The I-Land: recensione della miniserie Netflix

La recensione di The I-Land, serie Netflix che tenta di ispirarsi a Lost, ma che si lascia presto alle spalle il survivalismo per lasciare spazio al sci-fi

La palpebra si alza scoprendo l’occhio di una persona che si sveglia improvvisamente su un’isola deserta. No, non è la scena d’apertura di Lost – il famosissimo show di J.J. Abrams -, bensì la nuova miniserie Netflix The I-Land, creata da Neil LaBute e distribuita sulla piattaforma il 12 settembre 2019. E il servizio streaming ce l’ha proprio messa tutta per avvicinare il nuovo prodotto alla serie TV sui naufraghi più celebre di sempre, partendo dalla promozione che recitava “la Lost di Netflix”, “la nuova serie in stile Lost” e così via.

The I-Land: ecco il trailer italiano della miniserie sci fi Netflix

E forse The I-Land assomiglia per davvero a Lost: un gruppo di persone si sveglia su un’isola paradisiaca. Attorno a loro non c’è nulla. Eppure – al contrario della serie TV andata in onda dal 2004 al 2010 dove i naufraghi erano certi di essere finiti lì in seguito a un incidente aereo – questa volta nessuno ha idea di cosa sia accaduto. E ci scherzano pure chiedendosi se il loro aereo sia precipitato o se (attenzione spoiler sul finale di Lost), siano morti e si trovino nell’aldilà. Insomma non sanno nulla, neppure i propri nomi. Sanno solo che la sopravvivenza deve diventare il loro obiettivo primario.

The I-Land cinematographe.it

La miniserie, composta da 7 episodi da in media 40 minuti l’uno, comincia così a raccontare il viaggio di scoperta dei suoi protagonisti che, un passo alla volta, capiranno in modalità diverse la natura del loro essere dispersi. Un solo consiglio (spassionato) se non volete rovinarvi la sorpresa di capire cosa sia successo davvero, evitate come la peste il trailer che Netflix propone in home page: come sempre accade con il servizio streaming vi racconterà per filo e per segno i plot twist che vi attendono nel corso della serie.

Serie che vede come protagonista Natalie Martinez (Death Race) affiancata da Kate Bosworth (21), Ronald Peet (The Meyerowitz Stories), Kyle Schmid (4 amiche e un paio di jeans), Gilles Geary (The Path), Sibylla Dean (The Last Ship), Anthony Lee Medina (La prima notte del giudizio), Kota Eberhardt (X-Men: Dark Phoenix), Michelle Veintimilla (Gotham) e Alex Pettyfer (Magic Mike).

The I-Land: una serie thriller da binge watching, che si affida troppo al Deus Ex Machina

Il segreto per apprezzare The I-Land è moderare le aspettative. Partendo totalmente demotivati e con la convinzione che la serie sarà l’ennesimo prodotto non all’altezza dei paragoni che si tira addosso, riuscirete senza dubbio a rimanere piacevolmente sorpresi. Lo show, infatti, sovverte le premesse iniziali con ritmo costante, inanellando qualche plot twist davvero interessante e riuscendo, che ci crediate o no, a incantare davanti allo schermo. Il rischio binge watching è altissimo, complici una decentissima dose di mistero e una gestione per lo più corretta dei tempi dedicati a ogni personaggio (con qualche scivolone ben visibile).

The I-Land cinematographe.it

La serie, però, è ben lontana (ma davvero lontanissima) dall’essere perfetta. Nel corso dei suoi 7 episodi non mancano momenti totalmente slegati dal resto della narrazione, che faticano ad avere un senso di qualunque tipo. Non mancano le incongruenze e le rivelazioni di comodo con una Provvidenza che non potrebbe essere più ingombrante di così. La memoria torna quando serve e la tecnologia è un Deus Ex Machina comodissimo. Non mancano nemmeno le forzature narrative che fanno digrignare i denti o i colpi di scena che fanno scuotere la testa alla ricerca di una logica che, spesso, rimane latitante.

E non manca, soprattutto, una follia persistente nei dialoghi che molte, troppe, volte assumono un’aria irreale, ma talmente irreale, da valicare a piè pari la Sospensione dell’incredulità che una serie sci-fi richiede per antonomasia. Il problema infatti non è la componente fantascientifica (assolutamente no), bensì quella umana: The I-Land è abitata da personaggi più vicino alla caricatura che alla realtà, che incarnano stereotipi angoscianti e difficilissimi da ignorare.

Dove vuole andare a parare The I-Land?

The I-Land si pone, quindi, come prodotto iper-godibile, che si posiziona senza fatica nel catalogo Netflix senza infamia e senza lode. Si distanzia di chilometri dagli esempi peggiori messi in gioco dal gigante dello streaming grazie a una serie di qualità stese alla luce del sole: una premessa interessante, delle backstory sfaccettate e il coraggio di mettere in scena un corpo ben nutrito di plot twist.

The I-Land cinematographe.it

Allo stesso tempo, però, fatica nel mantenere una serietà narrativa dall’inizio alla fine, perdendo di vista il suo obiettivo più volte. Viene naturale chiedersi a ripetizione cosa voglia raccontare davvero la serie, quale fosse l’intento. Dove vuole andare a parare The I-Land? Lo show si pone dilemmi morali (anche di un certo spessore) cambiando continuamente idea, sterzando verso nuovi argomenti da dibattere senza mai discutere di nulla in maniera approfondita. Non è mai chiaro quale sia l’opinione generale che la serie vorrebbe vantare sui suoi argomenti centrali e viene quasi il dubbio che la componente etica non sia altro che una scusa, un pretesto per raccontare una storia che altrimenti avrebbe avuto ancora meno appigli.

The I-Land poteva fare di meglio, ma diciamoci la verità: poteva andare anche molto, molto peggio. Potevamo ritrovarci con un reboot non richiesto di Lost o con l’ennesimo drama survivalista senza arte né parte. Invece per le mani abbiamo una miniserie sci-fi che centra l’obiettivo: intrattenere il suo pubblico.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 3

2.5

Tags: Netflix