La ragazza d’autunno: recensione del film di Kantemir Balagov

Al cinema dal 9 gennaio, distribuito da Movies Inspired, La ragazza d'autunno è il secondo lungometraggio del giovane regista russo Kantemir Balagov.

Vincitore al Festival di Cannes per la miglior regia nella sezione Un Certain Regard e al Festival di Torino per le migliori attrici, La ragazza d’autunno arriva anche nelle sale italiane. A partire dal 9 gennaio, grazie alla distribuzione di Movies Inspired, sarà possibile guardare in sala il secondo lungometraggio del giovanissimo regista russo Kantemir Bagalov, già apprezzato per il suo esordio Tesnota. Il film è anche nella shortlist dei dieci film stranieri in lizza per l’Oscar 2020 e ha ricevuto il prestigioso premio FIPRESCI assegnato dalla stampa cinematografica, sempre nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2019.

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Un percorso di tutto rispetto, dunque, per quello che è un film fortemente autoriale, in cui l’occhio giovane ma già molto colto, raffinato e personale di Bagalov può esprimersi con un certo respiro. Come l’altro enfant prodige della cinematografia internazionale, Xavier Dolan, anche Bagalov tratteggia ritratti femminili memorabili, indagando a fondo nella psiche delle donne e nei loro dolori più intimi e profondi. Allo stesso tempo, La ragazza d’autunno è una riflessione sulla terra natale del regista, la Russia, martoriata dalla guerra e dal regime e in preda a una sindrome post-traumatica che non cessa di provocare danni.

La ragazza d’autunno: la guerra non ha un volto di donna

la ragazza d'autunno cinematographe.it

La storia de La ragazza d’autunno è stata scritta dallo stesso Bagalov, che ha preso a sua volta ispirazione dal libro La guerra non ha il volto di donna di Svjatlana Aleksievič. Entrambi si concentrano su uno dei periodi più bui della storia contemporanea: la seconda Guerra Mondiale e, in particolare, l’assedio di Leningrado. Le due protagoniste si incontrano nuovamente proprio nella città appena liberata, dopo un periodo di separazione dettato dalle esigenze del fronte. Iya (Viktoria Miroshnichenko), alta, timida, strana è impiegata come infermiera nell’ospedale militare della città e si prende cura dei superstiti della guerra con lena e affezione. Masha (Vasilisa Perelygina) è tornata a Leningrado da poco, e non vede l’ora di riabbracciare il figlio Pashka (Timofey Glazkov) affidato all’amica Iya durante i combattimenti. Le aspettative di Masha saranno, però, presto disattese: il bambino non c’è più, la fiducia nella compagna è incrinata, la tragedia è avvenuta. Va posto rimedio, Masha vuole un altro figlio ad ogni costo.

Quel che accade tra le due protagoniste, nelle loro menti e nei loro corpi, si intreccia ad un gioco perverso che aspira – sì – a una nascita, ma che denigra la dignità delle vite già esistenti. Un gioco al massacro, fisico, emotivo, sentimentale che persiste nei meccanismi della guerra anche quando è finita.

La violenza e l’eleganza in La ragazza d’autunno

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Il rapporto morboso tra i due personaggi principali è raccontato con una cura totale del dettaglio e dell’estetica. Tra gli elementi che più risaltano all’occhio dello spettatore, la fotografia di Kseniya Sereda che tinteggia tutta la pellicola nei toni dell’ocra e del verde. In particolar modo, questo secondo colore assume un significato molto pregnante all’interno della storia, andando a sottolineare i momenti in cui i personaggi intravedono nel futuro più o meno lontano una possibilità di riscatto. Un lavoro davvero notevole, che soccorre il film anche quando lo script fa pesare la sua dilatazione.

La scelta del casting connota il film come contemporaneo, fresco, universale. I volti delle due protagoniste non ricalcano canoni legati al periodo storico raccontato, ma puntano tutto sulla loro particolarità, che riesce a renderle espressive anche con movimenti minimi e battute ridotte all’osso. I lunghi silenzi e lo stile registico quasi da cinema del reale permettono una vicinanza totale ai personaggi che lavorano su un’interpretazione asciutta, ridotta ai minimi termini. Gran parte del racconto, anzi, è affidato ai loro corpi: mutilati, immobilizzati, denutriti, sofferenti. Il burattinaio Bagalov sceglie l’altissima Viktoria Miroshnichenko per la sua Iya, la cui prerogativa fisica dà il titolo originale al film (Beanpole, traduzione letterale dell’originale Дылда significa, appunto, spilungona). Così, alta e allampanata, Iya è impenetrabile e chiusa, apparentemente incapace di provare empatia. La sua fisicità, portandola su un piano differente da quello di tutti gli altri personaggi e – specialmente – da quello della sua amica Masha, accentua la sua distanza emotiva dal resto, rendendo il suo personaggio sottilmente inquietante.

La ragazza d’autunno e il dramma dei veterani

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Viceversa, la rossa Masha dallo sguardo scaltro e sensuale, parla a voce alta dell’alienazione femminile nella guerra. Come si spiegherà in una scena-madre del film, La ragazza d’autunno svolgeva mansioni di retrovia, dando compagnia e conforto sessuale ai soldati che rientravano dal combattimento. Il corpo della donna diventa dunque uno strumento politico e militare, oggettivato fino all’ultimo organo per il supporto alla Nazione. Tornando a casa, Masha non ha più la possibilità di perdonare e superare, ma si comporta da carnefice, replicando la crudeltà che gli è stata inflitta.

Bagalov affronta, dunque, il tema dei veterani e della persistenza della guerra nella loro mente e nelle loro azioni da un punto di vista piuttosto originale, smontando ogni retorica dell’eroe (o dell’eroina) e mostrando le macerie fisiche ed esistenziali di uno dei più grandi orrori dell’umanità. Inserendosi in un momento storico molto fertile per la trattazione di tematiche legate al genere e alla parità, La ragazza d’autunno di Kantemir Balagov è un film non sempre semplice da seguire, ma affascinante e suggestivo che non deluderà un pubblico sensibile e preparato.

Regia - 4
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

3.2