Il discorso del re: recensione del film di Tom Hopper

Il discorso del re è un film del 2011 ben riuscito sotto ogni aspetto, che si avvale della performance di Colin Firth in forma smagliante.

Tom Hopper dirige con il suo inequivocabile stile delicato e raffinato un Colin Firth all’apice della sua potenza espressiva. Il protagonista di Il discorso del re è appunto Firth nei panni del principe Albert, secondo figlio di re Giorgio V, la cui posizione ereditaria lo mette in disparte rispetto al fratello Edoardo, vero rampollo della famiglia reale. La sua vita familiare scorre dunque tranquilla, senza che la sua evidente balbuzie costituisca un vero problema imprescindibile. L’irrequieta indole del fratello maggiore, però, lo porta a diventare addirittura sovrano, con il nome di re Giorgio VI: non potendosi più sottrarre al pubblico e arrivando anche a dover dichiarare guerra alla Germania (correva l’anno 1939), il re decide di lavorare sul suo problema di pronuncia e recuperare il lungo e deteriorato rapporto che aveva creato con il terapeuta australiano Lionel Logue, che nel tempo era diventato anche un leale confidente. I due uomini si affrontano in un duello a più riprese, fatto di empatia e sintonia alternata a scontri e furiosi sfoghi di frustrazione.

Il discorso del re ha reso Colin Firth un attore popolarissimo anche presso i più giovani

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I tre protagonisti del film Il discorso del re: Helena Bonham Carter, Colin Firth e Geoffrey Rush.

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Colin Firth deve a Il discorso del re il suo successo presso le nuove generazioni, ma la proficua collaborazione con Tom Hopper alla regia e, ancora di più, con Helena Bonham Carter e Geoffrey Rush, suoi coprotagonisti, fa splendere il talento (e il fascino) dell’attore italo-britannico sotto una luce rinnovata. La costruzione del rapporto tra paziente e terapeuta affronta continui attriti, in un dibattito che intreccia le vicende personali con quelle culturali, idealmente creando un dialogo che va al di là dell’hic et nunc rappresentato. Ricoperto da innumerevoli premi – tra cui gli Oscar come Miglior Film, Miglior regia, Miglior attore protagonista e Miglior sceneggiatura originale, ma anche il Golden Globe come Miglior attore in un film drammatico e facendo man bassa ai BAFTA 2011 – e da un successo immediato, il film si giova senza ombra di dubbio di Colin Firth in forma smagliante, che gioca un ruolo da fuoriclasse in mezzo ai coprotagonisti comunque all’altezza di sostenere il loro compagno di interpretazione.

Tom Hopper armonizza la recitazione naturale e convincente di Firth, Carter e Rush in modo da creare un’atmosfera insieme elegante e determinata, senza incertezze di sceneggiatura, tale da raccontare in maniera misurata e appropriata la storia di uomo sia nelle vesti di padre che in quelle di sovrano, delineando un personaggio equilibrato nelle sue mille declinazioni e impreziosito dalla fragilità che mina le sua giornate.

Il discorso del re: un film che ha vinto una vera pioggia di premi

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Colin Firth nei panni di re Giorgio Vi in Il discorso del re.

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Costumi e fotografia fanno il resto, corollando un’opera impeccabile dal punto di vista stilistico e di sceneggiatura. Il discorso del re ricopre anche un ruolo importante nell’ambito di un ritorno di una cinematografia britannica semi-indipendente, capace di intrecciare elementi provenienti da varie tradizioni culturali; del resto, di questa sorta di meltin pot è un esempio anche lo stesso Colin Firth, portavoce della scuola attoriale britannica, naturalizzato italiano e popolare in tutto il mondo.

La costruzione tecnica del film non lascia trapelare alcuna difficoltà di realizzazione, quasi irridendo quel re Giorgio VI che viene continuamente messo alla prova dalle piccole decisioni quotidiane, diviso com’è tra ruolo pubblico e privato, dovendosi poi giostrare tra una famiglia intima e personale (moglie, prole e dimensione privata) e una regale, in cui le consuete problematiche conosciute ai più si alternano ai doveri che le istituzioni attribuiscono al loro nucleo. Il discorso del re è esattamente uno di quei film che non urlano, non arrivano sullo schermo con prepotenza, bensì affermano il loro status immagine dopo immagine con fermezza ed eleganza, propria di quelle opere in cui ogni singolo elemento fa esattamente quello che dovrebbe.

Regia - 5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.3