Venezia 78 – Freaks Out: recensione del film di Gabriele Mainetti

Presentato in concorso a Venezia 78, Freaks Out è l’attesissimo titolo di Gabriele Mainetti, che dopo Lo chiamavano Jeeg Robot torna sullo schermo con una storia supereroistica ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale.

Da un soggetto originale di Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti scrive e dirige il suo secondo progetto del regista dopo Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), prodotto in collaborazione da Goon Films, Lucky Red e Rai Cinema. Rinviato di un anno a causa della pandemia Covid-19 (inizialmente il rilascio era stato programmato per il 22 ottobre 2020), Freaks Out è la sfida che il regista ha tradotto in esperienza cinematografica mosso dalla necessità di combinare insieme gli elementi caratteristici di due diverse “letterature”: romanzo d’avventura e romanzo di formazione, ampiamente arricchito da una palese riflessione sul valore della diversità.

Per farlo, Mainetti ha conquistato la Roma del ’43 eleggendola a set prediletto per l’esplosione della sua fantasia, per l’elaborazione di personaggi tanto umani quanto stravaganti, ritratti in un rapporto intimo e familiare con gli altri esemplari che condividono la medesima sorte, quella degli outsider. “I freaks coi poteri” sono stati invece un’idea di Guaglianone, appassionato di Tod Browning – l’autore esiliato da Hollywood per aver osato mostrare la diversità sullo schermo. Un’idea brillante e d’effetto che sembra avere tutte le carte in regola per affrancare l’Italia dalla sua eterna natura d’Appendice e pareggiarla all’universo supereroistico che da anni impera sul suolo americano.

Con Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Aurora Giovinazzo e Giorgio Tirabassi, Freaks Out è in uscita nelle sale italiane dal 28 ottobre.

Un cast di veri Freaks: Pietro Castellitto e Aurora Giovinazzo sono Cencio e Matilde in Freaks Out

Roma, 1943: i quattro freaks Fulvio (Claudio Santamaria), Matilde (Aurora Giovinazzo), Cencio (Pietro Castellitto) e Mario (Giancarlo Martini) vivono comunitariamente nel Circo di Israel (Giorgio Tirabassi), un ebreo che ha sacrificato l’intera vita per rendere i sogni una realtà possibile. Gli spettacoli di Israel valorizzano i poteri dei suoi amici, cresciuti come figli e fratelli, ciascuno dotato di un proprio, peculiare dono: Fulvio è un uomo lupo dalla forza straordinaria, Mario attrae magneticamente qualsivoglia oggetto metallico, Cencio sa dominare l’universo animale e Matilde è in grado di sprigionare un quantitativo di energia sufficiente a sterminare chiunque la tocchi senza protezioni. Quando Israel viene rapito e deportato dai soldati nazisti, il gruppo si mette in marcia per salvare l’amico e ripartire da zero. Nel doloroso viaggio, gli eroi affronteranno i nemici più temibili: l’orrida spietatezza del regime nazista, che nel film assume progressivamente il volto di Franz (Franz Rogowski) – capo del circo tedesco convinto che i freaks siano l’unica possibilità di riscatto per la Germania -, e il timore del dono, la paura di non essere abbastanza forti da saper controllare il proprio unico, intimo potere.

I supereroi “italianissimi” ci liberano dal male

Cullati e fluttuanti tra le rovinose meraviglie di una Roma a cielo aperto, i freaks di Freaks Out  fungono da antidoto al grigiore della guerra in atto: alla sequenza iniziale, scandita dalla poetica suggestiva di un circo che somiglia ad un Luna Park illuminato, fa da contraltare la disumana empietà dei soldati nazisti, che subito attualizza la cornice drammatica. Nei personaggi tratteggiati da Mainetti e Guaglianone c’è un tratto essenziale che tenta con vigore di emergere e svettare sugli altri: l’alterità come dono da accogliere e perdonare, l’occasione di affrancare la media contemporaneità dall’idea che essere altro, diverso, particolare sia essere mostruoso, pericoloso, ripugnante. La regia immersiva di Mainetti e la vigorosa colonna sonora trascinano lo spettatore in una favola grigia che assume progressivamente colore, così come i personaggi che si formano in crescendo emancipandosi dalla natura macchiettistica con cui li vediamo entrare in scena. Se l’universo tratteggiato dal regista sembra credibile e motivato nel dar vita ad un incanto tipicamente nostrano ma dal sapore internazionale, a pesare è l’eccessiva estensione temporale che, sebbene scorrevole, appesantisce i nessi narrativi trovandosi costretta a ricercare soluzioni stilistiche non necessarie.

Una risata vi seppellirà: è così che, inserendosi in un filone narrativo già sperimentato in altri esempi cinematografici (da Il Grande Dittatore del ’40, a JoJo Rabbit di Taika Waititi del 2019), Mainetti esalta il potere dello scherno, della derisione, della beffa. Gli ultimi degli ultimi, quei freaks stravaganti che la gente adora vincere e mortificare, ora umiliano e reprimono il male con la propria unicità: la magia è la Resistenza e il Bene è il fuoco, un’energia capace di avverare una pace ardente che ci renda liberi di essere chi siamo, quando siamo pronti ad esserlo.

 

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

3.2