Roma FF18 – To Leslie: recensione del film di Michael Morris

Tanto si è detto e scritto sul debutto alla regia di Michael Morris, a partire dalla controversa campagna per la corsa all’Oscar della Riseborough. In realtà, To Leslie è una meravigliosa e disperata ballata folk, che sembra venir fuori da un duetto mai concretizzato tra Lucinda Williams e Bruce Springsteen, sull’ascesa e caduta di una classica loser di provincia, che ha perso tutto, eccetto che l’amore. Alice nella città

To Leslie, presentato in anteprima mondiale al South by Southwest e distribuito in seguito da Montemum Pictures solamente in alcune sale cinematografiche statunitensi, è l’esordio alla regia di Michael Morris, autore televisivo di prodotti celebratissimi come Bloodline, Preacher e Better Call Saul, approdato nel ad Alice nella Città 2023, sezione collaterale della 18ma Festa del Cinema di Roma.

Senza più tornare sul merito della faccenda relativa all’apparente scandalo della campagna fantasma, per la corsa all’Oscar di Andrea Riseborough, To Leslie, girato interamente in 35mm, in poco di due settimane, forte di un budget inferiore al milione di dollari, rientra a pieno titolo tra quegli esempi di cinema realmente indipendente che dal circuito di pubblico locale e ben più che limitato, riescono a raggiungere quello internazionale, ottenendo oltretutto consensi di critica davvero sorprendenti.

In un Texas che è terra di desolazione, popolata da bifolchi disinteressati alla vita e all’incessante inseguimento di un’autodistruzione perlopiù affogata nel whisky e nell’abuso di qualsivoglia sostanza stupefacente, vive, o meglio, sopravvive, la memorabile protagonista del film di Morris, Leslie (Andrea Riseborough al raggiungimento indiscutibile, della miglior prova di carriera).

Un tempo acclamata vincitrice di un jackpot da 200.000 dollari, Leslie è ormai ridotta allo sbando, a causa dell’alcolismo e dello stato di totale abbandono nel quale non fa altro che crogiolarsi, senza tuttavia aprire gli occhi di fronte all’evidenza di una possibile e sempre più prossima salvezza, come quella offerta dal dolce e malinconico Sweeney (un ottimo Marc Maron), proprietario di un piccolo motel locale.
Madre fallimentare e anima perduta, tutto ciò che sembra attendere è la morte, o quantomeno, la distruzione totale della propria identità e dignità, senza neppure considerare che chiedere scusa, a volte, può essere il miglior punto di partenza per la rinascita e il riscatto morale.

Lucinda Williams e Bruce Springsteen – Sulla malinconica e dolente bellezza dei loser di provincia

Scorrono i titoli di testa di To Leslie su di una lunga serie di fotografie di famiglia, accompagnate da Here I Am di Dolly Parton, che già di per sé rappresenta simbolicamente una precisa base narrativa del film. C’è gioia su quei volti, felicità, perfino spensieratezza.
La stessa che Michael Morris e Andrea Riseborough, cominciano a distruggere via via che il film prosegue, attraverso i continui fallimenti, le cadute, così come le menzogne e le follie, di una donna che ha perso tutto, convinta che a farlo sia stata però la vita, sempre più crudele e spietata nei suoi confronti, e non l’essere caduta nel vortice dell’alcolismo e delle dipendenze.

Se Dolly Parton e Willie Nelson, artisti presenti in momenti differenti del film, sembrano poter coincidere perfettamente con le dinamiche narrative di To Leslie, raccontando attraverso splendidi brani e versi, la disperazione d’immagine, che osserviamo sullo schermo,  appare sempre più evidente quanto in realtà questa meravigliosa e disperata ballata folk, sembri venir fuori da un duetto mai concretizzato tra Lucinda Williams e Bruce Springsteen, circa l’ascesa e caduta di una classica loser di provincia, che ha perso tutto, eccetto che l’amore.

“Feed you and pay off all your debts, kiss your brow, taste your sweat, write about your soul, your guts, criticize you and wish you luck, Drunken Angel”

Guardare a To Leslie, tornando alla dolcemente tragica Drunken Angel di Lucinda Williams fa un certo effetto. Infatti, il racconto di Leslie, loser di provincia, inizialmente acclamata, e forse perfino amata, per via di un improvviso successo, dopo essere stata privata di tale felicità, poiché spremuta fino all’osso e abbandonata sulla strada, ritrovandosi costretta a guardarsi allo specchio, senza più riuscire a vedersi, se non attraverso il fallimento, si riflette immediatamente sulle immagini vividissime sprigionate dal brano della Williams, estremamente legata alla narrazione della provincia americana, dei loser, e di quell’amore che comunque, è sempre possibile rintracciare, al di là del dolore e della fine apparente delle cose e delle emozioni.

Allo stesso modo, appare inevitabile tornare all’universo letterario e poetico, e no, non è possibile definirlo altrimenti, di Bruce Springsteen, che attraverso brani come, The River, Stolen Car, Thunder Road, Atlantic City, The Wrestler e The Promise, non ha mai smesso di raccontare esistenze disperate, disilluse e tragicamente relegate a dimensioni di distruttivo provincialismo, pur sempre segnate, talvolta con evidenza, talvolta meno, dalla presenza dell’amore. Una luce in fondo al tunnel che sopravvive alla violenza, alla solitudine e al buio della notte.

“I won big once and I hit the coast, but somehow, I paid the big cost. Inside I felt like I was carryin’ the broken spirits, of all the other ones who lost. When the promise is broken you go on living, but it steals something from down in your soul. Like when the truth is spoken and it don’t make no difference, something in your heart goes cold”

To Leslie: valutazione e conclusione  

To Leslie di Michael Morris - Cinematographe.it

L’esordio di Michael Morris è una ballata folk dolente, dolce e disperata, che pur mostrando immagini di crudo realismo, sfiorando un documentarismo soltanto apparente, sprofonda la sua autodistruttiva e solidissima protagonista Leslie in un dramma fatto di scelte terribilmente sbagliate ed un passato rispetto al quale è meglio fuggire e soltanto in seguito, provare a riparare, scoprendo la bellezza e il sollievo di un’anima che può – e deve – essere salvata, principalmente da sé stessa e poi dall’amore.

Incredibilmente toccante la prova interpretativa di Andrea Riseborough, che si porta il film sulle spalle, rendendolo di fatto ciò che è, attraverso un logorante e davvero significativo lavoro, condotto dalla stessa, tanto sul corpo, quanto sugli psicologismi di un personaggio che non necessitava di alcun perdono, almeno, non inizialmente, e che andava scoperto e ripulito gradualmente, fino alla sua salvazione. Discorso che la Riseborough centra appieno, donandoci un film commovente, sincero e davvero notevole.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.1