Fall: recensione del film di Scott Mann 

Un survivor movie ad alta quota vertiginoso e spettacolare, ma che non restituisce la dose di adrenalina e tensione che ci si aspetta. Al cinema dal 27 ottobre 2022.

Situazioni estreme, richiedono soluzioni estreme, specialmente quando in ballo c’è l’incolumità di un essere umano. Su questa equazione in bilico tra la vita e la morte di una o più persone che cercano di riportare a casa sana e salva la pelle quando questa viene messa in pericolo e in discussione da qualcosa o qualcuno, si regge l’impianto narrativo e drammaturgico del survivor movie, filone cinematografico il cui codice genetico attinge in egual misura al dramma e all’avventura, quella ovviamente che rischia di non finire positivamente per i malcapitati di turno. Nei decenni abbiamo assistito sul piccolo e grande schermo, più recentemente anche sulle piattaforme, a disavventure che vedono i protagonisti alle prese con la furia degli eventi, calamità naturali o incidenti che li hanno intrappolati in ogni dove: montagne, cielo, isole, in mare aperto e grattacieli compresi. Tra le potenziali location che potevano fare da cornice a una nuova lotta per la sopravvivenza che mancava ancora all’appello c’è quella scelta da Scott Mann per il suo Fall, in uscita il 27 ottobre 2022 con Bim Distribuzione.

In Fall due climber restano bloccate sulla cima di una torre di trasmissione televisiva dismessa nel mezzo del deserto a 700 metri d’altezza

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Si tratta di una torre televisiva dismessa chiamata B67, la quarta più alta degli Stati Uniti con i suoi 700 metri circa, posizionata nel bel mezzo del nulla, proprio quella sulla quale due migliori amiche, Becky (Grace Fulton) e Hunter (Virginia Gardner), decidono di arrampicarsi per spargere le ceneri del defunto marito della prima, morto durante un’arrampicata su parete rocciosa in seguito a un incidente. Ed è sulla sua cima che le due rimarranno bloccate per giorni interi dopo il crollo della scala portante, senza campo e vivere, sotto il sole e la pioggia, minacciate costantemente dagli attacchi da parte di predatori e avvoltoi in cerca di cibo. Una situazione davvero al limite, dalla quale non sarà semplice uscire se non con l’ultimo disperato tentativo. Il problema è dunque come tornare con i piedi a terra. La risposta ovviamente la lasciamo alla visione dell’ultima fatica dietro la macchina da presa del regista britannico, da anni ormai in pianta stabile oltreoceano dove ha realizzato gran parte dei suoi lavori precedenti, tutti rigorosamente votati alla causa dell’azione a buon mercato e del thriller al cardiopalma: da The Tournament a L’ultima partita, passando per Bus 657.

Nonostante il cambio di location, il plot di Fall replica situazioni e dinamiche già viste nel survivor-movie, che provocano una catena di déjà-vu

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Fall, in tal senso, non fa eccezione, anche se la quantità di adrenalina e tensione che ci si aspetta da un survivor movie come questo è ben al di sotto delle aspettative e del dosaggio richiesto. Vertiginoso e spettacolare il film lo è di sicuro vista la trama, l’ambientazione, le dinamiche, i pericoli insiti e i personaggi chiamati ad affrontarli, ma non sono sufficienti a raggiungere il giusto livello di intrattenimento e coinvolgimento emotivo che operazioni come quelle di Scott Mann dovrebbero offrire alla platea. La pellicola del regista inglese getta le basi e i presupposti per portare sullo schermo qualcosa che possa raggiungere il suddetto livello, ma a conti fatti l’asticella della temperatura si assesta su quello minimo e basico. La location, seppur inedita per il genere in questione, non è sufficiente a innescare la scintilla, poiché l’autore, con la complicità del co-sceneggiatore Jonathan Frank, già dalla fase di concepimento del plot non ha fatto altro che replicare situazioni e dinamiche già viste. Si assiste di default a una catena di déjà-vu e ricorrenti che riportano alla mente operazioni analoghe come Frozen di Adam Green, Altitude di Kaare Andrews, 127 ore di Danny Boyle, Paradise Beach – Dentro l’incubo di Jaume Collet-Serra o 47 Metri di Johannes Roberts, con quest’ultimo che non a caso vede tra i credits gli stessi produttori di Fall. Se poi aggiungiamo anche la questione della scaletta come via di fuga che viene meno, allora quanto accade in Open Water e Adrift sfata ogni dubbio in merito all’assenza di originalità.

In Fall il livello di coinvolgimento dello spettatore resta ancorato ai minimi sindacali

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Ciò che arriva al palato è il retrogusto inconfondibile della minestra riscaldata, che resta tale anche se cambi qualche ingrediente nel pentolone, con la sostanza narrativa e la sua trasposizione che rimangono invariate per andare incontro ai temi e agli stilemi del filone di riferimento, ma anche alle aspettative dei suoi abituali frequentatori. Motivo per cui Fall, al netto di scene d’impatto e tensione come il tentativo di recupero dello zaino precipitato sulle paraboliche o l’attacco degli avvoltoi sull’antenna, non conquista e non colpisce in pieno il bersaglio. Il copione, infatti, resta lo stesso nonostante il tentativo in zona Cesarini di rincarare la dose per smuovere ulteriormente le acque già tempestose. Nemmeno l’innesto di un dramma nel dramma, che riguarda il legame affettivo e un segreto inconfessabile tra le due protagoniste, anch’esso top secret per evitare spoiler, non sortisce gli esiti sperati. Mann prova a giocarsi la carte del colpo di scena, ma anche in questo caso il livello di coinvolgimento dello spettatore resta ancorato ai minimi sindacali, così come la credibilità rispetto degli avvenimenti che barcolla in più di un’occasione.

Regia - 3
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

2.6