Venezia 76 – Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer: recensione
Recensione di Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer, il documentario sul genio russo che, tentando di approcciarsi al suo stile, sbaglia completamente la mira.
È sempre complicato inquadrare i grandi maestri. Darne le direttive adatte per riportarne la vita, vedere come queste hanno poi influenzato il loro pensiero, la loro mano. Vale per tutti, anche per un visionario del cinema come Andrej Tarkovskij. L’importanza di un padre poeta, la vita passata nella spontaneità della natura, l’allontanamento forzato dalla sua patria natale, che ne segnarono il cammino personale e l’esplorazione di un nuovo tipo di paesaggio per immagini. Note intime, che possono ritrarre un vissuto che Andrej A. Tarkovskij, figlio del regista russo, ha scelto di tessere tra di loro, per un lavoro sulla vita e la carriera del padre che ha intitolato Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer.
Andrej Tarkovskij. A cinema prayer è il punto di vista esterno del Tarkovskij junior, che tenta di tratteggiare dal principio fino alla sua morte il percorso attraversato da una delle menti cinematografiche più illuminate del secolo scorso. Un vero genio della macchina da presa, di cui il documentario ripercorre i passi dai primi anni di infanzia fino e oltre il momento della sua scomparsa. I luoghi abitati dall’autore, le pellicole girate nei diversi paesi nelle varie fasi della sua esistenza, i legami, quelli principalmente dei famigliari, dipanati in un’opera che ne espone la figura e gli ideali, dando voce al regista stesso.
Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer – le memorie del genio russo
È, infatti, una sorta di diario quello che va formando Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer, versi e osservazioni provenienti dall’intelletto stesso del cineasta, che come un fiume si susseguono instancabili senza lasciare un attimo di respiro all’ascoltatore. Più che un documentario vero e proprio, l’operazione svolta dal figlio di Tarkovskij, sembra l’esposizione delle memorie del padre scomparso ormai più di trent’anni addietro. Un flusso di coscienza ordinato e diviso in compartimenti stagni, ma che ben poco hanno da spartire con la realizzazione di un buon prodotto destinato allo schermo.
Seppur dall’interesse inestimabile, le elucubrazioni del vate Andrej Tarkovskij appesantiscono un’opera che si dipana sempre dritta, sempre uguale. Uno scrosciare interminabile di parole abbinate alla composizione di fotografie personali e di immagini di repertorio. Video e riprese sia dal set che dei film del regista russo, di cui sentiamo costantemente la presenza durante la pellicola, finendo per diventare l’elemento più ingombrante, anche e soprattutto per se stesso. L’idea di procedere solamente per discorsi interminabili, da accompagnare a ciò che passa davanti agli occhi dello spettatore, appesantisce un lavoro verso il quale il pubblico è portato presto a perdere l’attenzione, non cogliendo più a fondo i significati delle meravigliose parole del regista, lasciandosi sfuggire l’occasione di conoscerlo ancora più nel profondo.
Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer – l’impossibilità di poter seguire a pieno il pensiero del grande regista
Un documentario che si fa, dunque, insopportabile; difficile da seguire nei suoi procedimenti filologici, che si tramutano in un ronzio monotono e sempre uguale. È senz’altro la filmografia del padre ad aver ispirato il figlio omonimo, quella vena di irrealtà sospesa in un tempo non ben delineato, che il giovane Tarkovskjj ha cercato di ricalcare, fallendo pienamente. La suggestione evocativa dei film del cineasta si coglie nelle volontà della creazione del suo ritratto, ma non se ne raggiungono mai le vette immersive, sfruttando malamente le risorse a disposizione e cercando di emulare uno stile che apparteneva a uno e a uno soltanto.
Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer avrebbe funzionato più come opera scritta per parlare dell’autore di capolavori come L’infanzia di Ivan, Solaris, Stalker. Anche se in fondo, come ha detto Tarkovskij stesso, i maestri sono dei folli di Dio, per questo è quasi sempre impossibile poter parlare chiaramente della loro arte.