Lunana: Il villaggio alla fine del mondo – recensione

La recensione dell’opera prima di Pawo Choyning Dorji, il primo lungometraggio totalmente realizzato in Bhutan a essere candidato all’Oscar per il miglior film straniero. Nelle sale dal 31 marzo 2022.

Indipendentemente dal risultato ottenuto, al quale il pubblico italiano potrà assistere a partire dal 31 marzo 2022, data scelta da Officine Ubu per la distribuzione nelle sale nostrane, Lunana: Il villaggio alla fine del mondo si è già guadagnato un posto nella storia, quella del suo Paese di origine e quella degli Academy Awards, per essere il primo lungometraggio totalmente realizzato in Bhutan candidato all’Oscar per il miglior film straniero. Al di là di come andrà alla 94esima edizione, per la pluridecorata opera prima di Pawo Choyning Dorji rientrare nella cinquina del premio più prestigioso al mondo è già una grande conquista. Non abbiamo la palla di vetro per sapere se la nomination si tramuterà nella tanto ambita statuetta, perché mentre ne scriviamo mancano ancora una manciata di giorni alla tanto attesa serata in programma il 27 marzo al Dolby Theatre di Los Angeles, laddove la pellicola in questione si presenta come una vera e propria outsider al cospetto di super favoriti come È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino o Drive My Car di Ryusuke Hamaguchi. Ma come ci ha insegnato il passato in più di un’occasione, quando si tratta di Oscar le sorprese sono sempre dietro l’angolo e i pronostici possono essere ribaltati. Una cosa però è certa, il verdetto espresso dagli illustri membri dell’Academy non cancellerà in nessun modo i meriti di un film delicato, a suo modo toccante, semplice nel senso nobile del termine, che si posa come una piuma sulle pareti del cuore, accarezzandole.

In Lunana: Il villaggio alla fine del mondo un giovane maestro viene spedito a insegnare nella scuola più remota del Bhutan

Lunana: Il villaggio alla fine del mondo cinematographe.it

Come anticipa il titolo, la pellicola ci porta in un villaggio isolato situato lungo i ghiacciai dell’Himalaya al confine tra Bhutan e Tibet a 4.800 metri di quota, dove le quattro ruote non possono arrivare e otto giorni di cammino a piedi tra sentieri fangosi, torrenti e salite rocciose lo tengono lontano dalla civiltà. Qui la corrente elettrica non c’è e nemmeno il riscaldamento, con i 56 abitanti che in pace e in armonia vivono di pastorizia e di quello che la terra è disposta a concedere loro nel corso delle stagioni. Ed è sempre qui che un giovane maestro di nome Ugyen (Sherab Dorji) con il sogno di diventare un musicista oltreoceano viene spedito dal Governo locale per insegnare ai bambini del luogo, in quella che è a tutti gli effetti la scuola più remota della nazione.

Lunana: Il villaggio alla fine del mondo è un racconto carico di grandi e piccoli gesti che si traducono in messaggi significativi e importanti spunti di riflessione

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Sinossi e precedenti alla mano è facile intuire quali traiettorie narrative e drammaturgiche possa prendere una storia come questa, minimalista e scarnificata nella sua architettura ma al contempo colma di emozioni cangianti e di diversa intensità in grado di elevarla. Si tratta di un capitolo di un classico romanzo di formazione, di quelli che si fanno portatori sani di un racconto carico di grandi e piccoli gesti che si traducono in messaggi significativi e importanti spunti di riflessione. Il merito di Lunana: Il villaggio alla fine del mondo e il suo punto di forza stanno proprio nel trasformare tematiche universali e concetti semplici in qualcosa di diretto e non banale, senza fronzoli o futili sottolineature che non sfociano mai nella morale a buon mercato.

Un film ambientato in un microcosmo che lentamente sta svanendo, geolocalizzato in un luogo sospeso nel tempo

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L’autore ci porta al seguito di un uomo alle prese con un’improvvisa e inaspettata occasione di crescita, laddove il soggetto di turno non si sarebbe mai immaginato di vivere. Lì, in compagnia di placidi yak e privato di ogni comodità moderna, il protagonista scoprirà che il segreto della felicità è nella semplicità dei piccoli gesti e nei sorrisi della gente. Ed è sempre lì, in un microcosmo che lentamente sta svanendo, geolocalizzato in un luogo sospeso nel tempo, lontano chilometri dalle grandi città e protetto dalle montagne, come fosse un piccolo scrigno nascosto contenente il più prezioso dei tesori, che ne verrà un possesso dopo essersi scrollato dal cuore e dalla mente le scorie e le tossine del consumismo imperante e dell’urgenza di apparire prima che essere. Una lezione  tutt’altro che scontata e facile da apprendere.

Lunana: Il villaggio alla fine del mondo è una piccola perla da vedere e conservare nel cassetto dei ricordi cinematografici

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Girato in collaborazione con gli abitanti del luogo, Lunana: Il villaggio alla fine del mondo è una piccola perla da vedere e conservare nel cassetto dei ricordi cinematografici, custoditi gelosamente proprio perché capaci di lasciare una traccia del proprio passaggio nella retina. Il ritmo blando che accompagna il racconto nel suo lento fluire non è motivo di respingimento per quanto concerne la fruizione, ma al contrario un’opportunità per lo spettatore di cogliere l’importanza di ogni singolo silenzio, di ogni singola parola, di ogni singolo sguardo, tra commozione, lampi di poesia e sorrisi donati. E nel tanto o poco tempo che di volta in volta decide di prendersi per trasferirli sullo schermo, il regista non getta mai al vento nessuna delle inquadrature a sua disposizione, frutto di un rigore formale, di una maturità artistica rara in un esordiente e di un’estetica che non è mai fine a se stessa. Al resto ci pensano i volti e le interpretazioni sempre vere degli attori professionisti e non, ma soprattutto gli scenari mozzafiato e incontaminati che fanno da cornice alla storia.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4.5

3.9