Claudio Castrogiovanni si racconta oltre Vanina e quella parte “più intima, profonda e vulnerabile” di sé

L’intervista all’attore catanese Claudio Castrogiovanni, recentemente impegnato nel ruolo dell’ispettore capo della polizia Spanò nella serie Mediaset, Vanina - Un vicequestore a Catania.

Dopo la partecipazione a numerosi musical di successo e l’esordio sul grande schermo con Malèna di Giuseppe Tornatore, ha vestito i panni del boss mafioso Luciano Liggio ne Il capo dei capi, quelli di “U Signuri” ne Il cacciatore, dell’ispettore Dino Marinelli ne Il silenzio dell’acqua e del maresciallo Silvio Novembre nel docu-drama Giorgio Ambrosoli – il prezzo del coraggio e da poco ha svestito quelli dell’ispettore capo della polizia Spanò nella serie Mediaset, Vanina – Un vicequestore a Catania. Questi sono solo alcuni dei personaggi interpretati in trent’anni di carriera da Claudio Castrogiovanni, versatile e intenso attore catanese, che grazie a queste doti ha saputo dividersi e muoversi con grande disinvoltura tra cinema, tv e teatro, lasciandosi alle spalle gli studi di legge e l’esercizio dell’avvocatura. Lo abbiamo intervistato in occasione della messa in onda su Canale 5 della serie tratta dai romanzi omonimi di Cristina Cassar Scalia, approfittando anche per rivolgergli delle domande sul suo percorso artistico e sul modo in cui vive e si approccia al mestiere e alla recitazione.    

La nostra intervista a Claudio Castrogiovanni, tra i protagonisti della serie Vanina – Un vicequestore a Catania nel ruolo dell’ispettore capo Spanò

Intervista a Claudio Castrogiovanni cinematographe.it

©Roberta Krasnig

Quali sono i motivi che l’hanno spinta e convinta ad accettare il ruolo di Spanò?
Ci sono diversi elementi che mi hanno fatto venire la voglia di prendere parte a questo progetto. Innanzitutto la regia di Davide Marengo, con il quale avevo già lavorato ne Il cacciatore e con il quale oltre ad essere colleghi siamo anche grandi amici. La sua presenza dietro la macchina da presa, il suo gusto estetico e il suo occhio critico, erano per me una certezza e un marchio di qualità. Poi ci sono i libri di Cristina Cassar Scalia dai quali la serie è tratta e che ho adorato leggere in tutto il percorso di avvicinamento al personaggio che sono stato chiamato a interpretare. Ovviamente tutti gli altri componenti del cast, a cominciare da Giusy Buscemi, con i quali è stato un grandissimo piacere condividere il set. E ancora c’era la garanzia che ti dà il lavorare con una casa di produzione come la Palomar che ha sempre la voglia di portare sugli schermi con intelligenza ed eleganza questi racconti sospesi tra l’ironia e i sentimenti autentici e meravigliosi dello stare bene. E last but not least mi divertiva l’idea di vestire i panni di un personaggio che, come tutta la serie, è attraversato da una vena di sottile ironia che è tipica dell’atteggiamento un po’ sarcastico del siciliano, in particolare del catanese. È stato bello avere l’opportunità di potere raccontare questo lato a metà tra l’arguto e il disincantato che caratterizza la figura di Spanò”.

Girare Vanina e prendere parte alla serie l’ha riportata a lavorare in Sicilia e nella sua città d’origine, ossia Catania. Cosa ha significato per lei?
È stato come la Madeleine de Proust nel riassaggiare i cibi che si possono trovare e mangiare lì, ma anche la possibilità di tornare nei luoghi che frequentavo anni fa. Banalmente aver girato alla Villa Bellini ha risvegliato in me tantissimi ricordi che si erano persi nella memoria, quando ad esempio a tre anni con indosso un cappottino passeggiavo nei giardini e nei chiostri insieme ai miei genitori. Quindi aiuta moltissimo tornare a rivivere e a camminare in quei posti, ma è al tempo stesso anche una grandissima responsabilità per chi come me si porta dietro un marchio DOP di autenticità e di origine. Questa cosa inevitabilmente la senti”.     

Claudio Castrogiovanni: “Vanina è un’opera corale che risuona grazie agli assoli ma anche agli archi, ai violini e a tutti gli altri strumenti che vanno a creare una vera e propria orchestrazione”    

Intervista a Claudio Castrogiovanni cinematographe.it

Claudio Castrogiovanni e Giusy Buscemi in “Vanina – Un vicequestore a Catania”

Prendere parte a progetti come Vanina espone a cliché e a una visione stereotipata. Come siete riusciti a scongiurare il pericolo?

I cliché sono sempre dietro l’angolo, perché esistono soprattutto nell’immaginario di chi siciliano non è. Chi invece come me conosce quella realtà perché le appartiene sa benissimo che ciò che scorre sullo schermo e viene mostrato è vero o quantomeno verosimile, ma spostandosi anche solo di cento km fuori dalla nostra terra ecco allora che esiste un’immagine stereotipata di quello che si presume o si pensa essere la Sicilia e il siciliano. C’è da dire che quasi tutti i membri del cast sono siciliani, motivo per cui quasi tutti sanno esattamente cosa significa essere siciliani e quali sono i cliché che bisogna evitare per non dare attraverso la serie una visione superficiale e stereotipata. È ovvio che se costruisci un progetto nel quale ci sono attori che fanno il ruolo ma senza avere trascorso almeno una settimana in Sicilia tanto per fare un esempio, ebbene questa mancanza di familiarità e di conoscenza traspare in maniera evidente. Per quanto mi riguarda, io so esattamente, perché l’ho vissute sul mio corpo e attraverso i miei occhi e prima ancora attraverso quelli dei miei nonni e dei miei genitori, come si muovono certe dinamiche. Più in generale tutti abbiamo lavorato cercando di essere fedeli ai personaggi, alle storie e trovando ciascuno di noi un colore tra quelli presenti sulla tavolozza per rappresentarli e caratterizzarli. Questo perché Vanina è un’opera corale che risuona grazie agli assoli ma anche agli archi, ai violini e a tutti gli altri strumenti che vanno a creare una vera e propria orchestrazione. E questa è un po’ l’alchimia perfetta che si è creata, cioè il fatto che si sia generata una relazione virtuosa tra di noi che ha permesso al risultato finale di essere così vero e attaccato alla realtà”.

Che significato e cosa rappresenta per lei la recitazione?
È qualcosa della quale non riuscirei a fare a meno, che mi riporta sempre a sé. Come in un piano in disequilibrio ho un’attrazione gravitazionale nei confronti di questa forma d’arte. Ho sempre pensato che avrei fatto questo mestiere, non perché lo sentissi ma perché ne avevo la certezza, anche dopo avere deciso di non fare più l’avvocato ed essermi trasferito a Milano per frequentare una scuola di recitazione. Ho avuto anche un sacco di fortuna, ma questa va aiutata e per questo non ho mai mollato di un centimetro. E la cosa non è cambiata, a cambiare semmai è la percezione che ho di questo mestiere perché è trent’anni che lo faccio e grazie a Dio mi permette di condurre una vita agiata e serena”.      

Claudio Castrogiovanni: “Il processo di conoscenza di quello che è il mestiere dell’attore è un continuo ispezionare”

Intervista a Claudio Castrogiovanni cinematographe.it

Claudio Castrogiovanni è l’ispettore capo Spanò in “Vanina – Un vicequestore a Catania”

La recitazione è anche esplorazione di se stessi, degli altri e della natura umana. Cosa in questi anni ha avuto modo di scoprire grazie al mestiere dell’attore?
Penso che il fare l’attore ti porti a rivedere qualcosa che magari istintivamente nella vita reale non ci viene mai dato il permesso di rivelare. È ovvio che lontano dal set, dallo schermo o dal palcoscenico abbiamo le nostre barriere e difese. Il paradosso è che in scena bisogna abbandonarle queste ancore, veleggiando in mare aperto a rischio burrasca. E questo mi ha portato a scoprire tante cose di me, perché il processo di conoscenza di quello che è il mestiere dell’attore è un continuo ispezionare, essere reattivo a qualcosa piuttosto che a un’altra, essere curiosi rispetto a se stessi e agli altri, osservare per affrontare e comprendere il meccanismo di come funzionano i rapporti e la socialità. Questo per dire che noi attori facciamo un lavoro continuo quasi di terapia per arrivare a conoscerci”.

In più di un’occasione le sono stati affidati ruoli di persone realmente esistite. Come si avvicina a questa tipologia di personaggi e in che modo la responsabilizza?
Mi responsabilizza moltissimo e quando ciò accade io sono assolutamente rispettoso. Cerco il più possibile di leggere tra le pieghe delle parole dette e del modo in cui vengono dette. Quando ho lavorato su Luciano Liggio per la miniserie Il capo dei capi ho comprato e letto quindici libri che parlavano di lui e ho ascoltato le sue interviste. Allo stesso modo quando ho interpretato Tommaso Buscetta in diretta tv per le interviste impossibili di Michele Santoro mi sono andato a studiare le parti del processo e ascoltandolo ho compreso tantissime cose del suo non detto, cose molto diverse da quelle che normalmente venivano raccontate. Se penso invece al Nino Mangano de Il cacciatore di e su di lui non c’era nulla sul quale potermi documentare nonostante fosse un personaggio esistente. Nessuna intervista o foto, tanto che non sapevo nemmeno che faccia avesse. In casi come il suo mi affido all’istinto e agli strumenti del mestiere. E ricordo che poco prima della messa in onda della prima puntata ricevo una telefonata da Alfonso Sabella, il magistrato che aveva fatto arrestare tra gli altri Mangano, che mi diceva di avere visto in anteprima la puntata e che sembravo l’originale, al punto da arrivare a camminare come lui”.    

Claudio Castrogiovanni: “Ogni volta che si lavora a un personaggio bisogna cercare di andare a trovare le ragioni più profonde che per lui hanno un senso

Intervista a Claudio Castrogiovanni cinematographe.it

©Roberta Krasnig

In che modo gli studi di giurisprudenza e il praticantato da avvocato che l’hanno accompagnata nel percorso precedente alla decisione di iniziare a recitare l’hanno aiutata nel suo lavoro di attore?
Mi hanno aiutato ad addestrare il pensiero logico. Banalmente quando uno si trova a leggere una sceneggiatura deve in primis attuare un processo di deduzione di quello che non c’è scritto e comprendere quello che sta sotto le parole, perché è l’unico modo per capire come un personaggio si muove dentro le cose”.    

Per lei che molte volte ha interpretato figure malvagie, le cui azioni criminali e violente hanno provocato dolore e sofferenza al prossimo, come è riuscito umanamente a rappresentarle e a non giudicarle?
Il primo afflato che si ha è indubbiamente quello etico ed è legato all’educazione che ci è stata data sin da bambini e dai tabù che nel tempo ci si appiccicano addosso. La bussola con la quale hai informato la tua vita è ovvio che ti fa avvicinare o allontanare a quella data cosa. Motivo per cui è importante tenere bene a mente che ogni volta che si lavora a un personaggio bisogna cercare di andare a trovare le ragioni più profonde che per lui hanno un senso. Normalmente si tende a demonizzare il male soprattutto quando – come accade in televisione – viene rappresentato in maniera fascinosa e glamour. A me interessa più che altro raccontare quel momento in cui germoglia nel personaggio, perché è proprio in quel momento che giustifica tutto e rende chiaro ciò che l’attore deve fare per interpretarlo. Dunque occorre smettere di giudicare e cercare di risalire alla fase in cui questa cosa può rendere legittimo quello che il personaggio decide di fare”.

Claudio Castrogiovanni: “Mi auguro di avere la possibilità di poter scegliere sempre di più i progetti da fare, che mi permettano di esplorare e sperimentare cose nuove

Intervista a Claudio Castrogiovanni cinematographe.it

Claudio Castrogiovanni in “Circeo”

Ha mai avuto paura di rimanere ingabbiato in un dato personaggio?
Il nostro è un mestiere veramente difficile che ti espone e ti spinge a mettere in gioco la parte più intima, profonda e vulnerabile di te, che è strettamente connessa al rifiuto. Quindi a volte si ha paura a dire di no, ma l’ho fatto tutte quelle volte che ho ritenuto che quel dato ruolo potesse ingabbiarmi dentro quella zona di uomo malvagio oppure di siciliano tout court stereotipato. Ecco perché si cerca di instradare un percorso ed è quello che in questo momento con l’agenzia che mi segue stiamo provando a fare attraverso la ricerca di personaggi che possano raccontare altri aspetti che non siano necessariamente quello del cattivo o del soccombente. Faccio l’esempio del personaggio di Rocco Mangia, avvocato difensore di uno dei seviziatori, Angelo Izzo, che ho interpretato di recente nella miniserie Circeo. Si tratta di una figura controversa, che mi ha dato la possibilità di esplorare e lavorare su corde diverse da quelle fatte suonare in passato. Ed è sulla stessa linea che ci stiamo continuando a muovere in termine di scelte, vedi lo Spanò di Vanina o gli altri personaggi che da qui ai prossimi mesi arriveranno sugli schermi, come ad esempio il protagonista di Spiaggia di vetro di Will Geiger, un uomo distrutto da un grande dolore che cerca il perdono e di perdonarsi”.     

A che punto del percorso artistico pensa di essere e se c’è un upgrade che spera per il futuro?
Sono in continua ricerca perché se pensassi di essere arrivato sarebbe la fine. Sicuramente ho la consapevolezza che quello dell’attore è uno strumento che conosco sempre di più e che so usare al meglio. Mi diverte tantissimo cambiare e mi piace aderire il più possibile a quelle che di volta in volta sono le esigenze della sceneggiatura e del personaggio che sono chiamato a interpretare. La versatilità mi ha portato, soprattutto agli inizi, a fare moltissimo teatro e musical. La verità è che sul palcoscenico e anche in televisione mi sono state date molte più possibilità di esprimere le mie potenzialità, al contrario del cinema dove mi sento ancora inespresso. Gli ultimi impegni sul grande schermo in tal senso spero che mi aiutino a invertire la rotta. In generale, quello che mi auguro è di avere la possibilità di poter scegliere  sempre di più i progetti da fare, che mi permettano di esplorare e sperimentare cose nuove. So benissimo che questa è una velleità, ma al contempo sono una persona che non molla mai e ho sempre combattuto per conquistarmi le cose e i ruoli, dato che non sono un figlio d’arte. So con certezza, oggi, chi sono e lo so grazie a quello che è stato il mio costante lavoro”.