Guido Coscino su Primo – Sempre Grezzo: “L’arte ha sempre un punto di contatto”

Intervista al regista di Primo - Sempre Grezzo, documentario dedicato al rapper Primo e presentato alla XXI edizione del Rome Independent Film Festival e

Dal rap al cinema, dalla strada alla pellicola, la documentazione della storia ritratta per mezzo dell’archivio e delle parole dei partecipanti; per l’uscita del suo nuovo documentario Primo – Sempre Grezzo, presentato alla XXI edizione del Rome Independent Film Festival e dedicato alla memoria del rapper romano David Belardi, in arte Primo, il regista Guido Coscino (romano, classe ’85) ci ha concesso una ricca intervista attraverso la quale, oltre a presentarsi come grande appassionato di cinema e documentarista profondamente attratto dall’etnografia, ci ha raccontato tutto quello che è stato il lunghissimo iter produttivo di un’opera sorta nel momento della tragica scomparsa del giovane artista, morto a soli 39 anni. Dalla ricca e commossa partecipazione di moltissimi rappresentati della scena musicale italiana, come Jovanotti, Roy Paci e Tormento, alla fondamentale guida di Mauro, padre del cantante, passando per le scelte stilistiche e le trovate autoriali che hanno aiutato a rendere la pellicola, il perfetto e doveroso omaggio ad “una figura che ha tracciato un solco davvero profondo“.

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Guido Coscino cinematographe.it

Com’è nato il progetto? Qual è stato il tuo ruolo e quale invece quello di Mauro Belardi, padre di David?
A cavallo tra il 2015 e il 1016 ero in Messico, stavo facendo dei sopralluoghi per un film che poi non ho mai realizzato e mi è arrivata la notizia tra capo e collo; io sono sempre stato un grande fan dei Cor Veleno e c’è anche un rapporto di amicizia personale che ci lega: mia sorella è, infatti, molto amica di Giorgio e David, sono persone a me molto vicine. Dopo aver appreso questa drammatica notizia mentre mi trovavo dall’altra parte del mondo, Giorgio (Grandi Numeri) mi ha chiesto se fossi interessato a realizzare un documentario biografico sulla figura di Primo; io mi sono preso una decina di giorni prima di rispondergli, in quel momento mi sono sentito investito di un grande onore però, allo stesso tempo, anche di un onere gigantesco, perché si parla pur sempre di una figura che ha tracciato un solco davvero profondo nella musica italiana. Avevo 30 anni all’epoca e oggi, che ho finito il film, ne ho quasi 39 e questo te la dice lunga sull’iter dell’opera; il mio ruolo quindi è stato innanzitutto quello di fruitore, nei confronti della musica di Primo, mentre Mauro si è subito proposto come referente principale dell’operazione: dal momento che si stava parlando del suo ragazzo scomparso, tutto doveva essere filtrato attraverso il suo sguardo e il suo volere e lui è stato per me un ottima guida, tanto quanto lo sono stati i Cor Veleno con la loro musica. In tutti questi anni io e Mauro abbiamo sviluppato un bellissimo rapporto.

Dove nasce la tua passione per la musica rap? E dove, invece, quella per la regia? Quando hai capito di voler intraprendere questa carriera?
“L’approccio con il rap l’ho avuto verso la fine dei ’90: io avevo circa 14 anni e grazie alle mie frequentazioni presso Goody Music, che è un famoso negozio di dischi a Piazzale Flaminio (da dove vengo io), ho incrociato i Cor Veleno, acquistando il loro album d’esordio Sotto Assedio; lì mi sono completamente innamorato di questa musica, pur poi non facendo mai parte della scena hip hop romana; sono sempre stato un ascoltatore e quella possiamo anche definirla una svolta per la mia emancipazione musicale.
Il mio amore per il cinema, invece, c’è sempre stato ma non avevo mai preso in considerazione di fare il regista se non quando, finita la scuola dell’obbligo, sono stato messo di fronte a una scelta e ho deciso di intraprendere gli studi al DAMS, in regia cinematografica. Il triennio è stata un’infarinatura e arrivavo da un retaggio da vero appassionato, oggi mi definirebbero nerd, ma la consapevolezza che quello sarebbe stato il mio mestiere è arrivata attorno ai 20, 21 anni, quando mi sono appassionato al documentario, soprattutto quello etnografico, e ho scoperto Werner Herzog. Ho poi approfondito i miei studi in antropologia visuale studiando in Danimarca, all’università di Copenaghen, e tornando con una coscienza abbastanza salda. Ho girato diversi documentari in Africa e sognavo di diventare un africanista, ma la carriera accademica mal si sposava con la carriera cinematografica e quindi ho deciso di abbandonare la strada universitaria e di fare cinema. Il documentario, quando ho iniziato io nel 2007, era un campo totalmente sconosciuto, senza mercato, adesso invece c’è una grande risposta da parte del pubblico e una grande ricerca da parte del mercato”
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Quali sono, secondo te, i più evidenti punti di contatto tra il rap, e più in generale l’hip hop, e il cinema?
“Secondo me l’arte in generale ha un punto di contatto, non ci sono delle aree chiuse, si tangono sempre tra loro le arti. Per l’hip hop, per esempio, penso a un film di Jarmush, Ghost Dog, che ha una colonna sonora rap importantissima. Poi, in questo caso, il punto di contatto tra quello che ho sempre approfondito io, ovvero la ricerca etnografica, e il mondo della scena rap anni ’90, si è intersecato nel momento in cui per raccontare la figura di Primo Brown, ho dovuto anche descrivere il teatro delle gesta in cui la sua arte si è sviluppata”.

In una recente intervista, Fabri Fibra ha dichiarato che il problema della musica rap in Italia oggi è la mancanza di narrazione; cosa pensi tu a riguardo?
“Se intendi mancanza di narrazione storica da parte del movimento, lui è sicuramente molto più autorevole di me nell’affermarlo, se invece parliamo di narrazione a livello di contenuti dei testi, secondo me Primo è un esempio lampante di come attraverso il rap si possa essere anche un grandissimo storyteller, mentre la musica hip hop di oggi è troppo arenata in questa dimensione di esibizionismo, di lusso sfrenato. Prima l’hip hop era una cosa molto più legata alla strada, invece adesso è legata ai social, ai club, al denaro; c’è poco contenuto, mi dispiace dirlo, però poi appunto c’è gente tipo Fabri, Kaos, Danno, e anche Salmo”.

Com’è stato lavorare a contatto con così tanti rappresentati della scena musicale italiana? Si sono tutti resi disponibili?
“La seconda parte della domanda ha una risposta secca: nessuno si è tirato indietro; insieme ai Cor Veleno e a Mauro abbiamo fatto una lista delle persone che potevano meglio raccontare la vita di David. Con alcuni di loro ho passato molti pomeriggi perché, nell’arco di 7 anni, ho realizzato dei dialoghi che possiamo chiamare più dei flussi di coscienza, piuttosto che interviste, che sono stati le mie principali fonti per costruire tutte le sfaccettature di una personalità molto complessa: Primo non era soltanto un rapper, era un ragazzo pieno di contraddizioni e il suo dualismo ho cercato di metterlo in luce. Confrontarmi con alcuni mostri sacri come Tormento e Jovanotti è stato molto toccante perché loro hanno vissuto David in maniera viscerale nell’arco di 20, 25 anni di carriera; non ti nascondo che ci sono stati momenti di silenzi e commozioni molto forti ed è anche il motivo per cui ho deciso di non ritrarre in camera gli intervistati: sarebbe stato un filtro troppo forte, volevo qualcosa di più genuino, di pancia. Volevo focalizzarmi solo su Primo e mostrare gli intervistati attraverso l’archivio”.

La scelta di interpellare Elio Germano come è arrivata? Quanto è stata determinante la sua presenza?
“Elio è stato determinante perché ha dato una caratura autoriale al film: stiamo parlando di una Palma d’oro a Cannes e di una persona molto partecipe e empatica con il progetto, non solo perché amico di Giorgio e David (Elio stesso fa parte del mondo del rap e ha un gruppo che si chiama Bestie Rare). Lui è quindi parte di tutto questo ed è venuto naturale coinvolgerlo. Elio ha dato quel quid in più e ha portato il progetto da qualcosa di sperimentale a qualcosa di molto solido; inoltre ha avuto mille idee, tra cui quella di trasformare la voce narrante in prima persona: io mai mi sarei potuto permettere di immedesimarmi in Primo però, quando questa idea è venuta a Elio, dato che Elio sta al cinema come Primo sta al rap, ho colto al volo l’idea per svilupparla con lui”.

Il film è stato presentato al RIFF 2023, ora quale cammino lo attende?
“Avrà una vita squisitamente festivaliera perché è un progetto a fini culturali, e quindi verrà ospitato in tutte le sedi di festival cinematografici che selezioneranno l’opera”.

Guido Coscino oltre Primo – Sempre Grezzo

Primo - Sempre Grezzo cinematographe.it

A chiusura dell’intervista abbiamo chiesto al regista di dirci qualcosa sul suo futuro e su quelle che sono le sue aspirazioni in ambito cinematografico.

Per quanto riguarda il tuo percorso, quali progetti hai per il futuro?
“In questi 8 anni di lavoro ho scritto altri film e mi interesserebbe tornare in molto posti in cui sono stato per fare sopralluoghi: essendo un documentarista mi sono sempre interessato a varie realtà, anche molto lontane dal nostro quotidiano. Il prossimo progetto che mi interesserebbe sviluppare è un documentario sul teatro delle ombre cambogiano, vorrei tornare in Cambogia, dove sono stato nel 2013 e dove ho scoperto un mondo dietro l’arte del teatro delle ombre e mi sono davvero appassionato”.

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