Il gioco di Gerald: recensione del film Netflix

Nel recente filone di riscoperta delle opere di Stephen King sul piccolo e grande schermo, passato attraverso i fallimenti de La torre nera e della serie The Mist e gli importanti successi in termini di critica e di incassi di 22.11.63 e It (in arrivo a breve nelle sale italiane) arriva quasi in sordina un adattamento di un’altra importante opera del re del brivido, ovvero Il gioco di Gerald, da molti ritenuto impossibile da trasporre al cinema. L’arduo compito è toccato al regista di Ouija: L’origine del male Mike Flanagan, che ha scelto Carla Gugino e Bruce Greenwood per mettere in scena un thriller psicologico dal forte impatto emotivo e dal solido impianto visivo, da oggi disponibile su Netflix.

Il gioco di Gerald

I coniugi Jessie (Carla Gugino) e Gerald (Bruce Greenwood) Burlingame cercano di rivitalizzare il proprio matrimonio nella loro casa isolata su un lago. Nel tentativo di riaccendere la fiamma sopita della passione, Jessie accetta di sottoporsi a un gioco erotico del marito, consistente nel suo ammanettamento alla testiera del letto. Quando la situazione comincia a farsi fastidiosa e disturbante, Jessie si infastidisce e allontana seccamente il marito, che viene improvvisamente stroncato da un infarto fulminante. La donna si ritrova così immobilizzata a letto e isolata dal resto del mondo, con la sola minacciosa compagnia di un affamato cane randagio. Per Jessie ha così inizio una solitaria e disperata lotta per la sopravvivenza, che la porterà a riconsiderare la propria esistenza e a fare i conti con dimenticati fantasmi del passato.

Il gioco di Gerald: un incubo casalingo trasposto fedelmente dal romanzo di Stephen King

Il gioco di Gerald

Dopo alcuni passaggi a vuoto, Netflix convince con un convincente e riuscito adattamento di uno dei più importanti romanzi di Stephen King, capace di tenere col fiato sospeso lo spettatore per poco più di 100 minuti e donando al racconto un’invidiabile dimensione umana e psicologica. Il gioco di Gerald si attiene scrupolosamente al romanzo originale, limitando al minimo indispensabile le variazioni all’opera kinghiana. Gran parte del merito della riuscita della pellicola è certamente da attribuire a una sorprendente Carla Gugino, che alla sua proverbiale e sempreverde presenza scenica affianca una formidabile introspezione psicologica, sostenendo con un’impressionante gamma di sfumature ed espressioni la quasi totalità del racconto sulle proprie spalle e centrando così una delle migliori performance della sua carriera.

Il gioco di Gerald trasporta lo spettatore in un incubo casalingo, in cui le calde e accoglienti mura domestiche si trasformano in una terrorizzante e asfissiante prigione, dalla quale sembra impossibile fuggire. Una situazione insostenibile per chiunque, che precipita Jessie in uno stato mentale costantemente in bilico, fra allucinate visioni, dolorosi ricordi e saltuari sprazzi di lucidità. Mike Flanagan evita la potenziale trappola di un’eccessiva staticità della narrazione, sfruttando adeguatamente gli spunti narrativi forniti dal romanzo e portandoci all’interno dei più nascosti anfratti della mente della protagonista, dove si incontrano ossessioni, paure e traumi. Con il passare dei minuti scopriamo così che la forzata prigionia di Jessie è solo l’ultima di una serie di carcerazioni a cui la vita l’ha sottoposta, e che le manette che la costringono al letto fanno parte di una ben più lunga catena, estremamente difficile da spezzare.

Il gioco di Gerald: un efficace e fedele adattamento, che con un pizzico di coraggio in più sarebbe potuto diventare un cult del genere

Introspezione psicologica e azione procedono di pari passo, affrontando con grande tatto e sensibilità temi particolarmente complessi come la crisi del matrimonio, la violenza domestica e la pedofilia, creando un clima di palpabile suspense sostenuto da un’umanità insolita per un film del genere. Nella parte conclusiva, la storia subisce una brusca e per certi versi forzata accelerata, per altro mutuata fedelmente dall’opera originale, che porta a un finale apparentemente buonista ed eccessivamente didascalico, che trova però una naturale collocazione all’interno degli eventi proposti nel film.

Mike Flanagan sfrutta nel migliore dei modi il materiale a propria disposizione, dalla fredda e a tratti asettica fotografia di Michael Fimognari alle coinvolgenti musiche dei Newton Brothers, che sostengono ed enfatizzano il crescente disagio della protagonista. Da rimproverare al regista una cronica mancanza di coraggio, che lo porta a prendere sempre la strada più sicura e confortevole, anche quando divergere dalla strada battuta di King avrebbe potuto portare a risultati più convincenti dal punto di vista cinematografico.

Il gioco di Gerald

In conclusione, Il gioco di Gerald si rivela un fedele ed efficace adattamento, che difficilmente scontenterà i lettori dell’omonimo romanzo. Un thriller suggestivo, claustrofobico e a tratti particolarmente orrorifico, che con un pizzico di audacia in più e un piccolo e calcolato tradimento dell’opera originale sarebbe potuto diventare un piccolo cult del genere. Un incoraggiante segnale di ripresa per Netflix, che con le sue ultime produzioni sembrava aver smarrito la strada che ha portato questa piattaforma di streaming alla popolarità mondiale.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.4

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