The Greatest Showman: recensione del musical di Natale

The Greatest Showman di Michael Gracey è un musical indubbiamente brillante ma di certo non esente da difetti: ecco la nostra recensione!

Ben pochi uomini hanno avuto un impatto più significativo di Phineas Taylor Barnum nell’arte dell’intrattenimento, segnando una cesura totale con ciò che fino a quel momento il mondo aveva avuto davanti agli occhi. Nato a Bethel, nel Connecticut, crebbe in estrema miseria e povertà, ma con la sua forza di volontà e immaginazione, si fece strada nel mondo dell’intrattenimento dell’epoca, fondando il celebre Circo Barnum. Sulla sua storia e l’incredibile epopea del suo show, è stato costruito The Greatest Showman, musical che ha alla regia Michael Gracey e Hugh Jackman nella parte dell’istrionico e spumeggiante protagonista.

The Greatest Showman

Scritto a quattro mani da Jenny Bicks e Bill Condon, The Greatest Showman ci porta a spasso nella variopinta ma vacua epoca vittoriana, facendoci saltare da una parte all’altra dell’Oceano Atlantico, tra tournée, balli, musiche, canzoni, duetti e rispolverando in pieno il genere per eccellenza di Hollywood: il musical. Il cast guidato da Gracey si muove con sincronia perfetta e grande ispirazione, valorizzati dalla sontuosa fotografia Seamus McGarvey (Premio Oscar per Espiazione), dalle azzeccatissime scenografie di Nathan Crowley (assiduo collaboratore di Nolan) e dai fantastici costumi di Ellen Mironjick. Dal punto di vista visivo e attoriale quindi, il musical di Gracey è un vero e  proprio fiore all’occhiello, una macchina armoniosa, travolgente e caratterizzata da un’eterogeneità ben dosata.

Gli attori si diceva. Oltre a Jackman infatti, troviamo Michelle Williams nei panni di Charity (la moglie di Barnum), Zac Efron è invece il giovane socio e mecenate Phillip Carlyle, la fascinosa Rebecca Ferguson è la famosissima cantante d’opera Jenny Lind (una delle prime star globali della musica), mentre la pop star Zendaya interpreta l’energica e passionale trapezista Anne Wheeler.

The Greatest Showman è un film brillante, valorizzato oltre che dalle ottime maestranze sopracitate, da una regia robusta e convincente, e da un cast ispirato e ben assortito. Su tutti domina un Jackman sfavillante, semplicemente perfetto nel donarci l’immagine di un uomo pieno di energia, di sogni, affamato di successo e riconoscimento, tanto da dimenticarsi delle cose veramente importanti come la famiglia, la lealtà, il rispetto per gli altri. Solare, carismatico il suo Barnum strega lo spettatore anche quando diventa egoista e narciso, perfetta personificazione dei pregi e difetti della classe borghese: geniale, ammirabile e fantastica quando fedele a sé stessa e alle proprie qualità, insopportabilmente ridicola ed eccessiva quando reclama la considerazione e il rispetto di quella nobiltà, quella Upper Class, che odia ed invidia allo stesso tempo, verso cui è attratta pur sapendo di non poterne avere altro che umiliazione e snobbismo.

Efron, Williams, Ferguson e Zendaya assolvono al meglio il loro compito, ognuno portando con sé non solo i drammi dei propri personaggi, ma anche quelli che appartengono alle minoranze etniche, alle donne emancipate, a chi (in un’epoca classista e frivola) rivendicava il diritto ad andare oltre le rigide etichette di una società intollerante e razzista. The Greatest Showman è quindi innanzitutto un grande inno alla diversità, alla comunità e al coraggio, e contemporaneamente una condanna a quel conformismo, quella chiusura, che ancora oggi assediano il nostro mondo come un cancro.

Tuttavia The Greatest Showman non è un film esente da difetti. Primo su tutti, può sembrare un controsenso parlando di musical ma tant’è, proprio la parte musicale, che in certi momenti è la vera palla al piede di un film che avrebbe meritato qualcosa di più. La colonna sonora di John Debney e le canzoni del duo Pasek&Paul non sono molto ispirate, ma forse sarebbe più giusto dire azzeccate.

In entrambi le componenti mancano brio, energia, quel qualcosa che faccia ricordare la parte sonora di un film a cui non può certo bastare l’energia di This si Me o Rewrite the Stars. L’errore principale sembra essere sopratutto quello di aver sposato troppo l’anima pop di una Katy Perry qualsiasi, dimenticandosi della gloriosa tradizione musicale del XIX secolo che generava capolavori immortali. L’elenco degli autori sarebbe troppo lungo, ma certo omaggiare anche solo in parte Verdi, Bellini, Elgar, Debussy o Strauss non sarebbe stato male, anzi. Invece The Greatest Showman viene appesantito da un cozzare continuo tra l’ambientazione storica di fine 800 e una musicalità Rock Pop e Teen Pop davvero povera. Anche le coreografie dei vari balletti non aggiungono nulla a ciò che abbiamo visto in molti altri musical, con la sola eccezione del duetto tra Efron e Jackman.

In sintesi, il film di Gracey impressiona più per le parti non musicali, cosa abbastanza strana, ma appassiona, ha energia, vitalità e sopratutto ci guida in modo magistrale dentro un’epoca particolare e suggestiva, solo apparentemente lontana dalla nostra. The Greatest Showman scorre via velocemente (forse un pò troppo) ma riesce a farci affezionare ai personaggi, a renderli un tutt’uno, a sorprenderci con la loro evoluzione e il loro barcamenarsi tra sogni, delusioni, successi, fallimenti e la nascita di quello che oggi, grazie a Barnum, conosciamo come Show Business.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 3.5

3.2