Venezia 79 – Kristos, l’ultimo bambino: recensione del film di Giulia Amati

La recezione Kristos, l’ultimo bambino: il documentario di Giulia Amati selezionato all'interno delle Giornate degli Autori di Venezia 79

Kristos, l’ultimo bambino è il documentario di Giulia Amati, per cui questa produzione rappresenta la terza esperienza alla guida di un lungometraggio. Il film è stato selezionato in Notti Veneziane, spazio off realizzato dalle Giornate degli Autori in collaborazione con Isola Edipo, ed è stato presentato in anteprima il 2 settembre.

La selezione delle Giornate degli Autori ha l’obbiettivo di dare spazio all’interno della Mostra d’arte cinematografica di Venezia al lavoro degli autori che propongono un cinema che privilegia le esigenze artistiche e rifiuta di allinearsi alle necessità commerciali dell’industria. Queste produzioni vengono spesso escluse dai grandi circuiti di distribuzione ma, come ci ricorda il poetico film della Amati, rappresentano alcuni dei migliori esempi di arte cinematografica del contesto attuale.

Kristos, l’ultimo bambino: la storia di un lungo addio

Kristos, l’ultimo bambino 02 - Cinematographe.it

Kristos, l’ultimo bambino è ambientato ad Arki, un’isola del Dodecanneso greco abitata da una comunità composta da una trentina di persone. Il protagonista è Kristos che, con i suoi 10 anni di età, è l’ultimo bambino a vivere sull’atollo. In particolare, la pellicola segue l’infante per l’intera durata del suo ultimo anno di frequentazione della scuola elementare, dove è l’unico alunno.

Per Kristos si tratta di un anno di grande cambiamento non solo perché porterà a termine un percorso educativo, ma anche perché sarà chiamato a scegliere insieme alla sua famiglia se rimanere sull’isola per cominciare a lavorare insieme al padre o se andare via per proseguire il percorso scolastico. Da questa sua decisione non dipende poi solamente il suo futuro, ma anche quello della piccola società di Arki.

Kristos e Arki

Kristos, l’ultimo bambino 03 - Cinematographe.it

Kristos, l’ultimo bambino non interroga i suoi protagonisti e opta invece per un approccio basato sull’osservazione. È nei modi di fare e nelle espressioni dei volti che gli autori ricercano il senso della realtà con cui hanno scelto di confrontarsi. Fondamentale all’interno di questo processo è l’attenzione riservata al volto di Kristos: tramite i lunghi primi piani a lui dedicati si ha accesso al suo mondo interiore, che è caratterizzato da un turbamento ben più profondo di quello che appare superficialmente.

Il conflitto tra il desiderio di continuare gli studi e quello di rimanere insieme alla sua famiglia definisce l’ultimo anno di elementari del bambino. È possibile che, in maniera non consapevole, lui sia conscio delle responsabilità che circondano questa scelta: il suo abbandono di Arki segna la rottura di una lunga tradizione familiare ed è anche un simbolo della progressiva e irreversibile sparizione dello stile di vita che ha accompagnato per generazioni gli abitanti dell’isola.

L’isola, le sue tradizioni e lo stile di vita di coloro che la abitano sono a loro volta protagonisti. Il film si dedica con attenzione alla descrizione di questo piccolo mondo che pare essere destinato a scomparire. Lo fa mantenendo sempre uno sguardo rispettoso che, a tratti, diviene addirittura amorevole. Le meraviglie della natura, così come gli elementi di bellezza che caratterizzano la quotidianità di Arki, sono portati al centro della scena in una testimonianza che, senza mai scadere nella retorica, diventa una celebrazione malinconica.

Il rischio di risultare eccessivamente nostalgici o condiscendenti è però scongiurato dall’equilibrio con cui l’autrice narra la storia: per quanto si ponga l’accento sulla bellezza dell’isola, non si manca mai di mettere in risalto anche i limiti e le abitudini anacronistiche presenti in questa comunità. Più di ogni altra cosa, la storia di solitudine di Kristos rappresenta proprio la necessità del cambiamento.

Un’altra velocità

Kristos, l’ultimo bambino 04 - Cinematographe.it

Una delle principali caratteristiche dell’impianto narrativo costruito da Giulia Amati per Kristos, l’ultimo bambino è proprio il suo equilibrio; come si è già accennato, il film non scade mai nel retorico e questo è da attribuirsi in gran parte alla messa in scena composta e minimale. Per non drammatizzazione le immagini, la macchina da presa evita accuratamente qualsiasi tecnicismo e, in più di un’occasione, sceglie di rimanere immobile. Le inquadrature, pensate per lasciare la libertà di esplorare a fondo il soggetto, sono inoltre piuttosto lunghe.

Un altro dei risultati di queste scelte di regia è l’ottenimento di un ritmo posato, che richiama quello adottato dagli abitanti dell’isola. Le giornate di questi, che vivono in contatto con la natura e svolgo per la maggior parte lavori di stampo tradizionale, sono prive della frenesia che caratterizza la vita dei cittadini. Non a caso, all’interno delle riprese assistiamo spesso alla convivenza degli uomini con gli animali, che vivono a stretto contatto con i propri padroni e che, con i loro ritmi e le loro abitudini, contribuiscono in maniera sostanziale alla scansione del tempo.

Altrettanto importante per la riuscita di Giulia Amati è la scelta di non inserire un commento sonoro. Ancora una volta l’autrice dimostra di non volere interferire dall’esterno, ma di essere realmente interessata a lasciare una testimonianza fedele della vicenda. La mancanza di colonna sonora serve poi a portare in primo piano i suoni dell’isola catturati durante le riprese; se questi fossero stati affiancati – o ancora peggio sovrastati – da una qualsiasi musica il film sarebbe senza dubbio risultato meno autentico.

Infine, la genuinità con cui il la storia è portata sullo schermo non è il solo merito della pellicola; spogliandolo di ogni costruzione retorica, Kristos, l’ultimo bambino mette al centro il dramma umano che caratterizza la vicenda di Kristos e, ponendolo in contraddizione con la bellezza di Arki, ne espone tutto il potenziale drammatico intrinseco. Si tratta di un’operazione cinematografica di altissimo livello, che pone l’opera di Giulia Amati tra i migliori documentari dell’anno.

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Regia - 5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 5

4.7