Napoli Magica: recensione del film di Marco D’Amore

Napoli Magica di Marco D'Amore è un'interessante opera ibrida che tra documentario e cinema narrativo dialoga con l'onirico e l'horror

Presentato in anteprima alla 40° edizione del Torino Film Festival, Napoli Magica è la terza prova da regista di Marco D’Amore – dopo aver diretto alcuni episodi di Gomorra: La serie e nel 2019 lo spin-off cinematografico L’immortale, che gli è valso il Nastro d’argento al miglior regista esordiente – ed è prodotta e distribuita da Vision Film, Mad Entertainment e Sky Arte.

Napoli Magica, forte del suo essere opera ibrida, un po’ cinema documentaristico e un po’ di finzione, compie la sua corsa nelle sale di soli tre giorni, dal 5 al 7 Dicembre del 2022, per poi rientrare appieno nel catalogo cinematografico Sky. Una strategia questa che favorirà sicuramente un maggior pubblico nei confronti di un film profondamente interessante e misterioso, anche se non riuscito interamente, o almeno così pare.

Marco D’Amore nei panni di sé stesso, dopo aver detto addio al suo ormai leggendario Ciro dell’universo seriale e cinematografico che è stato e sempre sarà Gomorra, si aggira talvolta silenzioso, altrimenti estremamente verboso tra le vie e i luoghi della sua città natale, Napoli. Luoghi che D’Amore consegna allo spettatore non tanto come scorci qualsiasi di una città dalla bellezza evidente, piuttosto come veri e propri luoghi dell’anima capaci di evocare e mostrare qualcosa che forse c’è, ma che è nascosto e che non appare a chi realmente non appartiene alla loro storia e a quella di Napoli.

Napoli Magica è un’opera metacinematografica in cui si evince la ricerca della magia e dell’ascolto, Nanni Moretti e I fantasmi

napoli magica recensione cinematographe.it

L’espediente narrativo è quello del metacinema e ciò che vediamo non è altro che la messa in scena e il making of anche piuttosto amatoriale, fatta eccezione per alcuni segmenti e sequenze dalla costruzione filmica decisamente più complessa – quelli cioè fittizi in cui D’Amore gioca con l’onirismo, l’horror e per certi versi la fantascienza post apocalittica – di ciò che il documentario/film di Marco D’Amore di fatto è, ossia Napoli Magica.

Il film comincia infatti con D’Amore e la sua troupe chiusi all’interno di un’auto, impegnati a discutere con fare ironico, divertito e scanzonato sui luoghi di Napoli che visiteranno e nei quali gireranno scene e sequenze nell’arco delle ore della loro prima giornata di set on the road. D’amore propone (Borgo Marinari, Castel Dell’Ovo, Le Terrazze, Chiesa di San Domenico Maggiore, Piazza della Sanità e San Gaudioso) e la troupe rifiuta, stanca e forse perfino pigra.

L’amore del regista – e interprete – nei confronti della sua città è così sconfinato da spingerlo a proporre un numero talmente alto di luoghi, da far risultare l’operazione filmica e documentaristica una vera e propria Mission Impossible agli occhi dell’intera troupe e dello spettatore. Ma nulla è perduto e dopo pochi attimi ecco che Napoli Magica comincia e Marco D’Amore cammina lentamente tra la gente seguito dalla macchina da presa che non cessa mai di stargli addosso tra primi e primissimi piani, come a volerne studiare maniacalmente reazioni ed effetti emotivi e sentimentali, provocati dai ricordi sprigionati dalle vie e dai volti che senza sosta arrestano il cammino del regista e ormai simbolo tra i simboli (avendo impersonato Ciro Di Marzio in Gomorra) della sua città, richiedendo selfie, autografi, baci e abbracci.

Se in un primo momento Napoli Magica sembra essere un reportage più o meno curato fuoriuscito da un qualsiasi canale YouTube, con tanto di format stile “Star del Cinema e della Serialità Televisiva a spasso per la città – Reazioni”, è nel momento in cui D’Amore va oltre che tutto cambia. Quello in cui cessa l’autoreferenzialità e il regista e interprete domanda alla sua gente qualcosa di apparentemente banale e in definitiva estremamente sincero, profondo e bello: Perché Napoli è magica?

Ecco l’elemento narrativo e documentaristico capace di veicolare l’opera di D’Amore verso la direzione più corretta, considerata la brevissima distanza dal fallimento o comunque dalla pigrizia filmica percepita appena pochi attimi precedenti: l’ascolto. L’ascolto della voce del popolo, delle strade e della città.

Una vera e propria ricerca della magia che pur non trovando alcuna risposta degna di conclusione, specificità, reale interesse e profondità, prosegue con grande vitalità, nonostante i toni dolenti di D’Amore e i movimenti di macchina molto spesso lenti, ariosi e dal grande respiro, cogliendo sfumature, sguardi, opinioni e punti di vista così differenti tra loro da consegnare un vero e proprio universo napoletano fatto di sarcasmo, tristezza, nichilismo e superstizione.

Napoli Magica si rivela dunque un’opera ibrida fortemente debitoria di un modello morettiano alla Caro Diario – in origine un cortometraggio dedicato alla città di Roma e girato con piglio documentaristico e amatoriale da un Nanni Moretti accaldato, malinconico e divertito nel corso di una rovente estate romana – pur non condividendone l’uso incessante del Voice Over, D’Amore veste i panni di Moretti, peregrinando senza meta tra le strade della sua città, esibendosi come insegnante che domanda e bacchetta e poi come appassionato e turista, strabuzzando gli occhi e fingendo estraneità e stupore rispetto a luoghi e storie che invece ben conosce.

Laddove Moretti appariva – per sua volontà – testimone severo e rigido di una realtà romana raccontata da un unico punto di vista, Marco D’Amore sceglie la coralità, la molteplicità dei punti di vista, delle storie, dei racconti e dei volti.

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Non è un caso che l’opera documentaristica si soffermi soprattutto sulle parole di una donna che rivolta a D’Amore consegna l’immagine di Napoli come città che non finisce mai di raccontare. Una distanza emotiva ed un attaccamento tematico siderale in questo caso vengono a crearsi tra Moretti e D’Amore: per il primo la bellezza è strettamente legata alla condivisione e all’ascolto, per il secondo invece alla conservazione morbosa di uno sguardo e pensiero unico, quello di chi racconta e mostra, cioè il suo. Torna l’autoreferenzialità, l’apparente difetto che inizialmente aleggia all’interno di Napoli Magica e che cessa d’esistere all’apparire dei fantasmi, la svolta più potente del film.

È proprio in un dialogo tra D’Amore ed una anziana signora su di un palazzo infestato che Napoli Magica prende vita una volta per tutte. Il racconto è così simbolico, sinistro ed evocativo che anche lo spettatore meno interessato al misterico e al sovrannaturale, si ritrova di fatto all’ascolto attivo di un ricordo inciso nella memoria di una donna di strada il cui istinto è raccontare ciò che le voci di un palazzo storico infestato le hanno comunicato nel corso degli anni, il dramma di Don Vincenzo.

Partenope – Il mondo sotterraneo, Partenope e Ulisse, L’asino

Napoli Magica; cinematographe.it

Se nella prima parte Napoli Magica non sembra riuscire ad imboccare la direzione narrativa e filmica più corretta, è proprio nel momento in cui il documentario vira verso l’horror e l’onirico che gli aspetti più interessanti cominciano a dialogare tra loro. C’è per esempio una riflessione incredibilmente potente e simbolica rispetto al pericolo rappresentato dai vivi e non dai morti, poiché i primi possono uccidere, mentre i morti soltanto attendere il nostro arrivo nella loro dimensione.

Una dimensione che D’Amore racconta e mostra, spinto da alcune voci di strada che rifacendosi ad un’antica leggenda napoletana vorrebbero l’esistenza di un mondo sotterraneo (esattamente nelle profondità di Napoli) all’interno del quale vivi e morti trascorrerebbero la loro esistenza insieme, sussurrando e cercando di dialogare con il mondo in superficie, incapace tuttavia di udire il loro richiamo.

D’Amore dunque rifacendosi ad un modello Lynchiano diviene ferocemente onirico, calando sé stesso nella realtà sotterranea dei morti, osservandosi addirittura cadavere e intraprendendo così un viaggio orrorifico e inquietante all’interno di un vero e proprio girone infernale capace di catapultarlo in una dimensione spazio-temporale confusa, tra il post apocalittico e la fantascienza dei viaggi nel tempo.

Punto centrale di Napoli Magica si rivela infine essere la leggenda di Partenope e Ulisse, sottotrama resa evidente e costruita narrativamente da D’Amore, che nel corso di un finale dal gusto fortemente spaesato, folle e ancora una volta onirico, diviene strumento autobiografico, come a voler trovare un punto fermo rispetto alla propria posizione e condizione di uomo e artista, rispetto al lavoro, all’amore e più in generale alla vita.

Quell’imitazione del raglio dell’asino che da singolo diviene multiplo sottolinea ancora una volta la ricerca del divertimento, del bizzarro e dunque della magia, senza la quale Napoli Magica non sarebbe mai venuto alla luce.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.6

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