Kill Boksoon: recensione dell’action sudcoreano Netflix

Dopo l’anteprima alla 73esima Berlinale, l’action-crime sudcoreano diretto da Byun Sung-hyun approda su Netflix dal 31 marzo 2023, portando con sé adrenalina e combattimenti spettacolari al cardiopalma.

È chiaro sin dal titolo con il quale ha voluto battezzare il suo quinto film, ossia Kill Boksoon, quanto il regista Byun Sung-hyun ci tenesse a rendere omaggio a quello che probabilmente è stato e continua ad essere un suo punto di riferimento. Quel qualcuno non può che essere Quentin Tarantino e quei due volumi di Kill Bill che tanto hanno influenzato la nuova generazione di cineasti che ora spopolano nelle sale, sulle piattaforme e nei festival, alla quale il regista sudcoreano appartiene. Nella pellicola presentata in anteprima mondiale lo scorso febbraio alla 73esima Berlinale e disponibile su Netflix dal 31 marzo 2023 c’è tantissimo dello stile e dei personaggi tarantiniani.

Kill Boksoon cinematographe.it

La protagonista Gil Bok-soon, madre single che nasconde una vita segreta da assassina professionista alle prese con le problematiche di una figlia adolescente, tradita dalla stessa organizzazione di sicari per la quale ha lavorato per anni e che ora la vuole morta, ha molto nel proprio DNA, tanto nel modo di combattere quanto in quello dialettico, della celeberrima sposa/Black Mamba interpretata da Uma Thurman. Da qui gli accostamenti e tutta una serie di ulteriori assonanze e similitudini che lo spettatore più attento potrà divertirsi a scovare nel corso delle due ore e passa di timeline di questo nuovo k-drama in salsa sudcoreana targato grande N.

Kill Boksoon è un mix di crime, thriller e azione che trova nelle spettacolari coreografie marziali il punto di forza e in una trama piuttosto comune il proprio tallone d’Achille

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Una volta esaurito il suddetto compito si può passare finalmente a gustarsi questo mix di crime, thriller e azione che trova nelle spettacolari coreografie marziali il punto di forza e in una trama piuttosto comune, che riporta la mente alla saga di John Wick, del quale Kill Boksoon viene considerato dagli addetti ai lavori una versione al femminile, il proprio tallone d’Achille. L’autore infatti non ha molto da dire in termini di originalità, tant’è vero che i meccanismi e le dinamiche che regolano e sorreggono l’architettura narrativa e drammaturgica non catturano quanto sperato l’attenzione del fruitore dal primo all’ultimo fotogramma utile in una timeline che si dilata ben oltre le reali esigenze del plot. Insomma nulla che non si sia già visto e sentito in storie analoghe, tanto da rievocare il ricco campionario di film e serie come Frammenti di lei, Hanna, The Villainess o Nikita, con protagoniste delle letali assassine costrette a vedersela con il fuoco amico e il rispettivo passato. Se non fosse per la necessità di Byun Sung-hyun di stratificare la trama con digressioni che riguardano il travagliato rapporto madre-figlia, la scrittura percorrerebbe binari morti privi di stimoli e di qualsivoglia tentativo di coinvolgimento. Da apprezzare quantomeno lo sforzo, che porta il film a qualche momento decisamente meno ludico e più riflessivo.   

Tutte quelle volte che dalle parole si passa ai fatti, l’asticella non a caso si alza, con Kill Boksoon che si veste da martial arts film mettendo finalmente in vetrina il meglio di sé

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Ma la principale fonte di coinvolgimento però resta e va ricercata nella componente action, con delle scene di combattimento che rappresentano il piatto forte dell’intero menù. Tutte quelle volte che dalle parole si passa ai fatti, l’asticella non a caso si alza, con Kill Boksoon che si veste da martial arts film mettendo finalmente in vetrina il meglio di sé. Ciò avviene fortunatamente a intervalli regolari, trovando nel duello notturno sul ponte dei primissimi minuti e nel tutti contro tutti del ristorante che arriva quasi in prossimità del fotofinish le scene più riuscite, spettacolari e adrenaliniche, tra quelle proposte da un cineasta non nuovo ad esplosive operazioni di genere come Bulhandang. Con coreografie veloci e ipercinetiche, che vedono la macchina da presa impegnata in manovre anti-gravitazionali, tali scene riescono a rubare l’occhio del fruitore, compensando quelle che possono essere delle mancanze marziali dell’interprete Jeon Do-yeon, che in molti ricorderanno come la vincitrice del premio come migliore attrice al festival di Cannes nel 2007 per Secret Sunshine di Lee Chang-dong.

In Kill Boksoon la violenza si trasforma in una danza espressiva

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Il regista sudcoreano, alla pari di moltissimi suoi connazionali, conosce bene le potenzialità delle cinepresa e fino a dove si può spingere per sopperire a carenze strutturali o attoriali. Nel suo caso è bravissimo a gettare fumo negli occhi dello spettatore, distraendolo con soluzioni tecniche davvero efficaci che riescono persino a trasformare la violenza in una danza espressiva come avvenuto in altre pellicole come The Raid e The Night Comes For Us. Anche in questo si vede il modello tarantiniano di Kill Bill tra le influenze dalle quali Byun Sung-hyun ha attinto a piene mani per confezionare Kill Boksoon.

Kill Boksoon: conclusione e valutazione        

Le scene d’azione spettacolari e adrenaliniche presenti a intervalli regolari nella timeline, ben supportate dalla componente sonora, fotografica e coreografica, compensano la poca originalità del plot e la mancanza di personalità nell’appoggiarsi del regista a influenze e citazioni più o meno esplicite. Un prodotto di puro intrattenimento un po’ troppo lungo in termini di minutaggio rispetto alle reali esigenze narrative e drammaturgiche. Un k-drama vestito per l’occasione da martial arts action che sprizza violenza da tutti i fotogrammi, estetizzandola al punto da trasfigurala in una sorta di danza.

Regia - 4
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

3.1