La concessione del telefono – C’era una volta Vigàta: viaggio tra le location del film

Un excursus tra le location sicule dove Roan Johnson ha ricostruito l’immaginifico mondo di Vigàta nella trasposizione dell’omonimo romanzo storico di Camilleri.

A chi non piacerebbe fare un salto nel magico mondo dei film del grande e piccolo schermo? Presto detto, ci sono pellicole girate in splendide città e ambientazioni extraurbane disseminate alle varie latitudini, ma anche una miriade di luoghi che si possono raggiungere solo attraverso il potere dell’immaginazione, creati per servire la narrazione in ogni minimo dettaglio. Luoghi quest’ultimi che hanno e continuano a vivere e popolarsi in città inesistenti (dalla Gotham City di Batman alla cittadina provinciale di Hill Valley di Ritorno al futuro, dalla Cloud City di Star Wars – Episodio V alla Città di Smeraldo de Il mago di Oz, passando per il villaggio di Hogsmeade della saga di Harry Potter e la Toontown di Chi ha incastrato Roger Rabbit) nate in più di un caso dalle pagine di libri o dalla fantasia dello sceneggiatore di turno con il fine di rispecchiare e assecondare la natura del racconto, evidenziandone lo stile attraverso i dettagli, i colori, le architetture e i quartieri. Alcuni di questi luoghi, ricreati grazie alla forza del cinema e della televisione, sono così reali e assomigliano così tanto a quelli reali che quasi non riusciamo a credere siano inventati.

Dove si trova Vigàta, la città in cui è stato girato La concessione del telefono?

E poi c’è Vigàta, il comune immaginifico situato in terra sicula resa celebre dai romanzi di Andrea Camilleri, entrata da decenni nei cuori dei lettori prima e del pubblico televisivo, che non si trova sulla carta geografica ma che geograficamente si colloca in un’area compresa tra la collina di Girgenti (Agrigento) e il mare africano. Ed è proprio in questo territorio letterario e universale, ma caratterizzato e facilmente riconoscibile, che si muovono e si alimentano le (dis)avventure dei personaggi storici e moderni partoriti dalla penna inesauribile del compianto scrittore e drammaturgo. Lo stesso autore li ha definiti luoghi semifantastici che “esistono come struttura toponomastica di base” per tenere in qualche modo sotto controllo le figure chiamate in causa ma i cui confini sono a geometria variabile per soddisfare al meglio le esigenze della narrazione. Luoghi che esistono veramente  ma che si allargano e dilatano fino a inglobare vicende e fatti di altri paesi siciliani e quindi finiscono col diventare paradigmatici della Sicilia stessa. Per modus operandi, infatti, Camilleri sceglie di non adoperare i toponimi reali delle città siciliane, ma trasforma ogni nome con suoni simili. Ad esempio Fiacca è Sciacca, Fela è Gela, la stessa Vigàta, anche se elevata a capoluogo di provincia, richiama nel suono Licata.

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Nello specifico la località corrisponde nella realtà a Porto Empedocle, paese natale di Camilleri, in provincia di Agrigento. In un’intervista, infatti, ha dichiarato che Vigàta altro non è che il cortile della scuola da lui frequentata da giovane. In questo luogo, nelle pause di metà mattinata e all’uscita da scuola in attesa della corriera, i ragazzi della scuola provenienti dal territorio vicino raccontavano le storie dei propri paesi ed è dall’unione di tutte queste storie che prende corpo un paese immaginario che in seguito lo stesso Camilleri battezzerà appunto Vigata ispirandosi alla vicina Licata:

Vigàta in realtà è Porto Empedocle. Ora, Porto Empedocle è un posto di diciottomila abitanti che non può sostenere un numero eccessivo di delitti, manco fosse Chicago ai tempi del proibizionismo: non è che siano santi, ma neanche sono a questi livelli. Allora, tanto valeva mettere un nome di fantasia: c’è Licata vicino, e così ho pensato: Vigàta. Ma Vigàta non è neanche lontanamente Licata. È un luogo ideale, questo lo vorrei chiarire una volta per tutte.

La concessione del telefono: un’odissea fisica ed epistolare si muove sull’asse Palermo, Montelusa e Vigàta

Chiarito l’arcano (per moltissimi il cosiddetto “segreto di Pulcinella”) e geolocalizzata la macro-area d’interesse laddove sorgono le topografie della cittadina in questione, possiamo ora avventuraci alla scoperta delle location che hanno fatto da cornice a La concessione del telefono, terzo romanzo della serie antologica C’era una volta Vigàta, la cui trasposizione televisiva firmata da Roan Johnson (scritta a sei mani dal regista con Camilleri e Francesco Bruni) è andata in onda nella prima serata di Rai 1 lo scorso 23 marzo. Si tratta di un’opera di matrice storica di stampo satirico che unisce fantasia ad eventi reali al fine di riprodurre quella che era la Sicilia di fine Ottocento. Di conseguenza è di un period-movie e di un film in costume che si sta parlando e in quanto tale la società di produzione che si è fatta carico dell’adattamento (la Palomar di Carlo Degli Esposti) ha dovuto riavvolgere le lancette dell’orologio, per la precisione sino al 1891, per ricostruire l’immaginaria Vigàta dell’epoca nella quale è ambientata l’odissea giudiziaria, amorosa ed epistolare del giovane commerciante di legnami Pippo Genuardi. Un’odissea, quella per ottenere la concessione di una linea telefonica, che porterà il protagonista fino alle estreme conseguenze e che sul versante geografico si muove sull’asse Palermo, Montelusa e la già citata cittadina.

Il loggiato del Sinatra di Ispica si trasforma per l’occasione in un’agorà e luogo di ritrovo dei personaggi principali

L’attento lavoro di assemblaggio di diverse location iblee per dare un senso di unità urbanistica operato dal location manager, dal comparto scenografico e da quello fotografico, al quale ha dato continuità la regia del cineasta anglo-italiano, ha fatto in modo che il meccanismo a orologeria drammaturgico, ma soprattutto la cornice pensata da Camilleri per ospitarlo, prendessero forma e sostanza dalla carta allo schermo. Per ricrearlo i responsabili hanno mescolato senza soluzione di continuità luoghi reali siti in varie località della Sicilia orientale, tra la provincia di Ragusa e quella di Agrigento. Le riprese de La concessione del telefono hanno così toccato differenti location. Tra quella più affascinanti c’è senza ombra di dubbio il loggiato del Sinatra di Ispica, laddove sono ambientate molte scene in esterno, con la suggestiva piazza trasformata per l’occasione in agorà e luogo di ritrovo della cittadinanza. Insomma, un vero e proprio crocevia determinante per l’evolversi del giro di vite che coinvolge i personaggi principali e secondari. È qui che in svariate circostanze Genuardi si intrattiene con il malavitoso don Lollò Longhitano tra un bicchiere di vino e l’altro in una delle locande, ed è sempre qui che sotto il porticato Lilliana Lo Re e Taniné Schilirò passeggiano scambiandosi segreti inconfessabili, confidenze intime e dettagli peccaminosi.

Interni importanti allestiti in prestigiose dimore storiche tra Scicli e Palermo: da Palazzo Spadaro a Palazzo Montevago e Palazzo Comitini

In quel di Scicli, invece, la troupe è stata ospite di alcune strade, ma soprattutto di Palazzo Spadaro, dimora storica costruita a più riprese durante il 1700, caratterizzata da un prospetto in lunghezza di stile tardo-barocco. Nelle sontuose stanze, tra le scalinate e i corridoi dell’edificio, Johnson ha ambientato le scene in interni, così come in quelle di Palazzo Montevago e Palazzo Comitini nel momento in cui le riprese si sono spostate in quel di Palermo. Tutte queste prestigiose e affascinanti topografie hanno fatto da sfondo alle sequenze degli alloggi privati delle famiglie protagoniste, ma anche le cosiddette stanze dei bottoni dove i rappresentanti delle istituzioni provano a dare il meglio, ma finiscono con il dare il peggio di loro. È qui che si consumano tradimenti e sotterfugi casalinghi, ma anche gli accesi dibattiti tra questori e prefetti, oltre che il processo.

Piazza Pretoria a Palermo trasformata in un set a cielo aperto di una delle scene chiave de La concessione del telefono, quella dell’attentato a Sasà La Ferlita

Il capoluogo siciliano si è poi prestato ulteriormente come set dove la troupe ed il cast hanno lavorato in particolare in Piazza Pretoria, tra la chiesa di Santa Caterina e Palazzo Bonocore, ma anche in via Maqueda. Un set a cielo aperto quello della storica piazza palermitana che ha fatto da cornice a una delle scene chiave del film, ossia la sparatoria ai danni di Sasà La Ferlita e per il quale il Genuardi verrà processato con l’accusa di tentato omicidio.

Per chiudere con Comiso, la città casmenea che ha visto il suo ombelico Piazza Fonte Diana piombare per un giorno nell’ottocento visionario di Camilleri, ospitando carrozze e cavalli, banchi ambulanti e comparse vestite da passanti occasionali.

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