The Beautiful Game: recensione della commedia Netflix 

La recensione della commedia sportiva di Thea Sharrock con Bill Nighy e Valeria Golino ambientata in un’ipotetica tappa romana dell’Homeless World Cup. Dal 29 marzo 2024 su Netflix.

Il 18 aprile 2024 è previsto l’arrivo nelle sale di Cattiverie a domicilio, la commedia con Olivia Colman e  Timothy Spall, nella quale Thea Sharrock rievoca, con la collaborazione in fase di scrittura di Jonny Sweet, un’incredibile vicenda realmente accaduta negli anni Venti in Inghilterra. Coincidenza, scherzo del destino o strategia ha voluto però che dal contorto e machiavellico meccanismo distributivo nel quale vengono inghiottiti e parcheggiati i film in attesa del rilascio a uscirne prima è stata la pellicola che la regista londinese ha realizzato successivamente. Si tratta di The Beautiful Game, disponibile su Netflix dal 29 marzo 2024. Per l’ultima fatica dietro la macchina da presa il broadcaster a stelle e strisce ha deciso l’approdo direttamente in piattaforma, senza concedere all’opera – come spesso accade – nemmeno una breve apparizione sul grande schermo o nel circuito festivaliero, magari sfruttando i nomi presenti nel cast, tra cui Bill Nighy e Valeria Golino, per attirare il pubblico. In tutta onestà, la decisione presa dalla grande N è stata sacrosanta, soprattutto dopo avere constatato le qualità non eccelse del prodotto.

The Beautiful Game è un film architettonicamente fragile e registicamente piatto

The Beautiful Game cinematographe.it

Pur nobilitata, alimentata e sorretta da buone intenzioni e spunti di riflessione, che come vedremo sono legati al racconto e ai temi affrontati, The Beautiful Game si è dimostrato un film architettonicamente fragile a causa di una scrittura piuttosto debole, povera e pigra, oltre che visivamente piatta, accademica e priva di soluzioni degne di nota. Eppure al timone c’è la stessa persona che con Io prima di te, L’unico e insuperabile Ivan, il già citato Cattiverie a domicilio e gli episodi da lei diretti delle serie The Hollow Crown, Britannia e Call the Midwife aveva saputo portare a case dei risultati più o meno soddisfacenti. E soprattutto aveva dimostrato di sapersi destreggiare tecnicamente, cosa che invece la prova incolore e anonima che ha fornito in questa suo ultimo lavoro lascia moltissimo a desiderare, con le capacità che le erano state riconosciute che qui all’improvviso sembrano essere inspiegabilmente venute meno. Speriamo che si sia trattato solamente di uno scivolone. Staremo a vedere.

Un calcio di rigore sbagliato a porta vuota

The Beautiful Game; cinematographe.it

Fatto sta che con The Beautiful Game, la regista britannica ha perso una bella occasione, quella che per restare in tema con il film poteva essere un bellissimo goal segnato in zona Cesarini. In primis, trattandosi di uno sport-drama, perlopiù a sfondo calcistico, avrebbe avuto la strada spianata e il percorso in discesa per conquistare immediatamente il fruitore. È risaputo quanta presa riesca ad avere sul pubblico la combinazione sport e cinema, se poi la disciplina chiamata in causa è quella più amata e praticata al mondo, ossia il gioco del calcio, allora il rammarico per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato diventa ancora più grande. La Sharrock è riuscita nell’impresa di sbagliare un rigore praticamente a porta vuota, quando sarebbe bastato semplicemente accompagnare la palle oltre la linea di porta con morbido colpo di piatto. Diversamente ha preferito optare per una botta di collo pieno che suo e nostro malgrado è finita oltre la traversa. Eppure i presupposti per portare a casa il risultato c’erano tutti, a cominciare dall’ambientazione. La vicenda narrata si svolge durante la tappa romana dell’Homeless World Cup, un torneo internazionale di calcetto nato nel 2001, al quale possono partecipare esclusivamente squadre provenienti dalle diverse latitudini composte da clochard senza esclusione anagrafica o di appartenenza di genere che si sfidano annualmente nel nome della solidarietà e dello sport.

In The Beautiful Game si assiste a uno stucchevole e cartolinesco cine-tour tra le bellezze della Città Eterna

The Beautiful Game cinematographe.it

Cinematograficamente parlando, oltre a una serie di documentari, c’è anche un altro film, sempre targato Netflix, che aveva fatto della suddetta competizione la cornice del proprio plot, ossia Dream. Liberamente ispirata alla prima partecipazione della Corea del Sud nell’edizione 2010 del torneo tenutasi in quel di Budapest, la pellicola di Lee Byeong-hun ripercorre, romanzando e con riferimenti a fatti e persone assolutamente casuali, gli highlights tutt’altro che salienti della spedizione in terra ungherese, con la sgangherata ma combattiva squadra guidata da un ex-calciatore caduto in disgrazia chiamata ad affrontare le diverse compagini provenienti da tutto il mondo. In The Beautiful Game invece la palla passa alla rappresentativa inglese, gestita dal manager Mal che, tra abbracci, discorsi motivazionali e allenamenti, accompagnerà il team nella spedizione nella Città Eterna (resa in maniera cartolinesca e cine-turistica) per provare a vincere la prestigiosa coppa. Al seguito un gruppo di ragazzi, complicati ma talentuosi tra cui Vinny, l’attaccante dai piedi buoni ma tormentato che prima di entrare a far parte del team deve fare i conti con il proprio passato. Insomma, cambia la prospettiva ma non la sostanza rispetto all’opera del collega asiatico, con entrambe le vicende che seguono in modo rettilineo la poetica dei classici film sportivi, dove un gruppo di underdog compie una sorta di percorso catartico.

Una sceneggiatura che fa fatica a tenere insieme i pezzi e a cucire le parti sportive con quelle extra, con in più delle tracce romance che lasciano davvero il tempo che trovano

Ecco allora palesarsi davanti agli occhi dello spettatore di turno un film che si muove su linee narrative e drammaturgiche ampiamente codificate, la cui ricetta è basata su stilemi e modus operandi pronti all’uso che non necessitano di un collaudo. Basta dunque saperli prendere in consegna, adattarli alle esigenze della storia che ci appresta a raccontare e la ricetta è fatta. Una storia che come è facile ipotizzare parla di resistenza, complicità, positività, rinascita e quindi di una seconda opportunità. Materie prime, queste, che mescolate possono tramutarsi in un concentrato catalizzatore di emozioni. Ciononostante l’autrice, con la complicità a delinquere dello sceneggiatore Frank Cottrell-Boyce, che per di più ha incontrato molti partecipanti alla HWC sviluppando i personaggi ispirato dalle loro storie, è riuscita a mandare in tribuna il pallone. E come se non bastasse getta nel pentolone pure delle improbabili e assolutamente superflue tracce romance che lasciano davvero il tempo che trovano, mettendo ancora più in evidenza il pessimo lavoro di scrittura. Quest’ultima ha fatto davvero fatica a tenere insieme i pezzi e a cucire le parti sportive con quelle extra, vanificando l’intero campionario e potenziale a disposizione, oltre che la presenza nel cast di nomi del calibro della Golino e di Nighy.

The Beautiful Game: valutazione e conclusione

The Beautiful Game cinematographe.it

Sport e cinema sono quasi sempre un binomio vincente. Eppure in tutte le cose ci sono delle eccezioni e The Beautiful Game è una di queste. Ambientato nel corso di un’ipotetica edizione romana del campionato mondiale di calcio per senzatetto, al seguito di una sgangherata nazionale inglese, il film è un clamoroso rigore sbagliato a porta vuota, capace di fallire sia sul fronte narrativo che visivo. Il risultato è un irritante cine-tour tra le bellezze della Città Eterna,che affronta nel peggiore dei modi i temi della rinascita e della solidarietà, così come sfrutta male gli stilemi dei generi chiamati in causa e gli attori a disposizione, tra cui Valeria Golino e Bill Nighy.    

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

1.8