Daria D’Antonio ad Incanto Film Festival: “Portare il cinema in luoghi come questo è un gesto culturale importante”
L'intervista alla direttrice della fotografia che ha fatto parte della giuria della terza edizione dell'Incanto Film Festival di Pesaro
L’amore per il cinema che passa per ogni suo formato, la cura verso i giovani autori e le maestranze che meritano e abbisognano visibilità, il confronto vivo tra professionisti e appassionati, la condivisione di idee e sguardi: l’Incanto Film Festival nasce e cresce in questo respiro collettivo, fatto di luce, ascolto e dedizione. Tra i protagonisti di questa edizione, Daria D’Antonio – direttrice della fotografia tra le più raffinate e riconosciute del panorama italiano – porta la sua sensibilità di sguardo e la sua esperienza internazionale, dalla recente collaborazione con Paolo Sorrentino ne La grazia, presentata all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, fino ai set più intimi e ai cortometraggi che tanto ama sostenere. Da sempre attenta ai linguaggi giovani e alle nuove voci del cinema, la DOP affronta ogni progetto con la stessa disponibilità e curiosità e con un’energia che le permette di essere parte del processo creativo a 360 gradi, dal basso sino alle produzioni più altisonanti. In occasione della terza edizione del festival marchigiano, Daria D’Antonio si è concessa ai nostri microfoni per approfondire queste tematiche e raccontare il suo modo di vivere la settima arte, immortalando – con la cura e la precisione che solo uno sguardo allenato alla luce può avere – una passione viscerale che parte dal desiderio di conoscere, di mettersi in gioco, di aprirsi al nuovo e al confronto autentico. Un dialogo sincero, che restituisce l’immagine di un’artista curiosa e generosa, capace di attraversare il cinema con la stessa intensità con cui lo illumina.
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Daria D’Antonio tra piccoli e grandi festival

Come è arrivata la proposta di fare da giurata per Incanto Film Festival e come ti sei trovata in questa veste? La senti calzare? Avevi già esperienza in tal senso?
“Mi piace molto fare parte delle giurie, fortunatamente mi coinvolgono spesso in progetti di questo tipo, soprattutto legati ai cortometraggi, che considero una grande risorsa. Ti permettono di conoscere nuovi autori e nuovi sguardi, quindi sono sempre esperienze interessanti.
Essere giurata in sé non è qualcosa che mi entusiasmi per l’idea di “giudicare”, ma sono molto curiosa e trovo sempre tanti spunti. Quest’anno, poi, la giuria dell’Incanto era composta da amici e colleghi che stimo molto: è stato bello e divertente confrontarci sui film che abbiamo visto“.
Cosa pensi della selezione del festival? Hai trovato qualcosa di particolarmente interessante?
“Sì, ho davvero trovato un’ottima selezione. Mi è dispiaciuto non poter essere presente alla serata di premiazione, ma ero impegnata con un progetto. Tra i premi mi ha reso particolarmente felice quello alla fotografia, assegnato a Francesca Vanzini per ‘Marina’: è una giovane direttrice della fotografia di grande talento e credo abbia fatto un lavoro straordinario. In generale è un cortometraggio che mi ha e ci ha colpiti molto ed abbiamo, infatti, deciso di dare una menzione speciale al regista Paoli De Luca, un altro autore che considero alquanto promettente“.

Prima accennavi al fatto che il “giudicare” non è la parte che ami di più. Credi che la competizione contribuisca in qualche modo alla valorizzazione dell’arte, oppure pensi che non sia necessaria?
“Penso che l’aspetto più importante sia la visibilità delle opere, soprattutto di quelle meno chiacchierate, come i cortometraggi. Mi piacerebbe, per esempio, che venissero proiettati nelle sale prima dei film principali, al posto delle pubblicità.
La competizione in sé non mi interessa molto: credo che l’arte non abbia bisogno di gare, ma di confronto, dialogo e scambio. I festival dovrebbero essere luoghi di incontro tra autori e addetti ai lavori, non solo vetrine competitive.
Ovviamente un premio può dare autostima e riconoscimento, ma non è quello il motore della creazione artistica. Anzi, a volte la logica della competizione rischia di inquinare la libertà del processo creativo. Trovo sempre difficile esprimere giudizi negativi, perché dietro ogni opera ci sono impegno e fatica. Però il confronto tra giurati è molto utile: spesso scopri aspetti che non avevi notato, punti di vista nuovi. Quindi, più che la competizione, mi interessa proprio lo scambio di idee che nasce da queste discussioni.“
Da Venezia – con La Grazia di Sorrentino – a Pesaro, hai partecipato a diversi festival, grandi e piccoli. Quali sono, secondo te, le differenze principali, e in cosa sono preferibili realtà come l’Incanto rispetto a manifestazioni più altisonanti?
“I grandi festival portano con sé tutta la macchina dell’industria: ospiti, red carpet, attenzione mediatica… ma spesso si perde un po’ lo spazio per il confronto critico.
Festival come l’Incanto, invece, sono importanti proprio perché danno visibilità a opere più piccole e a giovani autori che altrimenti non arriverebbero al pubblico.
Inoltre sono organizzati da persone appassionate e sincere: penso a Walter, Alessandro, Matteo e Rebecca, che hanno lavorato con grande cura. Portare il cinema in luoghi meno centrali è anche un gesto culturale importante.”

Cosa ti ha colpito di più dell’organizzazione e dell’atmosfera dell’Incanto Film Festival?
“Prima di tutto la cura nella selezione delle opere, anche nella sezione parallela che ha accolto lavori non inclusi nella competizione ufficiale. Poi la gentilezza e la passione del team: sono persone che fanno questo lavoro con grande dedizione. Ho apprezzato molto anche il fatto che abbiano deciso di incontrarci di persona per discutere i film. Ormai ci si riuniscono sempre e quasi esclusivamente online, ma il confronto dal vivo ha tutto un altro valore. È stato un bel pomeriggio insieme, un grande momento umano oltre che professionale.“
Daria D’Antonio: il cinema, l’incanto e la grazia
Da direttrice della fotografia, trovi differenze tra il lavorare su un cortometraggio, su un lungo o su un qualsiasi altro tipo di formato?
“Per me non c’è una grande differenza, se non nella durata del racconto. L’approccio creativo è lo stesso: devi capire il testo, interpretarlo visivamente e trovare il modo migliore per restituirlo.
Certo, a volte nei corti ci sono meno mezzi, ma questo può essere anche uno stimolo creativo: ti obbliga a trovare soluzioni nuove, a essere più inventiva.“
Quando scegli un progetto, cosa ti convince ad accettarlo?
“La storia, prima di tutto, deve stuzzicare il mio interesse, essere in qualche modo sfidante. Sono sempre alla ricerca di stimoli nuovi, sono curiosa e spesso attirata anche da generi o un tipi di racconto lontani da me o da ciò che ho realizzato precedentemente, perché mi permette di imparare cose nuove”.
Tra quelli a cui hai lavorato e quelli che hai fruito da spettatrice, ci sono dei cortometraggi a cui sei particolarmente legata?
“Ce ne sono moltissimi. L’anno scorso ho lavorato con una giovane direttrice della fotografia a un corto diretto da Stefano Grasso, ora in concorso al Festival di Roma: lui è un autore molto bravo e sensibile, gli auguro un grande futuro.
Tra i giovani che ho scoperto come spettatrice, mi hanno colpito molto lo stesso Paoli De Luca, Francesco Taverna e Nadir Taji – che ha vinto il premio alla regia a Incanto – giusto per citarne alcuni. Tutti talentuosi, sinceri e con una voce personale: mi auguro che possano continuare a lavorare liberamente.“

La emozioni del presente e i progetti futuri
Parliamo un po’ di te: a cosa stai lavorando in questo periodo?
“Sto girando un film di cui posso dire poco, perché è ancora sotto accordi di riservatezza. Posso solo anticipare che è una produzione originale Netflix, un film molto dolce e delicato. Ho iniziato da pochi giorni, ed è un progetto che mi piace molto.
Per il prossimo anno ci sono diverse cose in cantiere anche se, come ben sai, non è un momento semplice per l’industria: ci sono molti progetti in attesa di finanziamento. Ma sono felice, perché sto leggendo tante belle sceneggiature e poter scegliere è già un privilegio.“
E rispetto ai festival, hai altro in programma, come giurata, ospite o partecipante attiva?
“Sì, parteciperò al Med Film Festival, dedicato alle opere dei registi del Mediterraneo: film provenienti da Palestina, Qatar, e molti altri paesi. Mi interessa molto, perché mi permette di scoprire lavori che altrimenti difficilmente troverei. Mi avevano anche invitato al festival del Cairo, ma purtroppo non riuscirò a partecipare per motivi di lavoro.
Come addetta ai lavori, per ora non ho film in concorso: ‘La Grazia’ credo abbia ormai chiuso il suo percorso festivaliero dopo Venezia, Toronto, Londra e New York. È stato un bellissimo viaggio.”
Ecco, a proposito de La Grazia: come hai vissuto la presentazione in anteprima a Venezia?
“È stato molto emozionante. La proiezione in sala è stata intensa, un momento indimenticabile: il pubblico ha reagito con grande partecipazione, ha riso, si è commosso. C’è stato un lungo applauso e si sentiva quanto il film fosse arrivato al cuore delle persone.
Per me quello della proiezione è sempre un momento speciale, anche un po’ intimo: è come svelarsi, mostrare qualcosa di tuo e di inedito agli altri. È un’esperienza collettiva bellissima, che restituisce senso a tutto il lavoro di squadra che si cela dietro ad un film e che ne permette la realizzazione ed il successo“.
Rivedendo un film a cui hai lavorato, ti capita più spesso di pensare “è esattamente come lo volevo”, oppure di essere sorpresa dal risultato?
“A volte mi sorprendo davvero, mi chiedo se sia effettivamente un mio lavoro. Perché col tempo, purtroppo, succede anche di dimenticare tante cose del set.
Quello che mi interessa di più, però, è che chi guarda il film senta il mio lavoro come parte del racconto, non come qualcosa di separato. Il mio obiettivo è servire la storia e il regista, restituendo la loro visione.
Certo, capita anche di pensare che oggi farei diversamente una scena o una luce, ma fa parte del processo. A un certo punto l’opera non è più tua: diventa del pubblico.“
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