TSFF 2021 – Gaia: recensione del film di Jaco Bouwer

Dopo tanta televisione, ecco l’esordio sul grande schermo del regista sudafricano Jaco Bouwer che si rivela un horror ecologico strutturalmente fragile e incapace di percuotere le interiora dello spettatore. In concorso al 21° Trieste Science + Fiction Festival.

A mali estremi, estremi rimedi e quello trovato da molti cineasti per continuare a realizzare film in periodo pandemico è stato di prendere una manciata di attori, lavorare con una troupe ridotta ai minimi termini e scegliere come ambientazioni delle location circoscritte tra quattro mura di ogni sorta, oppure in spazi aperti di zone off limits come possono essere delle foreste geolocalizzate chissà dove. È il caso di Gaia, esordio sul grande schermo del regista televisivo Jaco Bouwer che, alla pari di colleghi come Ben Wheatley con In the Earth e Jennifer Sheridan con Rose: A Love Story, hanno scelto aree boschive nel mezzo del nulla come cornici delle rispettive fatiche dietro la macchina da presa. Ma trattandosi in tutti e tre i casi di horror, in fin dei conti la sostanza non cambia più di tanto visto che la cornice in questione è da sempre uno dei luoghi prediletti dagli abituali frequentatori del genere.

Gaia: una messa in scena e degli effetti visivi non all’altezza che abbassano di molto la qualità

Gaia cinematographe.it

Boschi e foreste sono dall’alba dei tempi del cinema del terrore un must al quale difficilmente si è disposti a rinunciare, poiché in grado di risvegliare echi sinistri e paure ataviche. Tuttavia c’è chi come Wheatley in emergenza ne ha fatto di necessità virtù, portando sullo schermo un film comunque degno di nota, e chi come Bouwer al contrario ha preso male la mira, fallendo e di molto il bersaglio. La sua opera prima, presentata in concorso alla 21esima edizione del Trieste Science + Fiction Festival, ha messo in mostra una serie di limiti in primis strutturali legati principalmente alla scrittura, che di riflesso si sono riversati sul lavoro di trasposizione e messa in quadro. Non tanto sulla componente stilistica e tecnica con una fotografia, un montaggio e una regia che tengono a galla l’operazione, quanto invece sulla messa in scena che, al netto di effetti visivi e di make up altalenanti e non sempre all’altezza della situazione, abbassa di molto la qualità e l’impatto della confezione, depotenzializzandola e rendendola meno efficace.

Gaia è il classico horror ecologico new age che racconta il dramma della sopravvivenza in un ambiente ostile

Gaia cinematographe.it

Di conseguenza più che al nobile artigianato indipendente di genere vecchia scuola o di nuova generazione, Gaia sembra destinato a trovare spazio nel deposito abbandonato del b-movie di bassa categoria, quella che finisce nel tritacarte della memoria cinefila. Quello firmato dal cineasta sudafricano è il classico horror ecologico new age che racconta il dramma della sopravvivenza in un ambiente ostile, dove Madre Natura detta le dure regole d’ingaggio, dei survivalisti che vivono come in un mondo post-apocalittico cercano di farle rispettare e strani esseri postumani mietono vittime. A farne le spese una guardia forestale di nome Gabi e il suo collega. Ma potete dormire sonni tranquilli, perché se l’incipit potrebbe lasciare presagire derive gore o splatter in odore di Cannibal Holocaust o derivati (The Green Inferno), quello che diversamente approda sullo schermo altro non è che una lotta per tornare alla civiltà che di terrificante, disturbante e sanguinolento ha davvero pochissimo da offrire ai cultori della materia e agli amanti dei sapori forti.

La scrittura guarda al già visto, chiama in causa in maniera futile e accessoria misticismi pagani, culti e trip lisergici

Gaia cinematographe.it

Gaia è tutt’altro che indigesto e la cosa irrita al quanto chi come noi sperava in un qualcosa capace di percuotere le interiora. La scrittura guarda al già visto, chiama in causa in maniera futile e accessoria misticismi pagani, culti e trip lisergici, e come se non bastasse li pone al servizio di una storia e di dinamiche che non riescono mai e poi mai a coinvolgere in nessun modo lo spettatore di turno, anche quando si passa dalle parole ai fatti o si ricorre all’effetto jumpscare. Il tracciato resta comunque piatto. Il ché in un horror che si rispetti, quando non di natura psicologica, non è un buon biglietto da visita.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 2.5
Recitazione - 1.5
Sonoro - 2
Emozione - 0.5

1.7