Honey Don’t: recensione del film di Ethan Coen
Ethan Coen prosegue il suo percorso in solitario con il secondo capitolo della trilogia lesbian B-movie iniziata nel 2024. Nelle sale dal 18 settembre 2025.
A un anno e poco più di distanza dall’uscita di Drive-Away Dolls, tocca a Honey Don’t fare la sua comparsa nelle sale nostrane a partire dal 18 settembre 2025 con Universal Pictures dopo l’anteprima mondiale nella sezione “Proiezioni di mezzanotte” del 78° Festival di Cannes. Trattasi del secondo capitolo della trilogia lesbian B-movie firmata da Ethan Coen, con la complicità della sceneggiatrice e moglie Tricia Cooke, della quale è già in cantiere l’atto conclusivo dal titolo Go Beavers.
Honey Don’t è un capitolo narrativamente indipendente di una trilogia lesbian B-movie che ha però in comune la presenza di Margaret Qualley nei panni della protagonista

Tra gli episodi che la vanno a comporre, risultato di un ventennio di scrittura secondo quanto dichiarato dagli autori, non vi è però alcuna connessione e continuità narrativa e drammaturgica, tantomeno dei personaggi ricorrenti. Il ché rende ciascun capitolo un’opera autonoma e svincolata dalle altre, accomunate pero dal tema lesbico e dalla presenza nel cast principale come protagonista di Margaret Qualley, che svestiti i panni di uno spirito libero in crisi dopo la fine della relazione con la sua ex ragazza alle prese con un gruppo criminale in Drive-Away Dolls, ora indossa quelli di una detective privata di nome Honey O’Donahue che in quel di Bakersfield, una piccola cittadina della California, si trova a indagare su una serie di morti misteriose legate a una chiesa isolata e al suo carismatico leader, padre Dean, pastore carismatico e criminale, col vizio del sesso e della manipolazione. Nella vita di Honey, intanto, irrompono un vecchio padre, a cui non perdona un’infanzia di abusi, e una poliziotta, con cui comincia una torrida relazione. Tra ufficio, casa e chiesa, la donna avrà la meglio sui cattivi di turno senza alzare un dito, o quasi.
In Honey Don’t va in scena il consueto mix di generi e di personaggi boarderline ai quali Ethan, anche senza il fratello Joel, ci ha abituati

Anche in Honey Don’t è riconoscibile l’impronta coeniana nonostante Ethan abbia voluto realizzare il film in solitaria senza l’apporto del fratello sia in fase di scrittura che al suo fianco in cabina di regia. Evidentemente la questione genetica a livello autoriale continua a persistere anche se l’esito non è il frutto di un lavoro a quattro mani dei fratelli statunitensi. In tutta la pellicola si riconoscono tuttavia elementi riconducili al cinema del famoso duo, tanto in termini di stile che di registro, quanto nella commistione e nel mix di generi (commedia, noir, poliziesco, thriller e giallo), oltre che nella presenza di una galleria di personaggi borderline e stravaganti per usare un eufemismo che regalano sempre tante sorprese alla platea di turno, vedi ad esempio un inedito Chris Evans che nel ruolo del capo della setta riporta alla mente gli indimenticabili villain del cinema coeniano. Il tutto bagnato dall’imprescindibile humour nero con il quale Ethan sia in solitario che in coppia con Joel (l’ultima volta è stata nel 2018 con La ballata di Buster Scruggs) è solito impregnare dialoghi pungenti, ma anche le azioni più efferate e in questo caso le numerose scene bollenti, sopra e sotto le lenzuola.
Pur presentando elementi caratteristici del cinema coeniano, Honey Don’t ha nella sceneggiatura discontinua e confusionaria il proprio tallone d’Achille

Ne viene fuori un dark comedy scorretta politicamente al punto giusto, capace di affondare la lama e affilare la lingua con battute feroci e sboccate al limite del goliardico ogniqualvolta se ne presenta l’occasione. Peccato che stavolta, a differenza della precedente, non sia sufficiente a garantire alla resa quel contributo utile alla causa. Nulla può infatti per andare a colmare quei buchi di sceneggiatura e quei ripetuti giri a vuoto dei quali la timeline è costellata. Il plot e chi lo anima si perdono in un calderone sensazionalistico che punta al mero intrattenimento fine a se stesso, con la sceneggiatura che è a conti fatti il tallone d’Achille. Un limite, questo, che fa notizia per un film targato Coen. Ecco che si finisce a rimpiangere i bei tempi che furono, quando i fratelli di St. Louis Park portavano sul grande schermo opere che hanno lasciato il segno nell’immaginario comune e cinematografico. Non ci resta che sperare in una futura reunion.
Honey Don’t: valutazione e conclusione

Con Honey Don’t prosegue il percorso in solitario di Ethan Coen, ma a differenza del primo capitolo della trilogia alla quale quest’ultima fatica appartiene il risultato stenta a decollare a causa di una sceneggiatura, scritta a quattro mani con la moglie Tricia Cooke, che si rivela un vero e proprio tallone d’Achille. Pur in presenza di elementi ricorrenti e caratterizzanti del cinema coeniano, sia dal punto di vista narrativo che stilistico, la ricetta non produce l’esito sperato. Lo humour nero immancabilmente politically incorrect e senza peli sulla lingua affonda la lama ogniqualvolta se ne presenta l’occasione, ma non è sufficiente a cambiare le sorti di un film che alterna frequenti black-out a pochi momenti davvero riusciti. Non ci resta che aspettare il terzo episodio per capire se si è trattato solamente di un passaggio a vuoto.