Il mio vicino Adolf: recensione del film di Leon Prudovsky

La recensione della dramedy con David Hayman e Udo Kier, co-produzione israeliano-polacca in uscita il 3 novembre 2022.

Mantenere rapporti di buon vicinato non è sempre facile ed è già complicato di per sé. Se poi il dirimpettaio si rivela essere il tuo peggiore nemico, o ancora peggio la persona che più odi al mondo, allora la situazione si fa ancora più incandescente, con la topografia che si tramuta in una polveriere pronta a esplodere e in un campo di battaglia dove si consumano dispetti e battibecchi quotidiani tra le due fazioni opposte. Ciò che accade nel film di Leon Prudovsky dal titolo Il mio vicino Adolf sarebbe dunque all’ordine del giorno a qualsiasi latitudine se non fosse per i dolorosi trascorsi storici che vi sono alla base, che alimentano da decenni una ferita mai cicatrizzata nella memoria collettiva.

E se Adolf Hitler non fosse realmente morto suicida nel 1945?

Il mio vicino Adolf; cinematographe.it

La pellicola, nelle sale italiane a partire dal 3 novembre 2022 con I Wonder Pictures dopo l’anteprima al 75º Locarno Film Festival, riavvolge le lancette dell’orologio sino al maggio del 1960. Siamo nella remota campagna colombiana dove in una casetta vive un sopravvissuto all’Olocausto solitario e scontroso di nome Polsky, originario della Polonia. La sua tranquillità e routine viene sconvolta dall’arrivo nell’abitazione di fianco alla sua di misterioso vicino chiamato signor Herzog, che parla tedesco, vive da recluso e si serve di un avvocato per gestire le pratiche del trasloco. Dopo un acceso scontro verbale faccia a faccia tra i due, Polsky si convince a poco a poco che sotto la folta barba grigia e gli occhiali da sole del nuovo arrivato si celi addirittura Adolf Hitler. Ovviamente le autorità locali non credono a questa ipotesi data la morte per suicidio del  Führer quindici anni prima, il 30 aprile del 1945. Ma cinematograficamente parlando tutto è possibile, lo dimostra il Lui è tornato di David Wnendt, a sua volta trasposizione dell’omonimo bestseller di Timur Vermes, nel quale Hitler torna chissà come in vita ai giorni nostri desideroso ancora di farsi ascoltare, ma deve fare i conti con la multiculturalità e le moderne tecnologie. Motivo per cui la tesi portata avanti con tanta ostinazione da Polsky, accompagnata da tutta una serie di prove a carico, non possono escluderla per partito preso. Del resto, la storia con la S maiuscola ne ha viste di cotte e di crude.

Il mio vicino Adolf è una pellicola che ha la grande capacità di restare in equilibrio tra il serio e faceto, tra il dramma e la commedia

Il mio vicino Adolf cinematographe.it

Capirete dunque che con due figure come queste nelle vesti di protagonisti, divise e agli antipodi, una tregua e una pace non sono sulla carta possibili. C’è però un ma, un autentico coup de théâtre che potrebbe cambiare quelle stesse carte in tavola, ma non saremo di certo noi a rivelare di cosa si tratta, perché lo farà la visione stessa nell’ultimo atto di un film in grado di sorprendere e colpire in contropiede lo spettatore di turno. Quest’ultimo avrà anche il piacere di fruire di una pellicola che ha la grande capacità di restare in equilibrio tra il serio e faceto, utilizzando per gli sketch e le battute riconducibili al tono più leggero uno humour intelligente che non offende mai la memoria delle vittime e di ciò che è accaduto. Dietro screzi e contese varie tra vicini sul quale l’autore punta per strappare più sorrisi possibili, resta sempre viva una forte linea drammatica che il regista russo di adozione israeliana è sempre attento a non violare.

Le interpretazioni di David Hayman e Udo Kier sono il valore aggiunto di Il mio vicino Adolf

Il mio vicino Adolf cinematographe.it

Il risultato è una dramedy che tocca le corde giuste e lo fa suonandole nel modo giusto. Il merito è di una scrittura e di una trasposizione che sanno palleggiare molto bene e con scioltezza tra il dramma e la commedia, senza che l’uno prenda il sopravvento sull’altro. Il ché riporta alla mente, restando in argomento e tenendo le doverose distanze, a quel capolavoro che risponde al titolo di Il grande dittatore o a La vita è bella e a Jojo Rabbit. Modi diversi di affrontare e approcciare una materia delicata e complessa, ma che Prudovsky tratta con i guanti e la stessa cura messa dai suoi illustri predecessori. Se poi il film funziona i meriti vanno divisi anche con i due formidabili interpreti David Hayman e Udo Kier, calatisi rispettivamente nei panni di Polsky ed Herzog. Il loro scontro/incontro genera scintille sullo schermo, con i loro duetti che diventano il valore aggiunto di una pellicola che diverte e commuove in egual misura.            

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.9