Disincanto: recensione della serie TV Netflix di Matt Groening
Dopo il presente de I Simpson e il futuro di Futurama, arriva il passato di Disincanto. Matt Groening presta il suo genio a Netflix: ecco la recensione
In fondo, se oggi passiamo le calde serate di agosto a fare malinconiche maratone di Bojack Horseman, se ridacchiamo guardando scenette dei Griffin, se perdiamo la testa per Rick & Morty e ci scandalizziamo per South Park o Brickleberry, è merito di un uomo chiamato Matt Groening. Il fumettista statunitense – informazione di servizio per coloro hanno vissuto come eremiti sull’Himalaya negli ultimi 31 anni – è il padre de I Simpson, di Futurama e, ora, di un nuovo prodotto Netflix intitolato Disincanto.
Disincanto esplora un reame di idee completamente diverso da quello che Groening aveva abitato finora. Con I Simpson si guardava (parliamo al passato perché, i fan saranno d’accordo, le ultime stagioni sono da dimenticare) alla società americana moderna e attuale, con un occhio di riguardo alla più profonda antropologia e coscienza sociale e civica, di denuncia e di accusa anche brutale a ciò che davvero non andava del Paese a stelle e strisce. Con Futurama (altro gioiellino del mondo dell’intrattenimento, questa volta post-duemila) si guardava brillantemente allo sci-fi, allo spazio di Star Trek, con fortissime componenti umoristiche e, ingrediente che sembra non mancare mai nell’arte di Groening, drammatiche.
Disincanto: l’esperimento fantasy di Matt Groening
Ora si guarda al fantasy. Disincanto è ambientato in una terra magica, antica e fittizia chiamata Dreamland. La protagonista è una principessa che beve birra, gioca d’azzardo e che preferirebbe morire piuttosto che sposare un principe azzurro bello e tontolone. La sua mano viene promessa in cambio di un’alleanza tra popoli dal padre-re buzzurro, che ha sposato una matrigna che – al contrario del solito canone – non è cattiva, ma è uno strano essere lucertolesco che depone le uova (sic!). La principessa, di nome Bean, tenta in tutti i modi di sfuggire a questo destino funesto e, nel mentre, incontra un demone personale di nome Luci e un Elfo di nome… Elfo.
Bean è una principessa moderna, che segue un libro di regole diverso da quello delle fiabe a cui siamo (e i protagonisti di Disincanto sono) abituati. Il suo royal wedding è un disastro e lei non ci pensa due volte a farci capire che di peli sulla lingua non ne ha. Disincanto si addentra nel racconto fantastico, fatto di creature mitologiche, cliché fantasy e battutine medievali. In fondo mancava solo questo a Groening per finire di psicanalizzare la società moderna. Il suo passato da fiaba è irriverente e comico, fatto di miscugli con la modernità e di un realismo spiazzante, come sempre.
Disincanto supera le aspettative: recensione della serie Netflix
Disincanto supera le aspettative che, davvero, erano disastrose. Nessuno si aspettava un’altra pietra miliare dell’animazione, anzi. In molti temevano un fallimento colossale. La serie Netflix, invece, si lascia guardare e ha lo stesso spirito di avventura e di sfida nei confronti dei suoi spettatori che avevano gli altri prodotti di Groening. Non regge il confronto con i primi Simpson e i tempi d’oro di Futurama, ma completa in maniera dignitosa una trilogia di generi e di tempi che, in qualche modo, racchiude uno specchio intricato e interessantissimo della società, di quello che ci piace, di quello che siamo e che vorremmo essere.
Non c’è dubbio che, come grande consiglio, ci sentiamo di dirvi di guardare Disincanto – se ve la sentite – in inglese. Il lavoro di doppiaggio è sorprendentemente divertente e adattissimo al tono che ci si aspetterebbe dalla serie. Fiore all’occhiello è senza dubbio la partecipazione dell’attore britannico Matt Berry che forse alcuni di voi ricorderanno nel brillantissimo The IT Crowd: il suo principe Merkimer non è altro che un Douglas Reynholm in calzamaglia e a cavallo di un destriero. Inconfondibile.
Disincanto è una visione estiva che vi consigliamo senza assolutissima ombra di dubbio. Che siate stati fan di Matt Groening oppure no, non importa. Chi lo sa, potrebbe diventare un altro prodotto del quale, tra qualche anno, saprete a memoria le battute. Altrimenti potete anche ciucciarvi il calzino.