Emoji – Accendi le emozioni: recensione del film d’animazione

Una trama banale e derivativa con una sceneggiatura priva di spunti interessanti fanno di Emoji - Accendi le emozioni un film insignificante e dimenticabile.

Una delle critiche più frequenti mosse al cinema, oggi, è la mancanza di originalità e idee nuove, un’accusa generalmente infondata ma con la quale non si può non essere d’accordo di fronte a Emoji – Accendi le emozioni (qui il trailer), un’opera che da un lato prende pesantemente spunto da molti film d’animazione precedenti e dall’altro cerca di accattivarsi il favore del pubblico sfruttando un oggetto in cui tutti possono riconoscersi: lo smartphone.

Nel tentativo di esplorare un terreno sicuro, di facile presa su un pubblico che ha già familiarità con l’argomento trattato e potrebbe quindi essere pronto a qualsiasi viaggio al suo interno, la Sony Pictures Animation decide di commettere un gravissimo errore: sceglie di non mettersi eccessivamente in gioco e svolgere il proprio compito senza correre rischi, producendo un film piatto, banale e puerile, dimenticabile se non addirittura perdibile.

Emoji – Accendi le emozioni: un film piatto e banale, in uscita al cinema dal 28 settembre

I problemi iniziano già in fase di soggetto, che si dimostra derivativo e prevedibile. All’interno degli smartphone, ogni applicazione costituisce un mondo a sé stante, popolato da infiniti personaggi diversi. Nel cellulare di Alex, in particolare, si scatena una caccia all’uomo contro Gene, un’emoticon capace di assumere qualsiasi espressione e, per questo, visto come una minaccia. Mentre Gene, inseguito dagli antivirus, cerca di raggiungere il Cloud dove potrà essere riprogrammato per diventare un perfetto “bah”, lo smartphone inizia a collassare mostrando segni di malfunzionamento, spingendo Alex a decidere di resettarlo.

Emoji e il viaggio dell’eroe

La struttura narrativa di Emoji, che si rifà al classico topos del “viaggio dell’eroe”, risulta sorprendentemente debole per la mancanza di alcun vero conflitto che il protagonista deve affrontare, o di prove da superare che richiedano alcune abilità specifiche di cui dovrebbe essere dotato: la sfida a “Just Dance” o a “Candy Crush” non richiedono a Gene, o ai due coprotagonisti, Jailbreak e Gimmiefive, di sfruttare in pieno la loro natura di emoticon e le abilità che derivano dall’essere sé stessi, messaggio finale del film. L’unica scena in cui ciò accade è costituita dall’apertura del firewall, che richiede a Gene di ricorrere al suo ampio repertorio di facce ed espressioni; troppo poco e troppo tardi per poter essere considerato sufficiente.

Contemporaneamente spiccano moltissimi problemi di coerenza interna e buchi nella trama, al punto da mettere in dubbio la credibilità del film e il senso del viaggio che ci viene mostrato: se Jailbreak riesce a raggiungere qualsiasi punto dello smartphone utilizzando le “scorciatoie” o il flusso musicale di Spotify, perché non raggiungono subito Dropbox in questo modo? O, più semplicemente, perché intestardirsi a voler superare un’applicazione considerata pericolosa come “Just Dance” invece di uscirne e semplicemente girarci intorno? Ancora più a monte ci si potrebbe chiedere come possa una semplice emoticon, per quanto celebre come Sorriso, avere un tale potere all’interno del cellulare assumendone di fatto il ruolo di leader, dal momento che può addirittura programmare gli antivirus.

Il problema fondamentale del film, però, non è tanto l’implausibilità del mondo messo in scena, quanto la sua mancanza di originalità.

Emoji è una pallida copia del capolavoro Disney Pixar Inside Out, dove erano le emozioni di una bambina a dover compiere un viaggio di formazione all’interno dei vari mondi che componevano la personalità di Riley. A fronte di un soggetto tutto sommato identico, a Emoji manca del tutto il lato emozionale che aveva decretato il successo del film Pixar che solo una sceneggiatura ben scritta poteva garantire: i personaggi non sono affatto caratterizzati, se non per stereotipi, non entrano mai in conflitto tra di loro, non evolvono e, di conseguenza, non trasmettono nulla allo spettatore.

Nessuno dei protagonisti attraversa un vero arco di trasformazione che lo porti a diventare migliore, o semplicemente diverso, dal momento che il messaggio del film ci insegna che ognuno di noi è perfetto così come è; anche in questo caso, comunque, manca un momento di epifania, di autentica scoperta del sé e della vera ricchezza che la diversità garantisce. L’unica evoluzione abbozzata è quella di Gimmiefive, che da fanatico della celebrità scopre il valore della vera amicizia; il problema è che tale cambiamento ci viene detto ma non mostrato, infrangendo la regola d’oro della narrativa “show, don’t tell” e perdendo in questo modo qualsiasi significato o importanza.

Emoji – Accendi le emozioni: davvero ognuno di noi è perfetto così com’è?

Ma i difetti della sceneggiatura non si fermano qui. Scendendo ad un livello più particolare troviamo un copione fiacco, composto da battute insipide e inside-jokes relativi al mondo virtuale, destinate a non lasciare niente allo spettatore. Numerosissime gag fanno riferimento a tormentoni del web già al centro di moltissime parodie, come i video con i gattini, sottolineando ancora una volta l’incapacità degli sceneggiatori di trovare qualcosa di nuovo da dire sul mondo che hanno scelto di mettere in scena, preferendo attingere all’ampio e consolidato repertorio di freddure e luoghi comuni su internet piuttosto che inventarne di nuovi.

Emoji non riesce a divertire, non riesce a emozionare e non è capace di far riflettere su qualsiasi argomento, visto che la comicità onnipresente non si fa mai satira, attestandosi per questo su un livello superficiale e innocuo, nemmeno adatto a far presa sul pubblico infantile che dovrebbe costituire il suo target, oggi abituato a standard narrativi molto più elevati già in tenera età.

Quello del target di riferimento è un problema che non va mai sottovalutato, ma in Emoji – Accendi le emozioni è un elemento piuttosto confuso.

Tutto, dalla semplicità del racconto alle battute del copione fino al design dei personaggi e delle ambientazioni, farebbe pensare ad un film destinato ad un pubblico molto giovane; le difficoltà emergono nel momento in cui gli argomenti trattati potrebbero non essere familiari ai bambini. Sebbene oggi anche i giovanissimi possiedano uno smartphone e abbiano dimestichezza con la messaggistica istantanea, e quindi anche con le emoticon, quanti di loro sanno cosa sono il Cloud, Dropbox o un codice sorgente? Da quanti bambini può essere stato colto il riferimento ai Trolls, al Cavallo di Troia o allo Spam?

Tutti questi argomenti sono al centro di gag e battute talvolta simpatiche, ma che richiedono un certo, seppur minimo, livello di dimestichezza con la tecnologia che non tutti i bambini hanno – o non dovrebbero avere. Qual è quindi il senso di rivolgersi ad un pubblico infantile parlando di argomenti che potrebbero non conoscere? Qualora si tratti di riferimenti inseriti per ammiccare al pubblico adulto non dovrebbe comunque prescindere dal proprio target di riferimento, che non potrà non sentirsi messo in disparte in determinati momenti della pellicola.

Emoji: Accendi le emozioni - recensione del film d'animazione

Scritto male, con una fotografia inesistente e una regia sciatta che evita qualsiasi occasione per rivelarsi interessante, Emoji supera il confine del brutto film per diventare addirittura inutile, un’ora e mezza che riesce a non dire nulla d’interessante senza fornire allo stesso tempo nemmeno del buon intrattenimento. Decisamente una pellicola da evitare.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 1
Recitazione - 2
Sonoro - 1
Emozione - 1

1.3