Venezia 74 – Mektoub, My Love: Canto Uno: recensione

Abdellatif Kechiche incanta Venezia con un inno di tre scorrevoli ore alla vita, alla gioventù, alla carne.

A 4 anni dal successo di La vita di Adele, il regista tunisino Abdellatif Kechiche torna a meravigliare, affascinare e conturbare con il suo ultimo lavoro Mektoub, My Love: Canto Uno, film in concorso nella 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Protagonisti della pellicola sono Shaïn BoumedineOphélie Bau, Lou LuttiauSalim KechioucheHafsia HerziAlexis Chardard.

Mektoub, My Love: Canto Uno

L’aspirante sceneggiatore Amin (Shaïn Boumedine) torna da Parigi al suo paesino natale nel sud della Francia per le vacanze estive. Appena arrivato sul posto scopre che la sua confidente Ophelie (Ophélie Bau), in procinto di convolare a nozze con un suo amico partito per il fronte, porta avanti da anni una relazione clandestina con Tony, cugino di Amin. Per il protagonista, in cerca di ispirazione per le sue sceneggiature, comincia così un’estate di esperienze, sensazioni, attrazioni, sfumature, in compagnia delle splendide donne intorno a lui e della sua fedele macchina fotografica, con cui immortalare i momenti migliori.

Mektoub, My Love: Canto Uno: il vibrante e appassionato inno alla vita e alla gioventù di Abdellatif Kechiche

Abdellatif Kechiche incanta Venezia con un inno di tre scorrevoli ore alla vita, alla gioventù, alla carne, ma anche una toccante e avvolgente riflessione sul rapporto fra la più travolgente attrazione e l’inestricabile casualità del fato, pronto a scombussolare con un gesto o un incontro anche il percorso più limpido e lineare.

In un processo uguale e contrario al precedente La vita di Adele, il cineasta tunisino mette di nuovo al centro della narrazione il corpo femminile, rappresentato da ogni possibile angolazione e senza alcun tipo di filtro, ma con una grazia e una sensibilità di ripresa che stronca sul nascere tutte le possibili critiche per il presunto esibizionismo o mercificazione della donna. Dove il film con protagoniste Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux esplicitava, esponeva ed esaltava la passione e il sesso, Mektoub, My Love: Canto Uno (con l’eccezione della prima scena) sussurra, stimola e confonde, senza concedere allo spettatore e ai personaggi la liberatoria catarsi dell’amplesso, ma fungendo da lungo e contraddittorio prologo a storie e attrazioni che non trovano mai una materializzazione.

Mektoub, My Love: Canto Uno

Una storia senza tempo e senza luogo, fatta di dolci segreti e viscerale passione

Quello che a una prima superficiale occhiata potrebbe essere facilmente bollato come un voyeuristico e inconcludente spaccato delle gioie e delle contraddizioni della gioventù diventa con il passare dei minuti un’avvolgente e illuminante riflessione sull’animo umano, decodificato attraverso la linea e insistita esposizione delle forme del corpo femminile. Abdellatif Kechiche compie uno straordinario lavoro dal punto di vista registico, rendendo ogni espressione, ogni gesto e ogni piccolo e involontario movimento del corpo una celebrazione del desiderio inespresso e della vita nella sua fase più leggera, spensierata e appassionata. Con il suo ammiccante ma rispettoso sguardo, il cineasta tunisino avvolge lo spettatore in una storia senza tempo e senza luogo, fatta di dolci segreti, imprevisti, deviazioni e ramificazioni, supportata dalle performance incredibilmente naturali e immersivi dei principali interpreti, fra i quali spicca la dolce e al tempo stesso sensuale esordiente Ophélie Bau, di cui sentiremo sicuramente ancora parlare.

Nelle tre fluide e avvincenti ore di Mektoub, My Love: Canto Uno non mancano momenti meno riusciti, personaggi scarsamente approfonditi e sequenze evitabili, ma nella sua irrazionale e contraddittoria esuberanza Kechiche riesce a fotografare un’età, la sua fragilità e le sue emozioni, accarezzando con le immagini il corpo femminile come pochissimi altri cineasti in attività sono in grado di fare. Il finale aperto e inconcludente lascia con l’amaro in bocca, ma anche con l’irrefrenabile desiderio di scoprire il futuro di questi personaggi complessi e in divenire con la seconda (e forse terza) parte del racconto, che, salvo brutte sorprese a livello di produzione e finanziamenti, dovrebbe vedere la luce il prossimo anno.

Mektoub, My Love: Canto Uno

In un Festival che continua a stupire per qualità e polimorfismo, Abdellatif Kechiche pone la sua seria e decisa candidatura al Leone d’Oro con una pellicola destinata a diventare un cult per la sua poetica leggerezza e per la sua pura e viscerale passione. Un caleidoscopio di nascita, sesso, amore e tradimento che fra i bucolici paesaggi del Sud della Francia regala momenti di maestoso cinema.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.1