Venezia 75 – Manta Ray (Kraben Rahu): recensione

Un film politico in cui le immagini astratte si contrappongono alla dura realtà dei fatti.

Manta Ray (Kraben Rahu) è il film vincitore della sezione Orizzonti della 75ª Mostra del cinema di Venezia del thailandese Phuttiphong Aroonpheng. Il film, interpretato da Wanlop Rungkamjad, Aphisit Hama e Rasmee Wayrana, racconta la storia di un uomo Rohingya che viene salvato da un pescatore thailandese al confine tra Thailandia e Myanmar.

Vicino ad un villaggio costiero della Thailandia, un pescatore trova un uomo ferito e privo di sensi disteso nella foresta, che salva e accoglie nella sua dimora. Il pescatore cerca in tutti i modi di scoprire chi sia e da dove venga ma l’uomo ferito non parla mai. Allora l’uomo gli offre la sua amicizia e lo chiama Thongchai. Un giorno il pescatore scompare nel nulla mentre è in mare, allora Thongchai, trovandosi solo nella sua casa, rivisita i posti con cui è andato con lui e, preda di confusione e tristezza, comincia ad abitare e ad occuparsi della sua vita.

Manta Ray Cinematographe.it

Manta Ray (Kraben Rahu): il film vincitore della sezione Orizzonti della 75esima Mostra del cinema di Venezia

Manta Ray è un film che orbita attorno al rapporto tra un pescatore e un migrante muto che viene salvato da morte certa. Aroonpheng fotografa il dramma dei rifugiati Rohingya, dei loro corpi inascoltati ed ignorati che annegano nel mare della Thailandia, lasciando solo supporre che sia questa la storia di cui si sta occupando: l’uomo che viene salvato è dichiaratamente un uomo senza identità ma, considerato il contesto, possiamo asserire che si tratti un rifugiato dei Rohingya, la cui storia è stata in qualche modo seppellita. Ed è per questo che il regista lascia che il migrante nel film non parli, perché rappresenta un popolo la cui voce non è stata mai ascoltata.

Manta Ray è un film dedicato alla minoranza etnica apolide dei Rohingya; il regista, negando la voce al personaggio chiave, sottolinea con grande intelligenza il senso di impotenza vissuto da questa gente, comunemente indicata come la più perseguitata sulla Terra, soprattutto quando è in cerca della propria autodeterminazione.

Manta Ray: un film politico che scava a fonda nell’idea di confine, identità e solitudine

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Il personaggio di Thongchai è interpretato in modo sublime dall’attore Aphisit Hama, che offre una performance potente, che rende efficacemente la purezza, la genuinità, la paura e le speranza solo con il proprio volto. Thongchai viene letteralmente riportato in vita dal pescatore: l’amicizia e il calore che riceve si sovrappongono alla stessa sofferenza che prova per la sua assenza. Thongchai è sia ospite che padrone, un uomo senza identità a cui viene donato un nome e questa dualità è resa in modo puntuale e commovente dall’attore. Il lirismo visivo del regista rimanda spesso alla spiritualità, alla presenza dei rifugiati come luci nella foresta: le luci fluttuanti che sorgono spesso nei luoghi più impensabili nel film alludono a questo, all’energia vitale di moltissimi uomini e donne che sono scivolati nell’ombra e nell’oscurità degli abissi.

Manta Ray è un film politico, fortemente schierato, che trascende ogni tematica attuale per cogliere l’intrinseca solitudine dei rifugiati. Il film del regista vietnamita permea ogni implicazione possibile che prende vita nella concezione di identità e nell’idea di confine, sfumando il dramma personale con la complessità sociale e globale dei migranti. Eppure, nonostante la tematica plumbea, riesce ad essere al tempo stesso una festa visiva, una sorprendente tavolozza di colori, di luci: Manta Ray è guidato da immagini e suoni astratti, ha uno stile visivo davvero particolare che si contrappone con scene dal realismo più ruvido, che rievocano la vita dei rifugiati e il loro desiderio di unione e di comprensione.

Regia - 3
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3