Lo chiamavano Jeeg Robot: recensione

Un regista esordiente come Gabriele Mainetti, un soggetto di un genere poco trattato nel cinema italiano, ovvero quello dei supereroi, un titolo altisonante davanti al quale a molti è scappato un sorriso di scherno. Gli ingredienti per fallire c’erano tutti, e in molti aspettavano al varco il film, pronti a stroncarlo senza pietà. Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2015, Lo Chiamavano Jeeg Robot ha invece riscosso applausi a scena aperta da critica e pubblico, rivelandosi il vincitore morale della rassegna e portando un’inaspettata boccata d’aria fresca al cinema di genere italiano. Una splendida sorpresa che affonda le proprie radici nei recenti cinecomic, che vengono presi a riferimento, omaggiati e parodiati da Gabriele Mainetti. Il regista evita però abilmente di rimanere ingabbiato all’interno del genere (come accaduto invece a Gabriele Salvatores nel suo Il ragazzo invisibile), rielaborandolo in un’opera originale, genuina e che non rinnega mai la propria italianità.

Lo chiamavano Jeeg Robot – la storia del supereroe di cui il cinema italiano aveva tanto bisogno

Un ottimo Claudio Santamaria, ingrassato di circa venti chili appositamente per la parte, dà il volto a Enzo Ceccotti, un ladruncolo romano che conduce una vita dissoluta e senza scopo fatta di piccoli furti, maratone di film porno e una quantità industriale di yogurt alla vaniglia. A seguito di una precipitosa fuga, il protagonista si immerge in una zona del Tevere contaminata da una sostanza radioattiva, acquistando un’impressionante forza fisica, che Enzo decide di impiegare non per fini di pubblica utilità, ma per azioni volte a migliorare la sua attività criminale, come sradicare interi bancomat dal muro. Più che un eroe, un antieroe dunque, che ha comunque bisogno della sua nemesi, ovvero Lo Zingaro (interpretato da uno stratosferico Luca Marinelli), spietato boss malavitoso con il gusto per la violenza e per la teatralità, che mette gli occhi sui particolari poteri di Enzo. Ad accompagnare il protagonista nella sua avventura è invece la bella Alessia (Ilenia Pastorelli), ragazza dai disturbi psichici convinta che Enzo sia in realtà Hiroshi Shiba, il protagonista dell’anime Jeeg robot d’acciaio, che lei vede e rivede in continuazione.

Lo chiamavano Jeeg robot

L’opera prima di Gabriele Mainetti, magistralmente  sceneggiata da Nicola Guaglianone e Menotti, stupisce per brio, intensità e per la perfetta miscela fra violenza e ironia con la quale vengono scardinati dall’interno tutti gli stereotipi dei supereroi hollywoodiani. L’eroe di Lo chiamavano Jeeg Robot non nutre alcun interesse verso il prossimo o per il bene comune, non riconosce alcuna investitura nei poteri che miracolosamente acquista, se non quella di poter delinquere più facilmente. Non è da meno il suo rapporto con Alessia, con la quale nasce un rapporto spigoloso e vero, lontano dalle storie d’amore patinate e zuccherose a cui ci hanno abituato i blockbuster più recenti. L’ambientazione ideale per un eroe così scontroso, taciturno e socialmente inetto diventa così la Roma degradata e abbandonata di Tor Bella Monaca, all’interno della quale si muovono personaggi loschi e ai margini della società, che come tante bestie affamate agiscono per il proprio tornaconto personale e per un pezzo di pane in più. Il regista riesce però a evitare di prendersi troppo sul serio, spezzando continuamente il racconto con una comicità rozza e coatta, ma ugualmente irresistibile, simbolo della romanità più vitale e divertente. Il risultato è un film che riesce a intrattenere e mantenere sempre alta la tensione, giocando con gli stessi generi che attraversa e lasciando il segno in un panorama cinematografico nostrano troppo spesso piatto e omologato

La risposta low budget ai cinecomic di Christopher Nolan

Completa il quadro un cast affiatato e sempre all’altezza della situazione, all’interno del quale merita una citazione a parte lo straordinario Luca Marinelli, che conferma quanto di buono aveva già fatto vedere con Tutti i santi giorni e Non essere cattivo, proponendosi come l’astro nascente del cinema italiano. Il suo Zingaro è una perfetta combinazione di sapiente scrittura e sublime interpretazione, che ricorda, con le dovute proporzioni, il Joker portato su schermo da Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro: sanguinario, folle, vittima di diversi tic nervosi e con una passione particolare per la platealità delle proprie azioni, che vengono accompagnate da brani di musica pop italiana, movimenti sinuosi del corpo e indescrivibili espressioni facciali. davanti a cui diventa inevitabile ridere e rimanere affascinati allo stesso tempo. Purtroppo la Festa del Cinema di Roma quest’anno non ha assegnato premi agli attori, ma in cuor nostro avremmo voluto vedere premiato proprio il giovane interprete romano.

Lo chiamavano Jeeg robot

Lo chiamavano Jeeg Robot: sequel in arrivo?

L’unico piccolo difetto che possiamo trovare in questo piccolo gioiello è un finale eccessivamente allungato, ma è davvero il voler cercare il pelo nell’uovo in una pellicola che per il resto funziona egregiamente in ogni sua componente.
La rinascita del cinema italiano può passare anche per Lo chiamavano Jeeg Robot? La risposta è sì, perchè mai come in questo momento abbiamo avuto bisogno di film fatti con idee, rispetto per il pubblico e soprattutto passione. Giù il cappello quindi davanti a Gabriele Mainetti, Claudio Santamaria, Luca Marinelli e il resto del cast, che ci auguriamo di rivedere presto, magari in un sequel, a cui il finale lascia la porta aperta e che potrebbe essere realizzato se, come speriamo, il pubblico premierà il coraggio e la freschezza di questo progetto.

Giudizio Cinematographe

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4

Voto Finale