Brain on Fire: recensione del film Netflix con Chloë Grace Moretz

Un film che purtroppo banalizza la vera storia di Susannah Cahalan, nonostante la convincente interpretazione di Chloë Grace Moretz.

Brain on Fire è un film del 2016 scritto e diretto da Gerard Barrett e basato sull’omonima autobiografia di Susannah Cahalan, giornalista del New York Post capace di vincere una dura battaglia con una rara malattia autoimmune al cervello. La protagonista del film è la promessa di Hollywood Chloë Grace Moretz, affiancata in ruoli minori da interpreti più esperti come Tyler Perry, Richard Armitage e Carrie-Anne Moss. Dopo la presentazione al Toronto International Film Festival, Brain on Fire è stato distribuito in streaming da Netflix a partire dal 22 giugno.
Brain on Fire Cinematographe.it

La giovane giornalista del New York Post Susannah Cahalan (Chloë Grace Moretz) è avviata a una carriera importante nella stampa, grazie anche alla piena fiducia che ripone in lei il direttore della testata Richard (Tyler Perry), che le procura un’importante intervista con un senatore statunitense. Alcuni giorni prima di questa grande occasione, Susannah comincia però a soffrire di disturbi sempre più gravi e allarmanti, come allucinazioni, stati confusionali e irascibilità, che ne pregiudicano la vita privata e quella lavorativa. Con il prezioso supporto delle persone a lei più care, fra cui i genitori (Richard Armitage e Carrie-Anne Moss), il ragazzo Stephen (Thomas Mann) e la collega Margo (Jenny Slate), Susannah ottiene un ricovero in ospedale, dove comincia una lunga battaglia contro una temibile e misteriosa malattia.

Brain on Fire: una mal riuscita combinazione fra thriller psicologico e medical dramaBrain on Fire Cinematographe.it

Brain on Fire affronta un tema particolarmente delicato e controverso come quello delle turbe psichiche, cercando di trascinare lo spettatore nel disagio, nella lacerazione interiore e nella disperazione vissuti realmente dalla giornalista Susannah Cahalan e dai suoi familiari. Nonostante l’ottima prova della protagonista Chloë Grace Moretz, sempre più brava, matura e poliedrica, e l’inquietudine generata dai reali eventi narrati, Gerard Barrett non riesce però mai a trovare il bandolo della matassa a livello narrativo, vanificando i tanti spunti potenzialmente interessanti del film con una gestione francamente incomprensibile del racconto.

Il regista sceglie infatti di concentrarsi nella prima parte sulla paranoia e sulle suggestioni, esaltando da una parte le abilità recitative della Moretz ma depistando dall’altra lo spettatore verso atmosfere e situazioni più funzionali a un thriller psicologico che a quello che rimane prima di tutto un reale caso clinico. Un ridondante accumulo di scatti d’ira e di allucinazioni, che toglie spazio a personaggi e a sottotrame familiari e lavorative, che avrebbero aiutato a creare una maggiore empatia con la protagonista. Con una brusca e forzata svolta nella seconda parte, accompagnata dall’improvviso e non adeguatamente approfondito ingresso in scena del Dr. Najjar, Brain on Fire prende poi la strada del medical drama, utilizzando senza la minima originalità cliché e meccanismi tipici del genere, come l’affannosa ricerca della causa scatenante della malattia, il vigoroso supporto dei parenti e l’instaurarsi di un rapporto sempre più stretto fra medico e paziente.

Brain on Fire: un prodotto giustamente caduto nel dimenticatoio, che banalizza la vera storia di Susannah Cahalan

Il pubblico si ritrova così sballottato fra una replica sbiadita di Rosemary’s Baby e una puntata mal riuscita di Grey’s Anatomy, perdendo ben presto di vista il cuore della vicenda, ovvero la rara malattia autoimmune di Susannah e l’ispirante battaglia da parte sua e del suo medico per debellarla. A peggiorare la situazione, un affrettato finale che banalizza il difficile recupero psico fisico di Susannah, affidando il nocciolo della questione ai titoli di coda, accompagnati dalle immancabili foto dei veri protagonisti della vicenda.Brain on Fire Cinematographe.it

Tirando le conclusioni, Brain on Fire si rivela un prodotto giustamente caduto nel dimenticatoio fin dal sua uscita, a cui non servirà neanche il traino del lancio su Netflix per lasciare una traccia del proprio passaggio. Un film fiacco dal punto di vista registico e caotico dal punto di vista narrativo, che non rende giustizia a una struggente vicenda umana e vive solo del carisma e dell’abilità della convincente Chloë Grace Moretz, che non bastano però a salvarlo dalla mediocrità.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.3

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