Matteo Rovere su Romulus: “Ci siamo serviti della leggenda per raccontare un’ipotetica realtà”

Romulus, la nuova serie evento Sky, Cattleya e Groenlandia, che racconta l'antefatto del mito della nascita di Roma arriva su Sky e NowTV venerdì 6 novembre. Lo showrunner Matteo Rovere l'ha presentata insieme ai registi, gli sceneggiatori e ai tre attori protagonisti.

Dopo un gustoso e apprezzato antipasto di due episodi alla Festa del Cinema di Roma, Romulus è pronta a fare il suo debutto su Sky questo venerdì 6 novembre. “Volevamo raccontare la nascita della politica e delle relazioni sociali tra gli individui nella prima città dell’occidente contemporaneo. Donando allo spettatore una sensazione di realismo e di vita plausibile, seppur lontana nel tempo.” Dice Matteo Rovere, showrunner della serie. Romulus sarà il suo debutto sul piccolo schermo, anche se il progetto di piccolo ha ben poco, sia nelle ambizioni, “è necessario pensare a questi prodotti per essere spendibili su un mercato europeo. Noi abbiamo tante storie nella nostra tradizione, anche sul genere, ed è giusto fare le cose con una visione a 360 gradi.“, che nella preparazione: “Saranno quattro anni che lavoriamo alla storia!

La costruzione del mondo di Romulus

Romulus, cinematographe.it

Romulus: tutto quello che dovete sapere sulla serie TV di Matteo Rovere

La serie prodotta da Groenlandia, insieme a Sky, Cattleya e Itv Studios si gioca il suo destino in un racconto ambientato in un mondo reinventato grazie alla creatività degli autori e varie forme di studio: “Nella costruzione del mondo – spiega Guido Iuculano, sceneggiatore – “oltre che dal mito, ci siamo fatti aiutare da degli storici molto importanti e da risultati di vari studi archeologici e antropologici.“, dichiarazioni a cui hanno fatto seguito quelle dell’altro sceneggiatore, Filippo Gravino: “Nella leggenda abbiamo trovato dei nuclei tematici e tramatici essenziali da cui partire e da lì abbiamo costruito un mondo nel vero senso della parola, perché siamo partiti da nulla. Non ci sono testimonianze scritte o documenti storici dell’epoca. Inventare una Storia oltre la storia della serie stessa. Un lavoro durissimo, ma meraviglioso.”

Le idee di base sono state però sempre chiare fin dall’inizio: “Volevamo scrivere un racconto su come da una crisi possa generarsi un nuovo ordine. Ci sembrava anche molto attuale, quasi un modo per parlare di noi.” Ma quale poteva essere la ricetta giusta per riuscire ad indirizzare un lavoro così massiccio come quello che richiedeva Romulus?

Rovere lo ha individuato in un “linguaggio compatto“, filo comune con gli altri due registi della serie Michele Alhaique e Enrico Artale. “La forza del nostro lavoro è stata un’identità molto forte,” – spiega il primo – “grazie soprattutto a Matteo, che fin dai primi incontri, è stato chiaro su cosa aveva in mente e come voleva che venisse raccontato. Un elemento che ha portato Romulus ad essere realizzato quasi come un film unico, un modus operandi poco conforme al mondo della serialità italiana.“. Gli fa eco Artale: “Si è partiti da una condizione favorevole, con 3 registi affini che condividevano un gusto profondo, si conoscevano e già da tempo parlavano di collaborazioni. Avere dalla propria l’impronta di un linguaggio sedimentato nel tempo e una visione forte rende paradossalmente anche più liberi, dal momento che tutto diventa più agile e fluido. Si riesce a sperimentare senza mai perdere di vista la mano di uno showrunner a tutti gli effetti, com’è stato Matteo, con il quale il confronto era immediato.

Il rapporto con Il Primo Re

Matteo Rovere, cinematographe.it

Il Primo Re: la storia del film di Matteo Rovere tra realtà e leggenda

Un altro nodo focale è stato ovviamente il rapporto con Il Primo Re, ma non nella misura in cui ci aspetterebbe, come dichiarato da Rovere stesso, che ha tenuto a chiarire anche come la serie non ne sia né uno spinoff e né, in generale, una storia appartenente allo stesso universo narrativo: “Abbiamo fatto un lavoro inverso rispetto a Il Primo Re, nella misura in cui nel film ci siamo siamo serviti della realtà per raccontare il mito della Fondazione di Roma, mentre in Romulus ci siamo serviti degli elementi della leggenda per raccontare un’ipotetica realtà.” Ma come si costruisce una realtà credibile? Risponde Gravino: “La sfida si è giocata su un livello relativo al dettaglio, perché non abbiamo riferimenti, neanche cinematografici, della quotidianità, del modo di vivere, di esprimersi nell’epoca dell’età del ferro. Lo stesso vale per la messa in scena di riti credibili e suggestivi.

Insomma un mix delicatissimo tra ricostruzione storica e libertà creativa, che ha portato Romulus a porsi come un ibrido tra il racconto storico e il fantasy. Dimensione dovuta alla facilità con cui la percezione dei personaggi dell’epoca potesse essere reale e al contempo inficiata da spiegazioni e soluzioni relative al mondo sovrannaturale. “Questo a suo modo si riflette anche sulla percezione del contemporaneo: quello che ci circonda non è sempre comprensibile o ascrivibile a qualcosa. Pensate al momento attuale. Cosa potrebbe suggerire una visione agnostica e meno deterministica?” ha spiegato Rovere.

E dunque in quali dei suoi elementi Romulus si collega alla realtà contemporanea? I due sceneggiatori indicano il tema centrale della serie: “Questo è un racconto sul potere, sia politico che relazionale. Il primo passa per il concetto di leader, è quasi l’adolescenza di un leader, un racconto di formazione ricco di incertezze verso il futuro. Il secondo sta invece nelle relazioni sentimentali, in cui ballano i rapporti di forza. Questi elementi rendono il racconto universale e attuale ed in grado di interessare mondo maschile e femminile. L’aggancio è stata l’idea della crisi delle gerarchie e del sistema politico. Un’incertezza generale che distruggesse il rapporto delle singole persone. E nel caos i tre protagonisti in particolare si ritrovano a costruire un’ordine.

Non è esclusa una nuova stagione della serie, ma solo se il progetto e la storia convinceranno i produttori e i creatori.

Romulus mi ha insegnato a fare l’attore.

Romulus, cinematographe.it

Quello che ha richiesto Romulus è stato un lavoro complesso e sfiancante, che ha messo a dura prova tutti gli interpreti, come spiega Andrea Arcangeli (Domani è un altro giorno, The Startup): “La preparazione fisica è stata fondamentale per entrare nella brutalità del mondo della serie. Per noi attori un bel momento umano perché si è trattato di un percorso corale, in cui ci siamo ritrovati a fare circuiti militari, esercitarci con la spada ed andare a cavallo. Solo dopo veniva il lavoro sulla psicologia del personaggio, alla quale però si entrava in contatto comunque solo attraverso la sfera fisica.” Un ribaltamento, dato che di solito è la parte psicologica la sfida più ostica per un attore. Anche se, racconta Marianna Fontana (Indivisibili, Capri-Revolution), anche quella non è mancata: “Mi sono avvicinata al mio personaggio in punta di piedi, non nascondo che ho avuto sentimenti contrastanti quando ho letto la mia parte. Non è stato facile capire come restituire quella sofferenza, quel suo appartenere ad un mondo oscuro e isolato e fare mio il suo modo particolare di vedere cose. Una donna presente in un mondo all’apparenza prettamente maschile, ma in cui sono dei personaggi che nascondo una sensibilità al femminile molto importante.

Da non sottovalutare neanche la sfida della lingua, “La cosa più difficile è stato recitare in latino, cioè convincere lo spettatore che la parli da quando sei nato.” dice Francesco Di Napoli (La Paranza dei Bambini), ma lo ribadiscono tutti gli attori interpellati, (ricordiamo che la serie è fruibile sia in protolatino con i sottotitoli che con il doppiaggio italiano). Tanti elementi che hanno portato la prova dei protagonisti a diventare totalizzante, costringendoli a compiere un viaggio tanto faticoso quanto irripetibile e prezioso. La chiusura, ancora di Di Napoli, è stata lapalissiana: “Romulus, secondo me, mi hai insegnato a fare l’attore.