C’è ancora domani dov’è stato girato? Le location del film

Un tuffo negli anni '40, nella Roma popolare immortalata da Paola Cortellesi. Scopriamo le location di C'è ancora domani, al cinema dopo essere stato presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023.

Ci sono le donne, in C’è ancora domani, c’è la fame, i cortili affollati di comari e chiacchiere, i pregiudizi, le differenze di genere e classe. E poi si sale a piedi (che l’ascensore è riservato ai signori!) per le scale d’avorio, su fino a quei balconi assolati e talvolta solitari, in cui la pace dura il tempo di una sigaretta passata sottobanco.
Il primo film da regista di Paola Cortellesi è una poesia da masticare piano, il ritratto sbilenco di chi eravamo tatuato sulla pelle di una Roma in bianco e nero, che non ruba la scena ma l’accompagna, intrufolandosi tra le parole e i gesti e nel batticuore di una Capitale che si è appena scrollata di dosso l’ombra di una guerra che ha lasciato strascichi di miseria e rabbia, ma anche tanta voglia di futuro, nell’illusione concreta di un “domani” che per certi versi è sempre in divenire.

C’è ancora domani attraversa, con la storia di Delia (Cortellesi), il vissuto di tante mamme e nonne di quel tempo. Lo fa con rassegnazione e sfida, con crudeltà e ironia, con vergogna e orgoglio, bagnandosi rispettosamente gli occhi di quella visione cinematografica neorealista, che viene citata ma non imitata. Così il film omaggia non solo una delle più importanti pagine della nostra storia, bensì anche la Roma del dopoguerra, della quale ci restituisce una moltitudine di cartoline d’epoca.

La Roma di Paola Cortellesi in C’è ancora domani

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Andando a ripercorrere le location del film, che vede nel cast, oltre a Paola Cortellesi, anche Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli e Lele Vannoli, non si può che partire dal rione Testaccio, attorno al quale ruotano la maggior parte delle scene.
Si tratta di uno dei quartieri più antichi e vivi di Roma, compreso tra via Marmorata (chiamata così per via dei depositi di marmi che giungevano a Roma via fiume, collega il porto di Ripa con la Porta San Paolo), le Mure Aureliane (costruite tra il 270 e il 275 d.C. dall’imperatore Aureliano) e il fiume Tevere.

Abitato perlopiù dalla classe operaia, il XX rione della Capitale deve il suo nome al famoso Monte dei Cocci (“Mons Testaceum” in latino), un monte di una trentina di metri formatosi con l’accumularsi di circa 25 milioni di antiche anfore, depositate lì dopo essere state svuotate. I rottami delle stesse venivano disposti ordinatamente e cosparsi di calce, così da evitare gli odori dovuti alla decomposizione dei residui organici. Qui, ovviamente, si trovava anche il porto dell’Emporio (di cui sopravvivono i resti), attivo fin dall’epoca romana.

La casa di Delia, la certosina ricostruzione di Paola Comencini in C’è ancora domani

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L’abitazione in cui la protagonista vive insieme al marito e ai figli è situata in via Bodoni. Qui si trova il cortile in cui le vicine si riuniscono e i bambini giocano e si ha accesso all’abitazione di Delia, i cui interni sono però stati ricostruiti presso gli studi di Cinecittà. A tal proposito la scenografa Paola Comencini ha fatto un lavoro certosino affinché ricordasse la casa di Bellissima (1951), il film di Luchino Visconti con Anna Magnani.

La dimora in cui molte scene di C’è ancora domani si svolgono rievoca certamente lo stile dell’epoca, risultando abbastanza angusta e semplice. Si notano, per esempio, le finestre quasi alla stessa altezza della strada, che ci danno una visione dall’alto verso il basso nel momento in cui uno degli inquilini le apre o le chiude. La loro posizione e di conseguenza anche quella dell’appartamento, palesemente posto al primo piano, giocano un ruolo fondamentale nei giochi di luce mattutini.
La stanza più spaziosa e a cui si dà molta importanza nella composizione delle scene è la sala da pranzo che accoglie i pasti familiari, ma anche le liti e l’atteso pranzo di fidanzamento tra Giulio e Marcella.

La miscellanea di stili ci fa comprendere le condizioni poco agiate della famiglia e si ritrova anche nella camera da letto di Delia e Ivano, caratterizzata da carta da parati alle pareti, un dipinto religioso, un catino per lavarsi al mattino, un paravento in pieno stile anni ’40.
Anche la camera dei ragazzi (provvista di soli due letti e non tre) e quella in cui riposa il suocero sono abbastanza semplici e la cucina, altra stanza in cui Delia si trova spesso, è piuttosto piccola, con pentole appese, mensole e un tavolo ligneo.

Testaccio: la Roma operaia

Tra le location del film anche il mercato di Testaccio, parte del quale è stato trasformato in un mercato ortofrutticolo tipico dell’epoca. Qui lavora la migliore amica di Delia, Marisa, interpretata da una fenomenale Emanuela Fanelli.
Chiaramente, mentre l’antico mercato è visitabile, il nuovo è sempre attivo e frequentatissimo, caratterizzato da una copertura trasparente che dà l’impressione di trovarsi all’aperto, pur proteggendo dalle intemperie e consentendo così ai romani l’abituale shopping.

Immancabile sulla scena il Lungotevere Testaccio e le varie strade limitrofe, come la centralissima Via Cola di Rienzo (oggi pullulante di negozi, hotel, ristoranti). Come ci suggerisce il location manager del film Diego Morina, scavando nei suoi ricordi sul set, è questa la strada che Delia attraversa frettolosamente al mattino per raggiungere le abitazioni delle persone presso le quali è a servizio, la merceria o la bottega dove si reca per riparare ombrelli. Nelle sue corse si vede anche una scritta: “Abbasso i Savoia viva la Repubblica”: dubitiamo che ci sia ancora!

C’è però il palazzo signorile in cui Delia va a fare le iniezioni e si trova in una delle arterie principali di Roma, grazie alla quale si raggiunge facilmente la zona dei Fori Imperiali, ovvero Via Cavour (“esattamente al civico 261“, ci dice sempre Morina), confuso tra i negozi di souvenir moderni, con l’accesso che resta nel buio, filtrato da un cancello interno.
Si vede anche una chiesa, in C’è ancora domani; la regista ci lascia fare un giro al suo interno ma non si focalizza tanto su affreschi e opere sacre, quanto sulla fretta della protagonista, che non vede l’ora di fuggire via e compiere la sua missione.
Indossato il vestito buono e posto il fazzoletto in testa, Delia si accinge a recitare la sua parte nel quadretto in pieno stile italiano della famiglia perfetta. La Chiesa di Santa Caterina si presta a sala d’attesa della sua premura per poi ancorarla lì davanti nel momento in cui si apprende la morte del suocero. E in quell’istante il Signore è proprio lì a portata di mano, nella maestosità tardo-rinascimentale di quei gradini d’avorio sui quali si prostra Ivano, in una sequenza in cui la disperazione si lascia volontariamente prendere in giro.

Edificata da un allievo di Michelangelo, la Chiesa è dedicata Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, martire vissuta nel IV secolo, e custodisce al suo interno preziose opere d’arte, come l’Incoronazione di Maria di Annibale Carracci.

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La Roma che si vede nel film, come dicevamo in apertura, non ruba mai la scena ai personaggi, ma si fa sfondo in cui le loro gesta quotidiane si agitano. È una città rinchiusa nella sua mentalità ancora fin troppo retrograda, nei mercati, nei pregiudizi, nei detti, nelle risate e negli schiaffi. La stessa dove ancora adesso, con un po’ di immedesimazione, potete passeggiare e magari udire, da qualche finestra aperta, l’allegria che si scatena alla vista delle pastarelle portate in tavola a fine pasto, o sorprendere una vecchina che prepara le puntarelle.

Le puntarelle alla romana (ma che ne sanno gli americani?)

Ecco, a proposito di cose da mangiare, che nel dopoguerra non erano poi così abbondanti per tutti! Non vi parleremo della zuppa di latte né della marmellata preparata da Marisa e neanche di gelati e maritozzi, piuttosto è meglio parlare delle già citate puntarelle, casomai vi finisse come il soldato americano, a cui Marisa le regala in cambio di un pacco di sigarette.

Ma cosa sono le puntarelle con cui si prepara una sfiziosa insalata? Si tratta dei germogli interni della cicoria catalogna, che vengono tagliati finemente a julienne, immersi in acqua e ghiaccio in modo da diventare meno amare e assumere la classica forma arricciata (si trovano già pulite e arricciate, non temete!), dopodiché vanno insaporite con un condimento a base di olio extravergine d’oliva, acciughe (tagliate sottilmente, quasi a diventare una poltiglia), aglio e aceto di vino bianco. Una delizia!