Andy Serkis in 8 film, i migliori dell’attore
8 titoli che hanno segnato la carriera dell'interprete.
Andy Serkis è uno di quegli attori che hanno letteralmente cambiato il linguaggio del cinema. Nato a Londra nel 1964 da madre inglese e padre medico iracheno, Serkis ha cominciato come attore teatrale e televisivo prima di imbattersi in una strada che lo avrebbe consacrato a livello mondiale: il performance capture. La sua carriera, infatti, è diventata sinonimo stesso di questa tecnologia, che ha reso possibile dare vita a personaggi digitali con un’umanità e una profondità fino ad allora inimmaginabili. Ma ridurre Serkis soltanto a “quello che fa le scimmie o Gollum” sarebbe una semplificazione ingenerosa: l’attore britannico è un interprete capace, versatile, intenso, che ha alternato blockbuster miliardari a progetti indipendenti, ruoli in carne e ossa a quelli digitali, senza mai perdere una specifica impronta autoriale. In questo percorso, la sua filmografia diventa uno spaccato non solo della sua carriera, ma dell’evoluzione del cinema contemporaneo stesso, sospeso tra tradizione e rivoluzione tecnologica.

Serkis è anche un regista – basti pensare a Mowgli o al recente Venom: The Last Dance – e un produttore, capace di portare avanti un’idea personale di cinema al di là dei franchise in cui è stato coinvolto. Ha lavorato con autori di primissimo piano, da Peter Jackson a Matt Reeves, da Christopher Nolan a Ryan Coogler, costruendosi una credibilità rara nel panorama hollywoodiano. E, soprattutto, ha contribuito a ridefinire il mestiere dell’attore: se oggi si parla di performance capture come di un’arte a tutti gli effetti, gran parte del merito è suo. Non è un caso che la sua carriera sia stata oggetto di dibattito critico e accademico, al punto che la sua figura viene studiata come ponte tra l’attore teatrale tradizionale e l’attore digitale del futuro. In un’industria che spesso tende a incasellare, Serkis ha dimostrato che la duttilità e la ricerca continua possono diventare la sua vera cifra distintiva. Ripercorriamo otto titoli fondamentali della sua carriera, che raccontano questa rivoluzione silenziosa ma dirompente.
1. Il Signore degli Anelli: Le due torri (2002), di Peter Jackson

Il personaggio di Gollum è, a tutti gli effetti, una delle creazioni più iconiche della storia del cinema moderno. Serkis non si limita a prestare la voce al tormentato hobbit corrotto dall’Anello: attraverso il performance capture, ne definisce i movimenti, le espressioni, i tremiti psicologici. La sua interpretazione – capace di restituire sia la tenerezza di Sméagol sia la follia ossessiva di Gollum – ha fatto scuola, cambiando per sempre la percezione degli attori digitali. A lungo si è discusso se Serkis meritasse una candidatura agli Oscar, proprio perché il suo lavoro ha abbattuto le barriere tra recitazione tradizionale e animazione. È con questo ruolo che Serkis diventa una stella internazionale, dimostrando che anche dietro pixel e algoritmi c’è un cuore pulsante. Gollum, infatti, non è solo un effetto speciale, ma un personaggio tridimensionale, ambiguo, tragico, capace di suscitare empatia e repulsione nello spettatore. La forza della performance di Serkis sta nel rendere visibile un conflitto interiore attraverso il corpo: le spalle curve, gli occhi spalancati, la voce rotta che passa in un istante dal bisbiglio alla rabbia. È un’interpretazione che ha segnato un’epoca, aprendo la strada a un nuovo modo di fare cinema e fissando un punto di non ritorno per l’industria.
2. King Kong (2005), di Peter Jackson
Dopo la trilogia di Tolkien, Serkis torna a collaborare con Peter Jackson per dare vita a un altro “gigante digitale”: il gorilla più famoso del cinema. Qui la sfida è diversa: restituire la fisicità, la potenza e al tempo stesso la malinconia di una creatura tragica, che non è mai solo un mostro. Il King Kong di Serkis è un essere innamorato e disperato, reso con un realismo emozionante grazie alla sua straordinaria capacità di calarsi nei gesti e nella psicologia animale. Parallelamente, Serkis recita anche in carne e ossa nel ruolo di Lumpy, il cuoco della nave: una dimostrazione ulteriore della sua versatilità. È un film che sancisce definitivamente la sua reputazione come il “pioniere” del motion capture. Ancora una volta, ciò che colpisce non è soltanto la resa tecnica, ma la capacità di trasmettere emozione: Kong si innamora, soffre, lotta, e Serkis riesce a trasformare un mostro leggendario in un personaggio con cui empatizzare. Le scene a New York, con il gorilla che protegge Ann e sfida un mondo ostile, hanno una potenza emotiva che deriva direttamente dall’immedesimazione dell’attore, che non interpreta solo un animale, ma una condizione esistenziale.
3. The Prestige (2006), di Christopher Nolan

In uno dei film più raffinati e cerebrali di Nolan, Serkis abbandona il digitale per ritagliarsi un ruolo cruciale accanto a due giganti come Hugh Jackman e Christian Bale. Interpreta Mr. Alley, l’assistente dell’inventore Nikola Tesla (interpretato da David Bowie), ed è fondamentale nel portare avanti il tema della scienza come magia moderna. È una dimostrazione lampante di come non sia “solo” l’uomo del motion capture, ma anche un attore solido e credibile nel cinema più tradizionale. La sua interpretazione è silenziosa ma incisiva, perché riesce a dare spessore a un personaggio che poteva rimanere marginale, diventando invece una presenza concreta, fatta di sguardi e piccole reazioni. In un film che parla di illusioni, inganni e sacrifici, Serkis aggiunge un tassello di verità, incarnando il lato pratico e umano del genio visionario rappresentato da Tesla. È una prova di come il suo talento non dipenda dal digitale, ma dal modo in cui riesce a entrare nei panni di un personaggio e renderlo credibile.
4. Sex & Drugs & Rock & Roll (2010), di Mat Whitecross
Un biopic che permette a Serkis di mettere in mostra tutta la sua energia fisica e drammatica. Qui veste i panni di Ian Dury, leader degli Ian Dury and the Blockheads, figura chiave del panorama musicale britannico. Il film racconta le luci e le ombre di un artista complesso, tra la disabilità fisica (era colpito dalla polio) e la vitalità incontenibile sul palco. Serkis si trasforma completamente, abbandonando gli effetti digitali per un’interpretazione corporea e viscerale, fatta di eccessi, fragilità e carisma. È una delle sue prove più apprezzate in carne e ossa, che dimostra quanto il suo talento non abbia bisogno di tecnologia per brillare. L’attore restituisce la rabbia e la poesia di un personaggio più grande della vita, capace di attrarre e respingere allo stesso tempo. Il suo lavoro fisico, nel ricreare i movimenti storti di Dury, si combina a una vocalità ruvida, capace di catturare l’essenza di un artista che non si piegava mai alle convenzioni.
5. L’alba del pianeta delle scimmie (2011), di Rupert Wyatt

Se con Gollum Serkis aveva aperto una strada, con Cesare la percorre fino in fondo. Nel reboot della celebre saga, l’attore interpreta lo scimpanzé destinato a guidare la ribellione contro gli umani. La performance è straordinaria: Serkis restituisce a Cesare uno spessore umano, un arco narrativo che va dall’ingenuità alla consapevolezza politica, fino alla leadership tragica. È una recitazione che non ha nulla di “secondario” rispetto a quella degli attori tradizionali, tanto che molti critici parlarono di “nuova frontiera del mestiere dell’attore”. Con Cesare, Serkis diventa il volto – anzi, il corpo e l’anima – di un cinema in piena mutazione. La sua capacità di dare emozioni attraverso il linguaggio del corpo, gli sguardi e il respiro, dimostra come l’attore resti centrale anche in un contesto dominato dalla tecnologia. Cesare non è un personaggio digitale: è un leader shakespeariano, reso credibile e toccante da un interprete che sa trasformare ogni gesto in significato. Serkis costruisce un eroe epico e vulnerabile, capace di commuovere e far riflettere, segnando uno dei punti più alti della sua carriera.
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6. Avengers: Age of Ultron (2015), di Joss Whedon
Nel Marvel Cinematic Universe, Serkis si ritaglia un ruolo in carne e ossa che sarebbe diventato ancora più rilevante in Black Panther. Interpreta Ulysses Klaue, trafficante di vibranio dal carisma inquietante e beffardo. La sua prova è volutamente sopra le righe, un villain ambiguo che unisce comicità e minaccia. Serkis dimostra ancora una volta quanto si diverta a passare da un registro all’altro, dal digitale all’interpretazione fisica pura, entrando in uno dei franchise più popolari al mondo e lasciando il segno nonostante il minutaggio ridotto. È anche la conferma della sua capacità di diventare volto familiare al grande pubblico. Klaue è un personaggio che riflette bene l’anima istrionica di Serkis: può essere ironico e crudele nello stesso istante, destabilizzando chi gli sta intorno. Nonostante il ruolo non sia centrale nella trama, l’attore riesce a renderlo memorabile, grazie a piccoli dettagli come il linguaggio del corpo e la voce roca, che trasmettono sempre un senso di pericolo imminente.
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7. The Batman (2022), di Matt Reeves

Dopo anni di personaggi straordinari nascosti dietro pixel, Serkis viene scelto per incarnare una delle figure più iconiche dell’universo di Gotham: Alfred Pennyworth. In questa versione, l’assistente di Bruce Wayne non è solo il maggiordomo fedele, ma un uomo segnato da un passato militare e da un dolore mai sopito. L’interpretazione di Serkis porta nuova linfa al personaggio, restituendo durezza e vulnerabilità insieme. La sua chimica con Robert Pattinson arricchisce un film cupo e stratificato, confermando Serkis come attore capace di portare umanità anche nei contesti più epici e sovraccarichi di immaginario. Il suo Alfred non è un’ombra, ma un personaggio a tutto tondo, capace di mettere in discussione Bruce e di mostrargli una via alternativa. Serkis lavora molto di sottrazione, lasciando parlare lo sguardo e la voce rotta, costruendo un legame profondo con lo spettatore.
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8. Luther: Verso l’inferno (2023), di Jamie Payne
Nel sequel cinematografico della celebre serie con Idris Elba, Serkis veste i panni del villain David Robey, un miliardario tecnologico tanto affascinante quanto disturbante. Qui l’attore può dare sfogo a un’interpretazione crudele e gelida, costruita su sguardi e sfumature psicologiche più che su esplosioni di violenza. Il suo Robey è un antagonista disturbante, capace di incarnare le paure contemporanee legate alla sorveglianza digitale e al potere delle nuove tecnologie. È una prova che dimostra ancora una volta la sua duttilità e la sua capacità di reinventarsi, restando sempre riconoscibile pur cambiando pelle da un ruolo all’altro. Il personaggio, costruito su un equilibrio tra charme e sadismo, funziona anche perché Serkis riesce a farlo sembrare plausibile, quasi realistico, in un contesto narrativo che gioca con il thriller e il noir.