Ian McKellen a Roma tra omosessualità e recitazione

Il nostro incontro con Ian McKellen svela maggiori dettagli sull'attore, noto a grandi e piccini per il ruolo di Gandalf, ma non solo!

Ancora grandi attori nella Capitale. Ian Mckellen presenta insieme al regista Joe Stephenson il documentario sulla vita, l’infanzia, la famiglia e la recitazione dell’attore, presentato alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma McKellen: Playing The Part.

Come è nato l’incontro e di conseguenza l’intenzione di realizzare il documentario McKellen: Playing The Part?

Ian Mckellen: “Con Joe ci siamo incontrati tramite un comune amico, avevo visto il suo primo film che consiglio veramente a tutti, è straordinario vedere tanto talento in un regista al suo debutto, e quando mi ha chiesto aiuto per realizzare un documentario su di me non ho potuto che accettare perché lo trovavo interessante, anche se non mi piace molto parlare di me. Sono stato due giorni a casa mia davanti alla telecamera mentre raccontavo della mia vita, è stato terribile! Non credo di essere una persona così interessante, penso sia una considerazione che molti hanno di sé stessi.”

Joe Stephenson: ”Sapevo che Ian non aveva intenzione di raccontare la propria storia in una biografia, ma la sua vita poteva essere una fonte di grande ispirazione per molti, per questo era necessario per me raccontarla.”

Come è stato per un gigante del teatro come lei passare dalla scena del teatro all’intrattenimento da grande schermo?

“Ho iniziato a recitare all’età di tredici anni, ero venuto anche a Roma per fare due provini, uno era per il film Barbarella, l’altro per la parte di un bandito siciliano per cui mi avevano acconciato bene, ma il regista ha ben pensato che ero troppo inglese per interpretare un malvivente del sud Italia. Solo dopo aver lavorato in un piccolo teatro accanto a Judi Dench ho capito che per recitare non c’era bisogno di trovarsi in un posto dalla platea immensa, ma esisteva la possibilità di comunicare con un pubblico che si trovava molto vicino, un’esperienza che secondo me si ricollega perfettamente alla connessione tra grande schermo e pubblico. Perciò mi sono preso questa responsabilità arrivato a sessant’anni. Non c’è necessariamente un differente modo in cui recito a teatro o al cinema, mi impegno ancora tanto nel mio lavoro e fortunatamente ho ancora le forze fisiche per andare avanti. In passato credevo che recitare significasse portare parrucche, zoppicare, portare un vistoso trucco, ma con il tempo ho capito che recitare significa rivelare e l’unica cosa che posso affermare è che tutti possono essere in grado di essere qualsiasi cosa. Assassini, innamorati, saggi, gentili, rudi. Io sono in grado di portare queste cose nei personaggi e questo vale più di ogni altra cosa. Essere attore non c’entra con la fama o con l’essere famoso. Nella mia carriera è avvenuto tutto nel giusto momento, nella giusta fase. Probabilmente se mi avessero preso per fare il bandito siciliano non sarei qui adesso.”

A Ian McKellen è stato inoltre chiesto che impatto ha avuto la sua dichiarazione di omosessualità sulla carriera

“Dichiararsi omosessuale è, e può confessarlo chiunque lo abbia fatto, la cosa migliore per smettere di mentire e diventare in questo modo una persona più fiduciosa e sicura. Rivelare la mia sessualità sembra poi aver avuto anche un migliore impatto sulla mia carriera, perché non dovendo più mentire anche nella vita. È ancora difficile aprirsi al mondo, magari se sei un politico pensi che nessuno ti voterà, se sei un insegnante nessuno avrà rispetto, non si vuole far male a nessuno, in special modo ai propri genitori. La mia carriera però ha avuto veramente un’impennata dopo essermi finalmente dichiarato. Il mio messaggio perciò è non esitate, è anche ciò che dico nei miei incoraggiamenti nelle scuole del Regno Unito. Imparare ad essere gentili gli uni con gli altri”

Ian Mckellen: “Un film che parla di me? Deve essere molto noioso!”

Nella parte finale del documentario McKellen: Playing The Part dici di non aver voluto figli per impiegare tutte le tue energie nella recitazione. Nella frase si notava una sorta di amarezza, sei convinto di questo?

“Fino a che non ho avuto ventinove anni per me era illegale avere rapporti sessuali. Adottare figli? Per me avere rapporti sessuali significava essere un criminale perché era contro la legge. Avrei comunque voluto avere figli? No, sono troppo egoista. E poi ho sempre pensato che la migliore cosa dell’essere gay era quella di non poter fare figli! Certo con il tempo i rapporti si fanno più fiduciosi, più belli, ma oramai sono troppo vecchio. Però sto sempre a contatto con i giovani. Tra l’altro proprio ieri sera ero in una trattoria e una bambina di cinque anni mi si avvicina perché voleva salutare Galdalf.

Dopo una carriera davvero piena, in cui tra teatro e cinema hai interpretato tantissimi ruoli, c’è ancora qualcosa che ti spaventa di fare in questo mestiere?

“Mi fanno paura molte cose nella vita. Le armi, la stupidità, ma l’unica cosa che sono certo non mi faccia paura è fare il mio lavoro. È come volare, buttarsi ogni volta in un mondo in cui non c’è stupidità e non c’è niente di meglio che recitare per me, ancora di più facendolo con gli amici e intrattenendo il pubblico.”

Joe, come mai la volontà nel documentario di ricreare con dei bambini l’infanzia di Ian?

“Abbiamo visto molti album per molto tempo e abbiamo cercato i bambini adatti perché per noi l’infanzia di Ian era molto importante, ama molto la sua famiglia e le sue origini. In più il documentario era destinato da sempre al grande schermo, non alla tv, quindi era importante curare anche la parte visuale.