La tomba delle lucciole: recensione del film di Isao Takahata

La nostra recensione di La tomba delle lucciole, il capolavoro animato del recentemente scomparso Isao Takahata che compie oggi 30 anni

La tomba delle lucciole è un film d’animazione scritto e diretto dal recentemente scomparso Isao Takahata, co-fondatore del celeberrimo Studio Ghibli insieme ad Hayao Miyazaki. Il film è stato distribuito per la prima volta in Giappone esattamente 30 anni fa, il 16 aprile 1988, in contemporanea a un’altra amata pellicola dello Studio Ghibli, ovvero Il mio vicino Totoro, dai toni decisamente più rassicuranti e consolatori. Dopo un’affrettata pubblicazione direttamente in Home Video nel 1995 con il titolo Una tomba per le lucciole, la pellicola è stata distribuita per due giorni nei cinema italiani nel 2015, con un nuovo doppiaggio e un titolo più fedele all’originale Hotaru no haka, ovvero La tomba delle lucciole.

A causa della presenza di immagini particolarmente forti e della straziante tematica di fondo, ovvero le conseguenze dei bombardamenti americani sul Giappone sul finire della Seconda Guerra Mondiale, La tomba delle lucciole è generalmente considerato un film d’animazione più adatto agli adulti che ai bambini.

La tomba delle lucciole

Kōbe, 21 settembre 1945. A seguito della resa incondizionata del Giappone, atto conclusivo della Seconda Guerra Mondiale, la città e l’intera nazione stanno facendo i conti con gli strascichi lasciati dal più sanguinario conflitto della storia dell’umanità. All’interno della stazione ferroviaria, un ragazzo di nome Seita si accascia al suolo, spirando nell’indifferenza generale. In un prato illuminato dalla luce delle lucciole, lo spirito di Seita si ricongiunge con quello di una bambina, ovvero la sorella Setsuko. In un lungo flashback, il film racconta  l’amara e struggente storia dei due fratelli, fuggiti dai bombardamenti di Kōbe alla ricerca della salvezza e di un futuro migliore.

La tomba delle lucciole: il neorealismo d’animazione di Isao Takahata

La tomba delle lucciole

A 30 anni dalla sua uscita, La tomba delle lucciole è tuttora una delle pellicole più infelici e dolorose della storia del cinema d’animazione (e non solo), nonché il più fulgido esempio della poetica di Isao Takahata, genio alla pari del più celebrato Miyazaki che ci ha purtroppo lasciato a pochi giorni di distanza dal trentesimo compleanno del suo capolavoro. Fin dai primi secondi del film, che ci lasciano senza speranza dichiarando apertamente la morte di Seita (“La sera del 21 settembre 1945 io morii”), veniamo trascinati in un vortice di miseria e disperazione, messo in scena con la crudezza e la semplicità tipiche del grande cinema neorealista italiano, con cui La tomba delle lucciole condivide anche l’ambientazione storica.

Le immagini di uno dei bombardamenti più crudi e realistici del cinema animato si fondono con desolanti sequenze che ne mostrano le conseguenze più visibili, con corpi smembrati, cadaveri putrefatti e una malsana pioggia nera, e quelle meno evidenti ma altrettanto funeste, come la carestia e le crescenti tensioni sociali. La narrazione indugia inoltre sul progressivo inaridimento della popolazione, stretta fra un orgoglioso quanto inefficace nazionalismo e l’indifferenza per un prossimo visto non come un fratello da aiutare, ma come un concorrente in una battaglia per le poche risorse disponibili che non avrà né vincitori né vinti.

La tomba delle lucciole: la commovente ed evocativa parabola di un Giappone annientato fisicamente e spiritualmente

In un contesto così mesto e angoscioso, Isao Takahata costruisce un vero e proprio miracolo cinematografico, che sa essere al tempo stesso favola e dramma familiare, pugno nello stomaco e dolce carezza, sofferente racconto e delicato lirismo. La storia di Seita e Setsuko è di quelle che non si dimenticano facilmente e che scavano lentamente ma inesorabilmente un cunicolo nel cuore dello spettatore. I due fratelli non sono soltanto l’immagine di un Giappone annientato fisicamente e spiritualmente, ma testimoniano l’insensatezza e l’ignominia della guerra e del suo strascico di drammi silenziosi e dimenticati.

In un dibattito culturale contemporaneo sempre più polarizzato e tendente all’eccesso in positivo o in negativo, ci si sente quasi in colpa a utilizzare un termine troppo spesso abusato come capolavoro. Difficile d’altra parte usare un termine differente per descrivere questa pellicola splendida e allo stesso terribile, che rimesta nella tragedia e nella morte per mettere in scena un racconto profondo e universale, in cui amore e morte si stringono in una soave e macabra danza, accompagnati da immagini di rara forza evocativa e da una colonna sonora memorabile, che a tratti diventa un personaggio a sé stante, prendendoci per mano in un viaggio nella più ingiusta e insopportabile sofferenza.

La tomba delle lucciole: l’istinto di sopravvivenza visto dal lato più cinico e crudele

Con un racconto asciutto e mai patetico, nonostante la serietà dei temi trattati, La tomba delle lucciole narra quella che è sostanzialmente la disperata fuga di Seita e Setsuko da una ineluttabile morte, costellata da eventi emblematici, che sottendono concetti più ampi e universali. Nel corso del loro cammino, i fratelli fortificano il loro rapporto, con Seita costretto a una prematura maturità nell’orgoglioso e per certi versi presuntuoso tentativo di provvedere alla salvezza sua e della sorella e con la piccola Setsuko alle prese con la sua infanzia perduta, con la fame che la affligge e la morte che la circonda, nonostante i commoventi tentativi del fratello di proteggerla dall’orrore che li coinvolge.

La tomba delle lucciole

Particolarmente significativo l’incontro di Seita e Setsuko con una zia austera e imperialista, che in nome di un orgoglio difficilmente comprensibile per gli occidentali non esita a fare sentire i due ragazzi dei pesi morti, accelerando di fatto la loro tragica fine. Non da meno lo scontro con alcuni contadini del ragazzo, reo di aver rubato del cibo nel disperato tentativo di migliorare le condizioni della sorellina, sempre più debole e denutrita: l’istinto di sopravvivenza mostra qui il suo lato più cinico e crudele, con degli uomini adulti pronti a malmenare un ragazzo affamato all’insegna del più classico mors tua vita mea.

La tomba delle lucciole: perché le lucciole muoiono così presto?

Non mancano inoltre sequenze di struggente poesia, esaltate da una fotografia dai colori pastello che contribuisce a creare un’unica e ineguagliabile atmosfera di favola costruita sulla morte. Fra le tante, impossibile non citare l’emblematica morte dello sciame di lucciole che danno il titolo al film, con la semplice e innocente domanda di Setsuko (“Perché le lucciole muoiono così presto?”) che racchiude al suo interno l’intero significato del racconto,  o l’apparentemente marginale scatola di caramelle, utilizzata sia come materializzazione dell’amore e dell’istinto di condivisione e reciproco aiuto dei due fratelli, sia come mezzo con cui proiettare e ricordare la loro straziante storia, dimenticata fra gli edifici di una città costretta ad andare avanti e a ricostruire sulle macerie.

Difficile non trattenere le lacrime nelle fasi conclusive di La tomba delle lucciole, con quell’indimenticabile grazie sussurrato dall’ormai flebile voce di Setsuko che risuona come un monito a non dimenticare quanto accaduto e quanto accade ogni giorno in ogni angolo del mondo, e con un suggestivo finale, che in compagnia delle immancabili lucciole chiude perfettamente il cerchio del racconto, ponendosi di diritto fra le migliori sequenze della gloriosa storia dello Studio Ghibli.

La tomba delle lucciole: un film più attuale che mai

La tomba delle lucciole

A 30 anni esatti dalla sua uscita, La tomba delle lucciole è un film più attuale che mai, insuperato incontro fra le atmosfere favolistiche tipiche del cinema d’animazione e la più cupa e lacerante ricostruzione storica. Un capolavoro (lo ripetiamo) della Settima Arte, che senza mai indorare la pillola ci sbatte in faccia il dolore e la sofferenza causati ogni giorno dall’uomo e dai suoi più bassi istinti, riuscendo al tempo stesso a costruire una toccante e commovente parabola del ricordo e dell’amore fraterno. Una mai abbastanza celebrata pietra miliare della storia del cinema, tanto dolorosa quanto necessaria a comprendere e ricordare la realtà della guerra, che nella nostra attuale condizione di benessere tendiamo troppo spesso a dimenticare.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5