The Strays: recensione dell’horror Netflix 

Horror e thriller intrecciano i rispettivi DNA nel film d’esordio alla regia dell’attore britannico Nathaniel Martello-White. Disponibile su Netflix dal 22 febbraio 2023.

Come moltissimi colleghi alle diverse latitudini anche l’attore britannico Nathaniel Martello-White non ha saputo resistere al canto della sirena della macchina da presa, così dopo averci lavorato per qualche anno davanti, interpretando personaggi per il piccolo e grande schermo ma senza lasciare mai veramente il segno, ha deciso a sua volta di misurarsi con la regia di un lungometraggio. Per il suo battesimo di fuoco ha scelto di avventurarsi nel tortuoso territorio del cinema di genere, scrivendo e dirigendo The Strays, disponibile su Netflix dal 22 febbraio 2023. Il ché lo ha portato a raccontare la storia di Cheryl, una donna nera scontenta della sua vita che decide  di lasciare tutto e tutti per ricominciare, costruendosi una nuova identità in una comunità completamente bianca e ricca in cui viene apparentemente accettata. La ritroviamo infatti una ventina di anni dopo, madre di famiglia e con il nuovo nome di Neve, che vive e lavora come vice preside di un liceo in un sobborgo alto borghese. Tutto procede liscio almeno sino a quando il passato torna come da consuetudine a bussare alla porta, con il ricordo di quello che ha abbandonato che riaffiora in maniera inquietante e violenta, interrompendo bruscamente l’idillio quanto basta per trasformare un’esistenza tranquilla e da sogno in un incubo ad occhi aperti.

The Strays, recensione - Cinematographe.it

In The Strays, Martello-White cambia per ben tre volte pelle alla sua opera prima che camaleonticamente muta e si adatta per rendere la fruizione imprevedibile per lo spettatore

The Strays cinematographe.it

La visione del film conferma quanto ipotizzato dopo avere letto le righe che vanno a comporre la sinossi, con The Strays e il suo autore che non hanno mai voluto in nessun modo nascondere quali siano state le fonti d’ispirazione dalle quali si è andato ad attingere per dare forma e sostanza al plot e all’architettura narrativa e drammaturgica che lo sorregge. I modelli ai quali si è fatto riferimento per la tessitura del racconto, dei suoi intrecci cronologicamente non lineari, ma anche al tipo di approccio rispetto ai generi e ai temi coinvolti nel processo di scrittura e di trasposizione, emergono in maniera fin troppo cristallina nel corso dalle mutazioni genetiche alle quali l’autore ha sottoposto la pellicola. Nel giro dei novanta minuti circa a disposizione, Martello-White cambia per ben tre volte pelle alla sua opera prima che camaleonticamente muta e si adatta per rendere la fruizione imprevedibile per lo spettatore. Il piano in tal senso va a segno, con la timeline che si presenta come una staffetta che vede il dramma prima, il thriller psicologico poi e l’horror in modalità torture porn per chiudere in efferatezza, cedersi il testimone davanti allo spettatore di turno, quest’ultimo destinatario oculare di una trasformazione radicale che rende la visione appagante per i cultori della materia.

In The Strays sono l’atmosfera paranoica persistente, la tensione e il lavoro martellante e ossessivo del e sul suono, a pompare adrenalina e suspense allo spettatore

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Il risultato è un mix ben calibrato e confezionato che utilizza nella messa in quadro i modus operandi, le tecniche, gli stilemi e gli elementi caratteristici dei filoni e dei sottogeneri chiamati in causa. Nello specifico in The Strays sono l’atmosfera paranoica persistente che si respira sino all’epilogo, la padronanza del ritmo e della tensione che accompagna la linea mistery, oltre al lavoro martellante e ossessivo del e sul suono, a pompare adrenalina e suspense nel cuore pulsante del film. Un film che tra l’altro ha potuto contare sulla convincente performance di Ashley Madekwe nei panni di Cheryl/Neve e delle spalle designate. Ma non è tutto oro ciò che luccica come recita e ammonisce un antico detto popolare. Nel caso di The Strays, infatti, pur se a servizio della storia e del disegno dei personaggi, i modelli ai quali si accennava in precedenza diventano a conti fatti un fardello e una pietra di paragone insostenibili. Da una parte è impossibile non pensare al filone del black horror percorso in questi anni da Jordan Peele, nel quale tra l’altro ha messo la sua firma e tracciato un vero e proprio solco con film come Scappa – Get Out, Noi e il più recente Nope, nei quali il regista statunitense mostra come gli afroamericani siano ancora vittime di diverse forme di razzismo all’interno della società. Idem si può dire del riferimento altrettanto lampante al cinema di Michael Haneke, con un epilogo che scomoda il suo Funny Games.         

I modelli chiamati in causa e i riferimenti al cinema di Jordan Peele e Michael Haneke diventano a conti fatti un fardello e una pietra di paragone insostenibili

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Questo guardare insistentemente a essi toglie indipendenza e identità all’opera in questione, facendola apparire un clone derivativo ed evocativo che non lascia spazio a iniziative autoriali e personali. Martello-White si limita a spostare l’azione dal Nuovo al Vecchio Continente e creare delle variazioni sul tema e sui modelli, diventando schiavo a sua volta quel tanto da non riuscire mai a distaccarsene. Una dipendenza assoluta che tra l’altro non riesce a sostenere totalmente per via del peso specifico del lavoro e dell’impatto che riescono e sono riusciti ad ottenere i film del collega statunitense e austriaco. Tale filologico tentativo di emulazione si ritorce contro il regista britannico, che tra l’altro non ha, o almeno non ha ancora dimostrato di avere, le spalle abbastanza grosse e le capacità di affrontare e farsi carico dei temi che cerca di denunciare, ossia il razzismo imperante e l’esplosione della violenza ingiustificata e fine a se stessa.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 2

2.7

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