Taormina Film Fest 2020 – La regola d’oro: recensione del film

Il senso di colpa del sopravvissuto di un soldato italiano rapito in Libano. Presentato al Taormina Film Fest, La regola d'oro è il secondo film di Alessandro Lunardelli

Film di chiusura del Taormina Film Festival 2020, La regola d’oro è il secondo lungometraggio di Alessandro Lunardelli, dopo l’esordio del 2013 Il mondo fino in fondo. Il film racconta il drammatico ritorno in patria di Ettore, caporale dell’Esercito italiano liberato dalle mani di un gruppo di estremisti islamici dopo il suo rapimento in Libano. La regola d’oro mette insieme alcuni volti noti del cinema italiano, imbastendo una delicata prova attoriale non sempre soddisfacente, non aiutata da una sceneggiatura claudicante. Lo spunto di partenza, però, è estremamente interessante, così come la piega che la narrazione prende nel corso del film. Su un tema così importante e attuale, Lunardelli sceglie di raccontare alcuni aspetti particolari: la sindrome del sopravvissuto che tormenta Ettore e lo stucchevole circo mediatico che la accompagna.

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La regola d’oro: il punto di vista del ritorno

Libano, i giorni nostri. Ettore (Simone Liberati) è un giovane soldato che ha perso la testa per la coraggiosa Jamila (Rita Hayek), una volontaria del posto. Quando, un giorno, Jamila viene rapita da un gruppo di jihadisti, anche Ettore fa la stessa fine. Solo che, mesi dopo, solo lui sarà liberato e potrà tornare a casa. Da questo breve incipit nasce la tormentata discesa all’inferno di Ettore, quasi un percorso obbligato per chi è finito al centro della cronaca internazionale. La sua accoglienza in patria non rispetta quasi per nulla la privacy del lutto e del trauma, e sbatte in prima pagina la sua storia di eroe romantico in cui il protagonista riesce a stento a riconoscersi. In un primo momento Ettore reagisce con aggressività verso questo mondo esterno così invadente e irrispettoso, concentrando la maggior parte del suo rancore verso la madre. La donna, infatti, ha trascorso gran parte dell’attesa del figlio rapito nei salotti televisivi, rendendo la propria tragedia familiare un argomento familiare allo show business italiano. Insomma, gli sceneggiatori Davide Lantieri e Alessandro Lunardelli tracciano un ritratto impietoso dell’essere umano contemporaneo, capace di divorare e rigurgitare ogni tragedia in un prodotto digeribile per il pubblico.

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Per rappresentare il mondo della spettacolarizzazione dei sentimenti privati, Lunardelli e Lantieri mettono in campo il personaggio dell’autore televisivo Massimo (Edoardo Pesce), incaricato di seguire Ettore e di scrivere con lui (o, meglio, su di lui) il discorso di ringraziamento per un premio che sarà dato al soldato sopravvissuto. Fallito a sua volta come artista e come uomo, Massimo troverà in Ettore una via di fuga da se stesso e dal mondo orribile in cui è a sua volta prigioniero. Un mondo di lustrini, in cui anche una delle forme d’arte più colte e sublimi – l’opera lirica – è trattata alla stregua di un carrozzone da circo. Artisti e artiste che sono macchiette di poco valore, conduttrici (Barbora Bobulova) che hanno venduto la loro umanità in cambio di un format in prima serata e questo mondo di lustrini che irrimediabilmente irretisce Ettore e lo attira verso il fuoco, come fosse una falena.

Un ottimo spunto che si perde per strada

regola oro cinematographe.it

La regola d’oro è un’opera che ha un grande potenziale di rabbia inesploso. Questo è un peccato, perché perde l’occasione di essere un capitolo davvero importante nel cinema italiano contemporaneo. Il vorrei ma non posso di Lunardelli si infrange su almeno due grandi scogli: la performance attoriale collettiva e alcune ingenuità di sceneggiatura. Già visto ne La profezia dell’Armadillo, Simone Liberati è indubbiamente uno dei giovani volti che incuriosiscono il pubblico e che vorremmo vedere in tanti altri film per capire di che pasta è fatto. Se però dopo un ruolo “facile” come quello di Zerocalcare ci si aspetta una resa drammatica inattaccabile per chiamare questo giovane interprete “una promessa”, La regola d’oro non è esattamente il palcoscenico su cui Liberati riesce ad esprimersi al meglio. Alcune sbavature interpretative (specialmente nella scena iniziale, ma anche in alcuni momenti successivi) rendono il suo personaggio poco interessante e credibile. Molto meglio (ma non è una sorpresa, dato che parliamo di un attore affermato) Edoardo Pesce che fa entrare lo spettatore nella vita e nella fragilità del suo personaggio, su cui ci si sarebbe aspettati una condanna totale.

Un altro punto a favore de La regola d’oro è che non si basa su una narrazione partigiana, in cui ci sono i buoni e i cattivi. Al contrario, le persone sono raccontate per quelle che sono e si riesce ad entrare in empatia con i due personaggi principali, nonostante una sceneggiatura a tratti respingente. Il consiglio è di non perdere comunque l’uscita di questo film al cinema, perché ha troppi spunti di riflessione a cui non si deve rinunciare a causa di una resa non ottimale.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.5