Space Sweepers: recensione del film sudcoreano Netflix

Su Netflix è atterrato il 5 febbraio il primo blockbuster spaziale nella storia del cinema sudcoreano. Festeggiamo l’evento con la recensione dello space opera di Jo Sung-hee. 

Avrebbe dovuto uscire in pompa magna in sala nel giugno del 2020, ma le note cronache pandemiche e le conseguenti restrizioni hanno scombinato i piani di Space Sweepers, che dopo una serie di slittamenti si è visto costretto ad alzare bandiera bianca e optare a favore della distribuzione su Netflix. Una soluzione, quella di atterrare sulla piattaforma a stelle e strisce a partire dal 5 febbraio, che da una parte asseconda le ambizioni di un prodotto concepito per oltrepassare i confini nazionali e assecondare i gusti del mercato internazionale, dall’altra non consente di compiere la missione che i produttori si erano prefissati, vale a dire la conquista del box-office con quello di fatto è il primo space opera nella storia del cinema sudcoreano. Motivo per cui il film diretto da Jo Sung-hee aveva attirato e non poco l’attenzione degli addetti ai lavori e del pubblico di casa (e non solo), chiamati a confrontarsi con un filone chiave della famiglia allargata della fantascienza con il quale la cinematografia locale non aveva mai fatto i conti in precedenza. In effetti, sfogliando accuratamente gli annuali non vi è traccia alcuna di tentativi seppur timidi di avventurarsi in epopee spaziali, preferendo a queste un tipo di fantascienza con i piedi saldamente piantati a terra con pellicole (da Natural City a Snowpiercer, da Psychokinesis e The Host, passando per Lucid Dream, Illang – Uomini e lupi e Okja) che dal monster-movie vanno diritte al fanta-action.

La mancanza di un prototipo di space opera nel cinema sudcoreano ha costretto l’autore di Space Sweepers a rifarsi a modelli storici

Space Sweepers cinematographe.it

Siamo dunque su strade diverse rispetto a quelle che si percorrono abitualmente nel filone in questione. Il ché giustifica l’assenza sino ad oggi di un vero e proprio prototipo di space opera nel cinema sudcoreano, che di fatto ha costretto chi si è fatto carico della responsabilità di realizzarlo di fare riferimento a modelli come le saghe di Star Wars o Star Trek, mescolandoli con prodotti derivati come Guardiani della Galassia. Ma non è mai troppo tardi per rimediare, con Space Sweepers che ci catapulta in un’avventura galattica ambientata nel 2092, anno in cui il mondo è vivo ma attaccato al respiratore, diventato praticamente inabitabile tanto da costringere l’umanità a trasferirsi nell’orbita terrestre, a bordo di enormi stazioni spaziali. I motivi sono tanti e non riguardano solamente l’assenza di ossigeno. L’inquinamento e l’enorme quantità di rifiuti prodotti ha provocato un collasso. Rifiuti che sono arrivati anche nello spazio, gli stessi che per lavoro sono chiamati a raccogliere e smaltire i protagonisti del film, quattro sbandati (tre umani e un robot) che per lavoro fanno proprio i netturbini spaziali. Un giorno recuperano un grosso artefatto distrutto, all’interno del quale trovano una bambina, che in realtà è un avanzato androide in grado di trasformarsi in un’arma di distruzione di massa. Starà a loro il compito di difenderla dalle mani di coloro che vogliono farne uso per annientare ciò che resta della Terra.

Space Sweepers: il messaggio ecologista non è sufficiente a sorreggere narrativamente le due ore abbondanti di timeline

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Spogliato delle vesti di puro film d’intrattenimento qual è, non ci vuole molto per capire dove Space Sweepers voglia andare a parare e di quale morale l’opera quarta del cineasta asiatico si faccia portatrice. È fin troppo chiaro infatti il messaggio ecologista che punta con decisione il dito ammonitore contro l’essere umano, carnefice con il suo scellerato agire sia di se stesso che del pianeta che per secoli lo ha ospitato. Trattasi però di un must che da decenni alimenta milioni di storie analoghe, che della suddetta tematica hanno offerto, cinematograficamente parlando, declinazioni, varianti, digressioni e prese di posizione più o meno dirette che tanto per non fare i soliti nomi chiama in causa ad esempio un film come Silent Running di Douglas Trumbull. Il tutto finisce con il rendere il nobile sottotesto nient’altro che un mero accessorio messo a disposizione del racconto di Space Sweepers per giustificare le due ore e passa di timeline. Una timeline che, nel suo dipanarsi, vede non pochi momenti soporiferi andare a braccetto per novanta minuti con altrettanti in cui la componente action offre qualche scarica elettrica allo spettatore di turno: dall’irruzione nella discoteca ai due tentativi di rapimento di Kot-nim, passando dalla fuga dalla stazione spaziale Risorsa UTS, con tanto di attraversamento di un pericolosissimo campo di detriti.

Space Sweepers: la componente action e gli effetti speciali sono la scialuppa di salvataggio alla quale si aggrappa il regista Jo Sung-hee

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L’azione diventa a questo punto la scialuppa di salvataggio alla quale si aggrappa Jo Sung-hee per condurre in porto ciò che resta di un blockbuster che punta in alto, facendo leva sulla sempre più crescente credibilità che il cinema sudcoreano si è guadagnato a livello internazionale, per poi doversi accontentare di una sufficienza in pagella. Negli ultimi quaranta minuti a disposizione, il regista mette la quinta e tiene il piede fisso sull’acceleratore, regalando una manciata di sequenze d’impatto come lo spettacolare abbattimento delle astronavi di Bubs con l’arpione o il combattimento spaziale tra la Victory e le navicelle nemiche. In suo soccorso arrivano degli effetti speciali di buona fattura, che non toccano le vette di un top gamma ma portano comunque a termine il compito per i quali sono stati profumatamente pagati, ossia contribuire alla qualità della confezione. Questa non viene meno, ma un involucro esteticamente ben confezionato basta solamente a soddisfare le esigenze secondarie del pubblico, non a saziarle a dovere.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.5

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