RomaFF13 – Friday’s Child: recensione del film

Friday's Child, con il poliedrico Tye Sheridan, vuole raccontare della vita al di fuori delle strutture d'adozione dopo il compimento dei 18 anni.

Pochi attori sanno essere tanto convincenti in ruoli tra loro molto differenti. Tye Sheridan (Ready Player One, X-Men: Dark Phoenix) è uno tra questi. La cosa che sorprende dell’interprete nato nello Stato dell’Indiana è che non solo passa con fluidità incredibile da un personaggio all’altro, ma lo fa con una facilità disarmante, ancora più lodevole vista la giovanissima età del ragazzo. Partito con Terrence Malick e il suo emblematico The Tree of Life, Sheridan si ritrova ora come protagonista dell’allievo di quest’ultimo, un aspirante cineasta che tenta in qualche maniera di emulare il suo maestro pur mantenendo un forte contatto con la contemporaneità.

J.A. Edward si interessa alle condizioni dei giovani cresciuti in contesti d’adozione e del percorso che la vita gli riserverà al di fuori, quando al compimento di diciotto anni si va contro quella che tutti chiamano emancipazione. Un’indipendenza che assume tutt’altro valore se legata alla crescita in solitaria di bambini in strutture pubbliche inadeguate, che diventano nel tempo inadeguati adulti. Un’inidoneità dello stare al di fuori, nel mondo vero, incarnata nella figura del personaggio di Friday’s Child.

Friday’s Child – La complicata emancipazione dei 18 anniFriday's Child cinematographe

Richie (Tye Sheridan) ha compiuto la maggiore età e questo significa solo una cosa: dover lasciare il complesso abitativo che in quegli anni gli era assicurato. Il giovane è uno di quei tanti ragazzini che il sistema d’adozione non ha saputo – o non è riuscito – ad affidare e che ora si ritrova a dover affrontare la quotidianità fatta di lavoro e pagamento dell’affitto. Un’esistenza che è troppo complicata da gestire per chi non è stato educato a farlo e che lo porterà a dover fronteggiare ogni sorta di problema.

Di matrice malickiana – come già sottolineato – e con Gus Van Sant come produttore esecutivo del suo nuovo progetto. Friday’s Child sembra avere già così, di primo impatto, un’impronta autoriale precisa. E J.A. Child non sembra deludere le aspettative suscitate dalle premesse. La sua opera filmica sembra un agglomerato di input sperimentali e ricerca regista che si ritrovano fuse nelle riprese del lungometraggio e lo rendono pieno di idee visuali e tecniche. Tutte sempre indirizzate verso un tipo di cinema svincolato dalla limitatezza pragmatica e più attento al collaudo di una sua forma personale e indagata in profondità.

Prendendosi cura della regia, che si muove come volando e sollevandosi senza nessun peso sui luoghi e i suoi personaggi, i movimenti della macchina da presa di Friday’s Child si allungano in ogni direzione concessagli dallo spazio, permettendo libertà illimitata. Solo le rette parallele, a segnare uno sguardo panoramico, si ripetono con incidenza nella pellicola, ponendosi come marca di riconoscimento del film per descrivere la vita che circonda e a cui prende parte il protagonista.

Friday’s Child – Dalla regia sperimentale alla sceneggiatura da limareFriday's Child cinematographe

Se, dunque, la direzione dell’opera si avvale di un occhio che sa come volersi esprimere e con quale sensibilità approcciarsi alla storia visuale, la sceneggiatura del film, scritta sempre dallo stesso Edward, non si controbilancia con il medesimo controllo. Se il soggetto e lo script mantengo saldo il loro voler trattare del disagio che si ritrova a dover sostenere un ragazzo in quelle condizioni insufficienti, è nelle conversazioni, nelle riflessioni ad alta voce, nei dialoghi che vengono scambiati che si va depotenziando il racconto, che estremizza al massimo il film tanto da perderlo in alcuni tratti.

Con il, nuovamente, eccellente Tye Sheridan e la sua biforcazione incarnata dalla follia disperata di Caled Landry Jones e la tristezza insofferente di Imogen Poots, Friday’s Child è la ricerca di una via di uscita, una qualunque, una che possa significare una maturazione nonostante la frustrazione e l’incompiutezza del proprio passato. Un quadro che riesce a passare meglio più per le immagini che per le parole.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.7