesse giustificare certi atteggiamenti ingiuriosi, altre invece si intromette nella scena, toglie la parola ai protagonisti senza chiedere il permesso.

Sono impertinenti, le musiche che Lele Marchitelli ha cucito addosso a C’è ancora domani. Sfacciate e dolci come la protagonista Delia (Cortellesi), sono suoni fatti di fiaba e mistero, di storie e paura; che con docilità disegnano l’armatura di una libertà nuova e ignota, che però pulsa irrequieta sotto la pelle di una società che si appresta a mutare.
Intrecciata a canzoni di repertorio, la soundtrack aderisce completamente alle immagini, regalando nuove sfumature fin dal primo istante e facendoci intuire la vita della protagonista: una Cenerentola senza Fata Madrina né sorellastre, che però si desta al mattino con un manrovescio e va avanti nella sua giornata come se nulla fosse.

C’è ancora domani: la colonna sonora di Lele Marchitelli si intreccia ai brani vecchi e nuovi, non solo italiani!

La luce che filtra dalle finestre, il catino vicino al letto, un topolino sotto lo stesso: potrebbe essere l’inizio di una fiaba, se eliminassimo quella violenza perpetrata dal marito Ivano (Valerio Mastandrea) e ci limitassimo ad ascoltare la voce d’usignolo di Fiorella Bini che interpreta Aprite le finestre, scritta da Virgilio Panzuti e Giuseppe Perotti e presentata al festival di Sanremo del 1956, dove a cantarla era però Franca Raimondi.
“Aprite le finestre al nuovo sole, è primavera, è primavera […] Aprite le finestre ai nuovi sogni, bambine belle, innamorate… è forse il più bel sogno che sognate, sarà domani la felicità”, recita la canzone, sottolineando la stagione nella quale ci troviamo e anticipando l’innamoramento di Marcellina (Romana Maggiora Vergano), nonché il fatto che, nonostante tutto, la felicità sarà ancora “domani”.

L’inizio romantico di C’è ancora domani vira verso la dinamicità dei The Jon Spencer Blues Explosion che col brano Calvin (pubblicato all’interno dell’album Acme) colorano la routine di Delia di note blues e punk. La chitarra di Judah Bauer corre audace sulla voce di Jon Spencer, mentre la batteria di Russell Simins martella senza tregua le diapositive di una vita che potrebbe sembrare serena e regolare, quasi contemporanea.

La canzone di Fabio Concato e l’amore platonico tra Paola Cortellesi e Vinicio Marchioni in C’è ancora domani

Il brano Irrequietezza di Lele Marchitelli, che accompagna la scena in cui la protagonista nasconde parte dei soldi guadagnati facendo rammendi e iniezioni prima di tornare a casa, è un avvicendarsi di sussurri cristallini, passi lesti e percussioni, che adagio si infittiscono fino a dirottarci nel luogo delle angherie. Prima, però, c’è l’amore, quello sospeso tra i vorrei e la realtà, quello impossibile tra Delia e Nino (Vinicio Marchioni): dentro i loro sguardi la fiaba riavvolge il nastro e la regia della Cortellesi fluttua nell’aria come una rondine, sorretta dalla voce di Fabio Concato: M’innamoro davvero (1999) è il singolo d’amore che udiamo, incastrato in un frangente sospeso e confuso in cui i due interpreti sembrano essere finiti in un’altra dimensione, lontana da quel mondo ottuso e descritta dal testo della canzone stessa, che aleggia lungo un effluvio di chitarre, piano e archi. Tutte le sensazioni che provoca l’innamoramento si catapultano in queste sequenze, aderendo del tutto alle parole del cantautore italiano: “Mi sento strano davvero”, “Mi fa sentire leggero” e, ancora, “Vai che m’innamoro davvero/ per troppi giorni, da quanti?/ quasi una vita a cercarti e adesso/ ti ho qui davanti e vedrai,/ vedrai che di tempo ne avrò, ne avrai/ d’amore quanto vorrai perché non basta mai.

c'è ancora doamni cinematographe.it

C’è ancora domani è, anche nella soundtrack, un’altalena di emozioni e di cambi di registro repentini. Non stupisce allora che anche le musiche composte da Marchitelli seguano adagio questo ritmo, esteriorizzando in suoni lo stato d’animo della protagonista e sostituendosi alle battute. Accade, per esempio, nella scena in cui Delia riceve una misteriosa lettera (scandita dal brano La lettera di Lele Marchitelli): c’è tensione e un silenzio strano, c’è paura inespressa.
La paura, quella vera ma da affrontare obbligatoriamente, è invece sdrammatizzata da un’allegria che fa da contraltare alla violenza domestica. Ivano picchia la moglie Delia sulle note di Nessuno. Ma non aspettatevi la voce di Mina! Il brano, scritto da Antonietta De Simone e musicato da Edilio Capotosti e Vittorio Mascheroni, è qui riproposto nella versione di Musica Nuda, il duo composto da Petra Magoni & Ferruccio Spinetti, che regalano al testo una luce nuova, più sprint ed energica, persino più leggera, che ben si presta a far da sfondo a una coreografia che alterna schiaffi, lividi e passi di danza, come se volesse sdrammatizzare o normalizzare la violenza.

Ma la violenza, lo sa bene il padre di Ivano (quella dispotica canaglia di Sor Ottorino, a cui Giorgio Colangeli presta il volto), non va normalizzata: “nun je poi mena’ sempre, se no s’abitua. Una, ma forte!”. E infatti dopo il discorso del padre il personaggio di Mastandrea, che è sempre nervoso “perché ha fatto due guerre”, tenta di rimediare alle botte invitando la moglie a ballare e stringendola forte a sé. Una scena che lascia nuovamente trasudare quella frizzante aria da musical, con un Valerio Mastandrea dal sorriso quasi smagliante e una Paola Cortellesi attonita, stravolta da quel forzato cambio d’umore, che si agita sulle note del cantante e attore Achille Togliani in Perdoniamoci (1960). Un brano, presentato anche questo al Festival di Sanremo, le cui parole corrono sul filo del rasoio, pronunciando promesse, avanzando pretese e rimembrando passioni sincere e lontane, che però, contestualizzate nella trama di C’è ancora domani, si svuotano irrimediabilmente di significato, somigliando sempre più a mere bugie.

A irrompere nella mielosità anni ’60 è la musica originale composta da Lele Marchitelli, che col singolo Nella città arriva giusto in tempo a immettere un po’ di brio. I suoni sono scivolosi, suadenti, distillati e appuntiti come spilli, punteggiano una Roma in bianco e nero in cui la protagonista fagocita il presente. Accelera e decelera continuamente, come a voler investigare; come a ricordarci il mistero di quella lettera che resta assopito fino all’ultimo frangente del film. È in questo brano che si snoda l’abisso che separa i tanti registri del lungometraggio: ci si aspetta qualcosa di clamoroso, da Delia, un colpo di testa contemporaneo. Scopriremo invece che ciò che avviene, adesso, lo avremmo giudicato “normale”, eppure c’è sensazionalità nell’aria e la musica è complice di questo teatrino assurdo quanto veritiero.

Da La sera dei miracoli di Lucio Dalla al rap: la soundtrack del film di Paola Cortellesi è un perenne mutamento

“È la sera dei miracoli”, recita Lucio Dalla in una delle sue canzoni più belle, scritta dal cantautore bolognese a seguito di una serata in cui la Capitale si palesò a lui in tutta la sua bellezza, incendiata da feste e gente ubriaca. E i miracoli, si sa, hanno tante forme. Quelli di Delia sono fatti di paura, di lungimiranza e coraggio, probabilmente anche di follia. Già, follia! Quella che la spinge a modificare il destino della donna a cui tiene di più, la figlia Marcella, la quale vede nel matrimonio una liberazione e un riscatto sociale. Ma Delia, che come tutte le mamme conosce la verità, rivede nei gesti e nelle parole tra Giulio e Marcella la stessa traccia della sua vita matrimoniale: non può permetterlo!

La sera dei miracoli scorre in tutta la sua poeticità lungo la pellicola diretta da Paola Cortellesi, ci porta tra i vicoli e per le piazze, ci fa a pezzi con la bocca, proprio come una canzone; ci porta a largo, nel confine labile che separa paura e audacia, su una nave di fatto inesistente che però ci fa intravedere la possibilità di una svolta. C’è adrenalina e fiducia, c’è persino quel pizzico di ansia, acuita dagli eventi che bloccano i piani della protagonista.
Il miracolo a cui fa cenno Dalla, allora, non si palesa fino in fondo, eppure è già accaduto nella rivoluzione mentale di Delia, nella sua determinazione che le mette in corpo la fretta e che non tarda a esplodere in Ansia e dolore di Lele Marchitelli: un connubio di corde e tasti che si affollano come soldatini scomposti infilzando adagio il nostro stato d’animo e spargendo punti di domanda a ogni interstizio.

Si apre a una luce nuova, poi, nel luminoso singolo che ruba il titolo al film stesso: C’è ancora domani è un brano d’ampio respiro, intriso di fiducia e liberazione. Lo ascoltiamo nella scena in cui Delia entra nella camera dei figli, poco prima di uscire di casa. Tuttavia anche qui il nervosismo fa visita alla protagonista – e di rimando a noi spettatori – sull’uscio, dove Ivano la sorprende, tentando di bloccarla. È un braccio di ferro tacito e che si trascina per molto, ma la sua arguzia alla fine ha la meglio.

Una volta oltrepassata la porta di casa Delia fugge come il vento, attraversando la città di corsa (ma non troppo, perché deve darci il tempo di leggere la scritta “abbasso i Savoia” sul muro) al ritmo di B.O.B (Bombs Over Baghdad) degli Outkast, il duo rap americano che con impeto si abbandona al suono della batteria, della chitarra e del basso, attingendo persino alle vocalità gospel nel ritornello.

Scritta con riferimento alla Guerra del Golfo, la canzone è divenuta popolare durante la guerra in Iraq, in occasione della quale le truppe americane pare l’abbiano intonata per farsi coraggio.
Gli autori, dal canto loro, hanno dichiarato che ogni brano può essere interpretato dal pubblico in maniera differente. Quello che realmente fa B.O.B. (Bombs Over Baghdad) è un elogio al potere della parola e alla forza dei giovani, che possono lottare per ciò che ritengono giusto anche andando contro a strutture politiche e sociali ben consolidate. Una canzone, quindi, che incoraggia al cambiamento e che, come ogni forma d’arte che si rispetti, ha il beneficio di essere intesa come meglio si crede.

Nella Roma del dopoguerra in cui si svolge C’è ancora domani, come è ovvio, si è storicamente lontani dalle bombe di Baghdad e anche la dittatura, per fortuna, è stata seppellita. Eppure qualcosa per cui lottare c’è, perché c’è sempre. Delia quindi corre all’impazzata, perché ha bisogno di lottare e senza armi; ha bisogno di esserci in quell’appuntamento con la storia che probabilmente non le stravolgerà la vita quotidiana, ma è un passo avanti verso il cambiamento, verso una piccola rivoluzione.
La canzone, col suo ritmo frenetico, si arresta nel momento stesso in cui Ivano scorge la lettera sul pavimento e perciò maledice la moglie, uscendo di casa con l’intenzione di fargliela pagare.

Ma alle urne non c’è solo la sua donna, bensì un plotone di donne che, entusiaste, si accingono a votare per la prima volta. E tutte loro, redarguite a suon di “stai zitta!”, adesso hanno imparato a rispondere “a bocca chiusa”. Le parole di Daniele Silvestri si cicatrizzano sulle immagini in movimento, fino a siglare il patto tra musica e cinema indissolubilmente e a tatuarsi nelle espressioni di Delia e di chi, come lei, affronta a testa alta le disparità.

A bocca chiusa: la canzone di Daniele Silvestri è la consacrazione della resistenza in C’è ancora domani

Il cantautore capitolino confeziona un singolo popolare, rubando agli stornelli romani, citando Gaber (“libertà è partecipazione”) e componendo l’affresco dell’italiano medio, di chi scende in piazza a protestare, anche solo “per decenza”, senza scudi né armi, solo con la forza della propria voce. “Con solo questa lingua in bocca”, dice Silvestri, creando un continuum con la canzone citata in precedenza, “E se mi tagli pure questa/ Io non mi fermo, scusa/ Canto pure a bocca chiusa”.
E infatti la si canta, A bocca chiusa, con le labbra serrate e lo sguardo grondante di futuro. La si canta dentro, mentre le parole scavano strade dentro di noi e ci insegnano a ricordare chi eravamo e chi siamo. Ci insegnano la resilienza, a parlare persino senza lingua, che qui è arma e scudo.

E mentre The little things (Big Gigantic featuring Angela McCluskey, scritta da Dominic Lalli e Angela McClusk) si lascia ascoltare nelle immagini che ci accompagnano verso i titoli di coda, non possiamo non citare le altre canzoni di repertorio che si incastonano nella soundtrack di Lele Marchitelli: Swinging on the right side e Tu sei il mio grande amor, entrambe di Lorenzo Maffia e Alessandro La Corte.