Lucio Patanè racconta il suo “viaggio nella mente malata” de Il barbiere complottista”

Lucio Patanè è stato uno dei protagonisti del 75esimo Festival internazionale del cinema di Cannes, che ha premiato con il Premio La Cinef 2022 – quello rivolto alle scuole di cinema di ogni angolo del mondo – il cortometraggio italiano Il barbiere complottista diretto da Valerio Ferrara che negli ultimi anni ha collaborato come assistente alla regia di Marco Bellocchio per Marx può aspettare e adesso per La Conversione, opera finanziata dalla Regione Emilia Romagna. Lucio Patanè, attore che, tra cinema, teatro e tv, ha all’attivo un curriculum di tutto rispetto, è stato chiamato da Ferrara per interpretare il protagonista de Il barbiere complottista. Cinematographe lo ha intervistato proprio in occasione della vittoria del corto; abbiamo scambiato due chiacchiere sull’opera vincitrice a Cannes, sul ruolo particolare interpretato dall’attore, sull’approccio registico del giovane e talentuoso Valerio Ferrara, entrando più nello specifico nel soggetto dell’opera: l’ideologia del complottismo.

Ne Il barbiere complottista Lucio Patanè interpreta Antonio Calabrò: un inquietante “malato” di complottismo

È stata una vittoria inaspettata?
“Quando abbiamo finito le riprese de Il Barbiere Complottista ero soddisfatto del lavoro che avevamo fatto insieme a Valerio Ferrara. Una volta saputo che il cortometraggio era stato selezionato nella Sezione della Cinef a Cannes ero già molto contento, ma non avrei mai immaginato che il nostro lavoro potesse ricevere un simile riconoscimento…”

Nel cortometraggio interpreta Antonio Calabrò, un personaggio attualissimo: un “malato” di complottismo un po’ inquietante, che ritiene che dietro molti accadimenti si nascondano trame occulte, e se ne va in giro con gli occhi sgranati seguendo la propria narrazione dei fatti. Come ha vissuto questa esperienza? 
Ho cercato di documentarmi su quale sia il meccanismo che scatta nella mente di un complottista: ho ascoltato e osservato persone reali che facevano discorsi assurdi riguardo alle cause della pandemia, ho consultato libri di psicologia sulle persone affette da “psicosi”, e poi ho ascoltato la trasmissione La Zanzara che mi ha fornito moltissimi spunti di riflessione. Ed è stato un bel viaggio nella mente malata del personaggio Antonio Calabrò.

Lucio Patanè: la cosa più importante è mettersi a servizio della storia

lucio patanè cienmatographe.it

Ma lei quali ruoli preferisce?
“Ad essere sinceri non ho una particolare predilezione per dei ruoli in particolare. A me piace spaziare dalla commedia al dramma passando per il realismo, il surreale, il tragicomico. La cosa più importante per me è mettermi al servizio della storia e dei compagni di scena: quello che mi interessa è riuscire a dare vita ad un personaggio cercando di metterci la mia esperienza e la mia immaginazione, offrendo al regista e allo spettatore la visione che ho di lui. Come diceva Franco Quadri (giornalista, saggista e fondatore della casa editrice Ubu) è un po’ come quando si cucina per qualcuno a cui si vuole bene: si va al mercato, si scelgono gli ingredienti per la ricetta, si prepara facendo attenzione ai vari passaggi da fare e poi si presenta il piatto. E se piace, siamo tutti contenti.”

Dopo Notte romana, il regista prende spunto dal “mondo capovolto” dei complottisti per tornare a parlare del difficile rapporto del singolo con la realtà contemporanea (e virtuale). La Rete e i social alimentano il complottismo, che come uno spettro arriva a infestare tutta la casa di Antonio, il quale nella scena finale sembra pronto a comporre sul momento le sue nuove teorie. Da dove nasce veramente la sua ricerca di attenzioni?
Credo che il personaggio di Antonio soffra della solitudine che gli deriva dalla sua condizione: sua moglie e suo figlio non lo vedono quasi fino a snobbarlo, il suo lavoro e la sua attività non vanno proprio a gonfie vele, e anche i suoi clienti ed i membri della sua comunità e del suo quartiere lo considerano come un soggetto strano. Ed ecco che lui non accettando quella realtà se ne costruisce una parallela tutta sua.

Poi intravede del simbolismo nell’illuminazione pubblica intermittente: un piano di sorveglianza politico… La pandemia da coronavirus, come ha accennato, ha diffuso in molti la teoria del complotto. Secondo lei che cosa porta una persona ad essere complottista?
Indipendentemente dal livello culturale, come dicevo prima credo sia la mancanza di accettazione della realtà in cui si vive. Non sono un sociologo ma credo che le cause possano essere varie: insoddisfazione esistenziale che può essere affettiva, lavorativa, ed economica, ed insoddisfazione “sociale” e disprezzo per la politica e delle fonti di informazione. Un bel cocktail esplosivo.

Lucio Patanè sul regista de Il barbiere complottista: “ha un garbo d’altri tempi”

Assolutamente, e Valerio Ferrara ha giustamente contribuito a portare l’attenzione sul tema. A proposito, com’è stato lavorare con lui?
“Con Valerio è stata una bellissima esperienza, perché nonostante sia giovane sa molto bene cosa vuole raccontare, e come farlo. Mi piace soprattutto il modo in cui riesce a coinvolgere non solo i membri del cast, ma anche quelli della troupe. Ha un garbo risoluto d’altri tempi e gli auguro di realizzare i suoi sogni e i suoi desideri, cosi come lo auguro a tutti i magnifici ragazzi del Centro Sperimentale che hanno contribuito a realizzare questo bellissimo lavoro.”

Può raccontarci un aneddoto sulle riprese?
“Non c’è un aneddoto in particolare, ma posso dire che abbiamo girato lo scorso luglio e faceva veramente caldo. E ho cercato di usare anche quello e la stanchezza che mi provocava per rendere credibile il lavoro che stavo facendo sul Barbiere…”

Sta già lavorando a nuovi progetti?
Al momento, come capita spesso a chi fa il mio mestiere, sono in attesa di risposte ai provini che ho fatto nell’ultimo periodo, e vediamo che succede…