Andrea Bernardini su Cinquantadue: “Ci siamo ispirati a una storia vera”

Il cortometraggio, diretto dal regista assieme a Sebastiano Casella, viene presentato al RIFF 2023

I cortometraggi, la violenza di genere, la lunga gestazione di un’opera; in occasione dell’uscita di Cinquantadue, cortometraggio da lui diretto, a quattro mani con Sebastiano Casella, Andrea Bernardini ha gentilmente risposto ad alcune nostre domande, soffermandosi in prima battuta sulla nascita, la produzione e le aspirazioni di un’opera dalla breve durata ma dalla portata ingombrante, e parlandoci poi di quello che è stato il suo percorso formativo, in giro per l’Europa, e di quello che è il suo pensiero riguardo alla visibilità che oggi hanno i cortometraggi. Cinquantadue, presentato il 18 novembre all’interno della National Short Competition del Rome Independent Film Festival, in soli 16 minuti si fa veicolo di un messaggio scomodo quanto necessario e racconta di Adele (Manuela Zero), giovane donna della periferia romana, chiusa nella gabbia di una relazione intossicata dalla presenza del compagno violento.

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Andrea Bernardini cinematographe.it

Tra pochi giorni al RIFF 2023 verrà presentato il tuo corto, Cinquantadue, di cosa tratta? Ce ne parli un po’?
“Il corto, che ha come tema generale quello della violenza di genere, l’ho scritto a quattro mani, e diretto, assieme a Sebastiano Casella; la genesi dell’opera parte nel 2020, anno in cui ho conosciuto Sebastiano, che mi ha raccontato questa storia (il film è infatti ispirato a una storia vera) riguardo ad un pregiudicato milanese che aveva aperto un canale YouTube e al quale lui, così come poi io, si era profondamente appassionato; il canale, tra l’altro, è tutt’ora attivo e ci siamo trovati, in fase di scrittura, con la fiction e la storia vera che correvano su due binari paralleli. Noi inizialmente ci siamo trovati a Napoli per discuterne, abbiamo passato un periodo a Milano e siamo stati anche al carcere di opera, confrontandoci con chi quella realtà la conosce”.

Come ti sei trovato a lavorare a quattro mani con Sebastiano Casella? Quali sono gli aspetti più positivi e quali, invece, le difficoltà?
“I fattori positivi sono tantissimi: spesso la scrittura è un esercizio solitario e il fatto di condividerlo con un’altra persona è molto interessante, anche per avere un confronto immediato su alcune idee e su quello che si sta scrivendo. Ci sentivamo spesso in videochiamata e poi avevamo creato un drive condiviso su cui caricare tutte le nostre idee. Sebastiano inoltre è più grande di me ed è stato interessante anche questo confronto tra generazioni. I fattori negativi, invece, stanno nella gestazione che, essendo in due, diventa molto più lunga; lo scontro di idee è sempre positivo ma porta via del tempo”.

E per quanto riguarda il lavoro con gli attori, come vi siete trovati?
“Ci ha dato una grandissima mano Tommaso Agnese, il produttore creativo dell’opera che ha molte conoscenze in questo campo e ci aveva proposto una lista di attori papabili; abbiamo fatto un piccolo casting e siamo giunti al nome di Maurizio Tesei, mentre tramite amici abbiamo conosciuto Manuela Zero ed è stato interessante perché non si era mai cimentata con un ruolo così tanto drammatico”.

C’è un regista in particolare, o un film, al quale ti sei ispirato o che ti ha trasmesso qualcosa di significativo riguardo alla tematica in questione?
“Sicuramente Primo Amore di Garrone ci ha ispirato molto. Noi abbiamo trattato il tema in maniera diretta, il nostro vuole essere un corto provocatorio, che metta lo spettatore al centro e gli dia un ruolo attivo nell’interpretazione dell’opera; Primo Amore ha un finale più chiuso ma ci ha comunque ispirato abbastanza, soprattutto per la musica, che sia in quello che in un altro film di Garrone, L’imbalsamatore, aveva impattato molto su di noi, ed ecco perché ci siamo affidati alla Banda Osiris per la colonna sonora”.

Andrea Bernardini, i cortometraggi, la formazione e il futuro

Cinquantadue cinematographe.it

Nell’ultima parte dell’intervista Andrea ha prima ragionato con noi riguardo a quella che è oggi la realtà dei cortometraggi, riguardo alla loro visibilità e alla loro fruizione, e ha poi tracciato il suo percorso, partendo da una formazione costruita in giro per l’Europa e arrivando ai progetti per il futuro.

Cosa pensi riguardo alla visibilità che oggi hanno i cortometraggi e riguardo alla loro fruizione da parte del pubblico?
“Sarebbe bello se i cortometraggi avessero più visibilità. Molto positivo, a mio avviso, è il lavoro che sta facendo Premiere Film, nostra casa di distribuzione, che ha raggiunto un accordo con Rai Cinema durante la Festa del Cinema di Roma, per cui la Rai dovrebbe ora impegnarsi a trasmettere corti sulle proprie reti”.

Nella tua vita hai girato parecchio (Italia, Regno Unito, Madrid); quanto credi che questo influisca sul tuo lavoro?
“Ho lasciato l’Italia quando avevo 18 anni, sono andato in Inghilterra per studiare filosofia e qui ho avuto modo di fare alcuni moduli sulla filosofia del cinema ed è stato per me bellissimo; non so come sia qua in Italia ma lì mi ha appassionato molto: ci hanno fatto vedere film come Il settimo sigillo, per poi farceli analizzare. Un mio compagno di corso era già abbastanza attivo nel cinema e mi ha dato l’opportunità di aiutarlo su alcuni set (è stato il primo a farmi credere in questo sogno). Successivamente mi sono spostato in Spagna, dove ho avuto modo di realizzare alcuni progetti e di seguire un corso di regia e scrittura cinematografica. Dopo la pandemia sono tornato in Italia e attualmente vivo a Napoli dove sto provando a fare dei laboratori di cinema e di fotografia con i ragazzi adolescenti della periferia partenopea. Aver vissuto 12 anni all’estero e aver fatto molti lavori diversi mi ha sicuramente influenzato”.

Hai già dei progetti per il futuro?
“Vorrei restare in Italia e seguire i progetti a Napoli. Riguardo al lavoro come regista il sogno sarebbe quello di convertire questo corto in lungometraggio, se la stagione festivaliera dovesse andar bene; soggetto e sceneggiatura sono praticamente già pronti”.

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