RomaFF14 – The Farewell – Una bugia buona: recensione

Famiglia, America, Cina, contraddizioni, reale: The Farewell è la pellicola personale su e di Lulu Wang, un film sincero di una bellezza piena di grazia.

Ogni persona racchiude due anime: sentimentale e razionale, mite e irrequieta, sincera e apparente. Anche in Billi si contrappongono due realtà, due luoghi che rappresentano nella propria vita i poli opposti che l’hanno formata. C’è l’America, stato dell’indipendenza, terra delle opportunità in cui puoi essere chiunque vuoi, puoi diventare chiunque tu voglia. E poi c’è la Cina, la tradizione, le origini, ma, soprattutto, la famiglia di sempre. Quella allargata, con zii e cugini che sono emigrati lontano, con nonne che continuano a prendersi cura di te e parenti alla lontana che ritrovi solo nelle grandi occasioni.

È la lontananza di due luoghi che entrano in coincidenza nell’interiorità della protagonista di The Farewell – Una bugia buona, che riecheggiano come posti in connessione da un filo conduttore che collega mondi distanti, quanto mai inconciliabili, entrambi spogliati dalle reciproche ipocrisie e messi in mostra da Lulu Wang nel suo meraviglioso film. Di singolarità personali, di Paesi e ideologie, di riti culturali e usanze comunitarie: l’opera ne intreccia i fulcri senza mai risultare ridondante, senza eccedere nel desiderio di rendere un’unica, allargata famiglia il centro delle contraddizioni di una collettività assai più grande, ma in cui è possibile coglierne tutti gli attriti; quegli umori antitetici che, in The Farewell, fanno da sostegno all’intero racconto.

The Farewell – Una bugia buona: dall’Oriente all’Occidente, dall’indipendenza alle tradizioni

the farewell, cinematographe

C’è un motto cinese che dice: se una persona ha un cancro non è la malattia ad ucciderla, è la paura. È per questo che le famiglie decidono di tenere segreto un male così insopportabile, come scelgono di fare anche i consanguinei Wang, trasformando l’ultima visita all’anziana madre e nonna Nai Nai (Zhao Shuzhen), malata di cancro ai polmoni, in un matrimonio organizzato all’ultimo momento tra il nipote Hao Hao (Chen Han) e la novella fidanzata giapponese. Un’occasione per l’intera famiglia di ritrovarsi insieme dopo anni, facendo ritorno in una Cina che li porrà davanti alle loro contrapposizioni.

Quella di The Farewell è una pellicola ispirata a una storia vera. Non solo una vicenda arrivata alla sceneggiatrice e regista per essere rimaneggiata e resa racconto filmico, ma esperienza diretta di una cineasta che, al suo lungometraggio di esordio, affronta con sincerità i dilemmi e le imperfezioni della propria famiglia. Di un’appartenenza all’Occidente che la separa dall’aspetto profondo e risoluto dell’Oriente, il quale non manca però di risiedere nei ricordi della Lulu Wang bambina e, così, anche nell’infanzia e nei pochi stralci di memoria della sua protagonista. Una giovane, che nel mezzo dell’indicibile menzogna, tenta di ritrovare una conciliazione tra le sue ambivalenti anime.

È nella sincerità di The Farewell che si coglie l’importanza che la pellicola ha per l’autrice. Un sentimento espresso non provando il bisogno di sottolinearlo con rimarchi di scrittura, rischiando di mettere in primo piano semplicemente una parte di sé, tralasciando la possibilità di dare alla sceneggiatura una potenza che serve più a suggerire che a evidenziare, più a esortare che a rivelare. E, nella leggiadria della storia, è la sensazione di risiedere davanti a qualcosa di profondamente personale che lo spettatore abbraccia completamente. Un film che, come pochi altri, tocca sul vivo l’empatia del pubblico, che sapendo o meno di trovarsi di fronte al passato della regista, riesce a viverne la dimensione intima, confidenziale, di inclusione in quel piccolo segreto e nella riflessione che ne vede poi derivare.

The Farewell – Una buona bugia: dalla genuinità di Awkwafina al vero che diventa cinema

the farewell, cinematographe

Il tutto non dimenticando una bellezza scenica di una calorosità carezzevole, attenta alle assonanze delle inquadrature, con palette di colori che tingono una mise en scène in cui ogni frammento risalta impeccabile, impreziosito dall’abilità registica di Lulu Wang. Evocativa nella consapevolezza dei propri spazi, pieni ogni volta delle emotività dei personaggi. Una protagonista, l’attrice Awkwafina, che rispetta l’autenticità della pellicola e del suo significato, dandosi con una genuinità che rende il film ancora più reale, in un connubio tra l’onestà verso la propria regista e il contributo della propria prova attoriale.

Il vero che diventa cinematografico, ma non per questo meno incisivo: The Farewell – Una bugia buona è il mettere a nudo gli effetti di un mondo sempre più globalizzato. Persone che lasciano la propria casa nella speranza di una vita migliore, in cui è però impensabile dimenticare le proprie radici, dovendo imparare a separarne i confini e, inevitabilmente, a conviverci. Una famiglia che Lulu Wang riporta con grazia e con una sensibilità che avvolge racconto e spettatori, per una pellicola di una armonia e una benevolenza incorruttibili, un incanto preso dal vero che diventa cinema.

The Farewell – Una bugia buona, prodotto da Big Beach, Depth of Field e Kindred Spirit, sarà nelle nostre sale dal 1 gennaio 2020, distribuito da BiM Distribuzione.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.1