RomaFF14 – Tornare: recensione

Ripercorrere luoghi del passato: con Tornare la regista Cristiana Comencini dirige un'opera sul percorso di patimento per la protagonista e il suo pubblico.

Rivisitare luoghi del passato. Ripercorrere una casa rimasta vuota, una volta popolata dai desideri di una bambina, ora fatta rivivere solamente attraverso i ricordi. Sono le stanze a suscitare gli stessi fantasmi, ombre che si aggirano per gli angoli immutati della dimora d’infanzia e riscoperti grazie a suggestioni ancora vive e ripetute. È la memoria che viene rimessa in circolo nell’esplorazione di un posto ora estraneo, appartenuto però a quei momenti della giovinezza e dell’infanzia che sembrano non aver mai lasciato quelle mura, pur non volendo svelare completamente il proprio segreto. L’affiorare di rievocazioni che si ripropongono passeggiando per vecchie strade, vecchie gallerie, vecchi passaggi segreti che confinano con il mare. Tornare. Azione primaria per riattivare le sinapsi della reminiscenza e verbo messo a titolo della nuova opera di Cristina Comencini, che della funzione mnemonica cerca di farne motore per ingranare i motivi della storia e di tutte quelle svolte che proveranno a ritornare chiare nella mente della protagonista.

Tornare: la spensieratezza femminile contro il potere militare

È per la morte di suo padre che Alice (Giovanna Mezzogiorno) è tornata nella casa dei genitori, immutata da quando, anni prima, era stata costretta a lasciarla in preda all’eccesso furioso dell’uomo, tutto contro la volontà della ragazza, impossibilitata dal poter combattere con il predominio esercitato dal capofamiglia. Un fatto sconvolgente, uno scandalo che la mente della donna ha cercato di rimuovere dai propri meandri per fingere, così, di potersi salvare, ma che riconquisterà i pensieri di Alice e le permetterà di affrontare quel tragico evento, in realtà mai rimosso.

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Cristina Comencini deve farsi spazio nell’enorme casa della sua protagonista. Si addentra in camere dalle finestre socchiuse, si avvicina alle ante di un armadio per aprirne gli sportelli, prestando attenzione ai dettagli sugli abiti e sulle decorazioni della dimora che tentano di richiamare – malamente – gli anni Sessanta, nel pieno dell’adolescenza turbolenta della donna. Era la libertà di Alice a turbare gli equilibri della sua cerchia di conoscenze, all’interno della città e di quella famiglia in cui è l’assenza fisica del padre e spirituale della madre a gravare sui tormenti della ragazza. Gli anni della maturità, trascorsi perseguendo la spensieratezza, naufragano nel costante giudizio popolare. Oppressione delle condizioni femminili che cercano, in quel periodo, la strada della propria indipendenza.

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Strutturando la gerarchia di valori alla base della piramide dei dettami comportamentali e civili del tempo, la Comencini erige la gabbia di prevaricazione maschile in cui il personaggio principale è incastrato, figlia di un militare austero e autoritario e di una donna dalla bellezza mozzafiato e i nervi spezzati, in un nucleo famigliare nel quale il ruolo della santa era già stato affidato alla sorella, mentre ad Alice non resta che dedicarsi alla propria parte ribelle. Dalla scuola femminile alle feste dove gli approcci con il sesso apposto si fanno sempre più intensi, è la condizione femminile che la sceneggiatrice – insieme a Giulia Calenda – e regista Comencini cerca di stabilire all’interno nella sua opera, sperando di delinearne le contraddizioni e le incomprensioni, ma rimanendo alla superficie per un racconto che, per la sua realizzazione, presentava la necessità di un’ulteriore analisi del contesto e della narrazione.

Tornare: il percorso di patimento di Alice e del pubblico

Dai connotati di un thriller psicologico/sentimentale, non è tanto la presunta complessità della sopraffazione di cui si sentiva soggetta la giovane, né i colpi di scena che risalgono ai pensieri della protagonista e ne argomentano gli atteggiamenti a pesare sulle sorti di Tornare. È la recitazione, su tutte quelle di Giovanna Mezzogiorno e Vincenzo Amato, ad affossare uno script già non convincente nella propria autonomia, ma che in relazione alle prove attoriali degli interpreti si inasprisce inverosimilmente aggiungendo dosi di risibilità alla pellicola, contribuendo alla sua disfatta tanto quanto – e, a veder bene, di più – la sceneggiatura alla sua base. La finzione motoria e verbale della Mezzogiorno la rende una protagonista instabile e inadeguata a mantenere le redini del personaggio, abbandonandosi ai sospiri e alle espressioni fintamente sorprese che riserva allo spettatore e come influenzando di riflesso le sue controparti giovanili Beatrice Grannò e Clelia Rossi Marcelli.

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Un percorso di patimento quello di Tornare, così come quello a cui devono prepararsi gli spettatori del film della cineasta italiana. Il perseguimento di una propria personalità stroncato dalla restrizione dei tempi, dalla forza di poter affermarsi in quanto persona, in quanto vivente e pensante, ma, ancor di più, capace di amare. Un racconto che riaffaccia sul passato, che la sua protagonista deve continuare a razionare per poi esprimere, purtroppo, sul grande schermo.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 1
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.7