Skin (2018): recensione del film

Recensione di Skin, lungometraggio del 2018 diretto da Guy Nattiv che racconta la vita di un naziskin e il suo tentativo di redenzione.

Al Giffoni Film Festival 2019 è stato presentato in anteprima Skin, il dramma diretto da Guy Nattiv, tratto da un cortometraggio dello stesso regista israeliano che ha vinto un Oscar lo scorso Febbraio. Nel 2011 Bryon Minder ha deciso di voltare le spalle a una realtà di violenza e odio, il movimento naziskin, e il film racconta la sua storia.

Jamie Bell è un supremastista bianco del Midwest con il corpo pieno di tatuaggi e una rabbia che lo consuma ogni giorno dall’interno. Quando incontra una giovane madre single di cui si innamora, decide di cambiare vita e dire addio a quella realtà malsana e pericolosa che rende i suoi giorni sporchi di sangue e fango e causa ferite profonde, interne ed esterne.

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Dopo il successo di Billy Elliot, l’attore inglese dimostra il suo talento con un ruolo impegnativo e ricco di sfumature, regalando una performance potente e molto fisica che già è stata applaudita in alcuni festival internazionali come Berlino e Toronto. Al fianco di Bell troviamo Vera Farmiga nei panni di Shareen Krager, una donna misteriosa che si fa chiamare “mamma” dai membri del movimento, e non perde occasione per attirare nuovi “figli” o meglio giovani reclute.

Skin: il film di Guy Nattiv che racconta una storia di ribellione e riscatto

Skin si conferma un bio-dramma con alcuni difetti, ma complessivamente riuscito per un ritmo sostenuto e una influenza emotiva efficace. Si può considerare uno di quei film promossi anche solo per la straordinaria interpretazione del protagonista. Diviso in diversi capitoli che seguono la rimozione dei molteplici tatuaggi sulla pelle di Bryon, il film procede raccontando una storia di ribellione e riscatto. Quando si è immersi in una realtà criminale non è semplice tirarsene fuori, soprattutto perché coloro che hai ritenuto la tua famiglia fino a quel momento, non sono disposti a lasciarti andare. Il male guida le loro azioni di pura vendetta, ma l’amore può aiutare a trovare gli strumenti più adatti per farcela e tornare a respirare dalla parte giusta del paese. Nattiv propone una regia ruvida, realistica, ma anche sensibile e creativa, con inquadrature dai colori desaturati e una telecamera in continuo movimento.

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La sua ispirazione per il cortometraggio che ha portato poi al film viene dalla visione del documentario Erasing Hate di Bill Brummell. Il regista voleva provare a mostrare al mondo come l’estrema destra abbia guadagnato visibilità molto prima delle proteste del 2017 a Charlottesville e ci è riuscito. Gradualmente Bryon fa capire al pubblico di essere stanco di quella vita e, durante una marcia in Ohio, l’organizzatore antifascista nero Daryle Jenkins (Mick Colter) identifica una piccola crepa nella sua difesa emotiva.

Così decide di trasformarlo una volta per tutte e lo incoraggia a lasciare la famiglia Vinlander per sempre. Nonostante la centralità di Bell sono fondamentali anche tutti gli altri personaggi che ruotano intorno a lui come satelliti. Pensando al cinema del passato che ha trattato questo tipo di realtà viene in mente senza dubbio American History X con Edward Norton o Skinheads con Russell Crowe, per citarne alcuni.

Skin, pertanto, rientra tra quei film con una forte valenza sociale e politica, ma che scelgono di denunciare attraverso una semplice storia umana in cui il pubblico può immedesimarsi.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.3