L’alba del pianeta delle scimmie: recensione del film di Rupert Wyatt

La recensione del prequel-reboot diretto da Rupert Wyatt della saga de Il pianeta delle scimmie, con la coppia James Franco-Freida Pinto. 

Quando ci si accorge e si prende coscienza che oltre un dato limite non si può davvero andare, che spingersi ancora più in là trascinandosi sempre più a fatica verso l’epilogo significa incappare al 99,9% in un prevedibile quanto scontato fallimento, allora non resta che resettare il sistema, riavvolgere i fili spazio-temporali del racconto per andare a scoprire come questo ha avuto inizio. Ed è esattamente quello che è accaduto con L’alba del pianeta delle scimmie a quarant’anni circa di distanza da quel classico della cinematografia sci-fi diretto nel 1968 da Franklin J. Schaffner e interpretato da Charlton Heston, a sua volta memorabile trasposizione dell’omonimo romanzo firmato da Pierre Boulle nel 1963, Il pianeta delle scimmie.

Dopo una prima trasposizione divenuta cult, quattro sbiaditi sequel, una serie animata e un remake, alla saga  mancava all’appello solo un prequel-reboot. A firmarlo Rupert Wyatt con L’alba del pianeta delle scimmie

Come già avvenuto con tante altre saghe fantascientifiche o personaggi acclamati del “mondo” del fumetto e via dicendo, soprattutto nel recente passato, anche in questo caso poteva risultare piuttosto prevedibile l’intenzione di dare nuovo lustro e magari un pizzico di dignità ad un’opera che a suo tempo aveva folgorato lettori e spettatori, per poi mandare tutto quello che di buono si era letto e visto al macero con quattro sempre più sbiaditi sequel: L’altra faccia del pianeta delle scimmie del 1970 di Ted Post, Fuga dal pianeta delle scimmie del 1971 di  Don Taylor, 1999 – Conquista della Terra e Anno 2670 – Ultimo atto, diretti entrambi da J. Lee Thompson rispettivamente nel 1972 e nel 1973. Del resto, in quel di Hollywood non hanno rivali quando si tratta di spremere cinematograficamente parlando (e non solo) fino all’ultima goccia qualcosa o qualcuno e Il pianeta delle scimmie ne è uno degli esempi più lampanti. Se poi come non bastasse sono arrivati una serie per il piccolo schermo andata in onda nel 1974 in quattordici episodi interpretata da attori in peli e ossa, seguita l’anno successivo da una serie animata (Ritorno al pianeta delle scimmie) e persino da una parodia con i personaggi dei Simpson, fino al remake del 2001 affidato a Tim Burton (Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie), allora continuare testardamente ad andare avanti al solo scopo di sfruttare il brand significa solamente irretire la platea di turno con una storia che a questo punto non ha proprio più nulla da dire.

Dopo il barcollante remake di Tim Burton, con L’alba del pianeta delle scimmie si tenta di rilanciare la saga

L'alba del pianeta delle scimmie cinematographe.it

In tal senso, l’unica strada possibile da percorrere per evitare di andare a sbattere un’altra volta contro il muro del flop resta il prequel-reboot, operazione che in un periodo di vacche magre come questo ha permesso a non poche Majors a stelle e strisce di non affondare al box office. Per far sì che ciò possa verificarsi, oltre naturalmente all’investimento di capitali, è che la storia in sé presenti un potenziale genetico nel quale andare a scavare per consentire all’eventuale sceneggiatura di costruire una narrazione e dei personaggi che riescano quantomeno a giustificare il tentativo di far riemergere dal magma primordiale qualcosa che sia utile alla riscoperta dell’opera originale. Nel caso de Il pianeta delle scimmie il margine a disposizione era abbastanza elevato. Burton a suo modo ha fornito con il remake una rilettura dell’archetipo, forse più vicina al testo letterario dello scrittore francese rispetto alla pellicola di Schaffner, senza alcun dubbio più utile alla causa del poker imbarazzante di sequel partorito con dolore negli anni Settanta. Visti gli esiti a dir poco disastrosi di un primo tentativo di prequel proprio con 1999 – Conquista della Terra, allora non resta che chiedersi: provarci ancora una volta può avere un senso?

Un buon prodotto di intrattenimento e non solo, in grado di soddisfare esigenze spettacolari, tecniche e contenutistiche

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A giudicare da quello che L’alba del pianeta delle scimmie ha saputo dimostrare, la risposta è si. La pellicola di Rupert Wyatt riesce fortunatamente a reggere l’urto, portando sul grande schermo una storia originale che non cerca machiavellici punti di contatto con l’originale, piuttosto citazioni e corrispondenze, in modo da mettere in quadro un possibile quanto probabile principio di nuova saga ispirata allo stesso concept. Risultati alla mano, quello che emerge è un tassello che va a comporre un nuovo puzzle e non a completarne uno già esistente. Quello di Wyatt, infatti, fa parte di diritto della mitologia della saga, ma non precede né segue direttamente nessun film precedente. Mossa che a nostro avviso ha dato i suoi frutti, merito di una sceneggiatura ben calibrata che alterna momenti di discreta tensione drammatica con accelerazioni action degne di nota come nel caso della fuga dell’esercito di scimpanzé capitanato da Cesare dallo zoo con conseguente scontro armato tra umani e primati nella spettacolare e pirotecnica scena del ponte. Ovviamente nel complesso il film diretto da Wyatt non regge drammaturgicamente il confronto con quello di Schaffner, ma mette in vetrina una serie di elementi efficaci e apprezzabili che fanno di esso un buon prodotto di intrattenimento e non solo, in grado di soddisfare esigenze spettacolari, tecniche e contenutistiche.

Una riflessione contemporanea sul dilemma etico della sperimentazione medica e sullo scontro dell’uomo con un’intelligenza sua pari

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Sul versante tecnico-stilistico la confezione è perfettamente in linea con gli standard visivi degli ultimi anni, merito di effetti speciali dal forte impatto (non a caso candidati agli Oscar). La computer grafica ha un ruolo determinante e prepotente nello scheletro del film, ma va a supportare senza fagocitarlo il buon lavoro dietro la macchina da presa di Wyatt, che già aveva mostrato le sue capacità registiche al timone di Prison Escape. Contributo che viene anche dal cast in carne ed ossa a disposizione, capitanato dal duo James FrancoFreida Pinto, al quale si aggiunge quello fondamentale del solito Andy Serkis che con la motion capture dà vita ad una nuova creatura interamente digitalizzata. Dal punto di vista dei contenuti, L’alba del pianeta delle scimmie non ha lo spessore di una favola filosofica sui nostri tempi con risvolti politici e sociologici come era stato per la pellicola del 1968, né l’apologo dipinto da Burton sull’universo scimmiesco evoluto come specchio deformante e critico di quello umano, che fa della polemica contro il potere e dell’onnipotenza tecnologica dell’uomo che fa i conti con la propria animalità rimossa, i motori portanti dello script, piuttosto una riflessione contemporanea sul dilemma etico della sperimentazione medica e sullo scontro dell’uomo con un’intelligenza sua pari. Insomma, roba consistente degna della fantascienza “seria”, somministrata in dosi massicce in un blockbuster concepito per portare nelle casse denaro in quantità.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3.1