Il Cacciatore 3: recensione finale della fiction Rai con Francesco Montanari

La stagione della maturità, la più logorante per il magistrato interpretato da Francesco Montanari nella sua sfera pubblica quanto in quella privata: il terzo capitolo de Il Cacciatore chiude impeccabilmente l'ultimo bersaglio possibile di Saverio Barone.

Non si esagera nell’affermare che Il Cacciatore nelle sue tre stagioni è probabilmente una delle migliori serie made in Italy – fiction quasi sembra stonare – che raccontano la mafia e chi le dà la caccia, con una prospettiva nuova, fresca e diversa, dove nessun dettaglio è lasciato al caso e dove nessun personaggio, neppure quello appena arrivato, viene lasciato indietro solo per figurare e mettere carne al fuoco. Certo, il Saverio Barone di Francesco Montanari ha il suo posto speciale e d’onore e a rendere grande tutta la serie è proprio la sua, anche inaspettata, evoluzione. Ma la grande forza della terza stagione è quella di mostrare come l’esempio di un singolo possa dare linfa a tutti quelli che verranno, rendendo ancora iscritta a caratteri cubitali che “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Il Cacciatore 3 e l’evoluzione dei suoi protagonisti si può racchiudere perfettamente in queste parole di Giovanni Falcone.

Il Cacciatore 3: la trama dell’ultima puntata della terza stagione

Dopo aver riassaporato per poco una vita che non respirava da tempo, rimettendo in discussione le priorità della sua vita, Saverio (Francesco Montanari) sa che per lui è giunto il momento dell’ultima caccia. Consapevole di non poter prendere Bernardo Provenzano (Marcello Mazzarella), non vuole però uscire di scena senza aver preso un pesce grosso come Pietro Aglieri (Gaetano Bruno), sapendo di poter contare sempre sui suoi fidati compagni Francesca (Francesca Inaudi), Diego e adesso anche Paola Romano (Linda Caridi), sulla quale Barone confida per continuare il suo lavoro e completare la caccia dopo la sua dipartita dalla magistratura.
Intanto il giovane Davide, ormai secondino devoto a Pietro Aglieri, sta per compiere con un omicidio l’inizio del suo rituale per diventare un uomo d’onore, prezzo da pagare per poter ottenere insieme a Pietro da Provenzano il nome di chi fa le veci per loro a Roma, il cosiddetto “Gesù Cristo”. Tutto però non procede così liscio come Aglieri si aspetta e mentre si sente messo alle strette, non sa che Barone e Paola Romano sono sempre più vicini a lui e al suo casale in campagna.

Il Cacciatore 3: come uscire di scena senza troppo clamore, ma lasciando un segno indelebile

Il Cacciatore 3

Quando, nel 20218, Il Cacciatore andò in onda per la prima volta, destò immediatamente attenzione, soprattutto quella di un pubblico che non è abituato a frequentare la fiction Rai: la messa in onda su Rai Due in effetti indicava che questa serie doveva essere più vicina a prodotti come L’ispettore Coliandro e a Rocco Schiavone, con al centro un personaggio carismatico, singolare, con la sua ossessione da tenere a bada. Un prodotto che potremmo definire autoriale, più vicino nella confezione e nella manifattura ad una serie come Gomorra.

E infatti, chi ha visto tutte e tre le stagioni avrà chiaramente notato come pur restando fedele al suo stile di inquadrature ricercate – insidiose e ben calibrate anche con il linguaggio televisivo riconosciuto dallo spettatore medio – e ad una fotografia che nella terza stagione (la più poetica delle tre), si fa ancora più bella, pastellata e suggestiva,Il Cacciatore 3 mette da parte l’azione o quanto meno la rallenta. La scia inaugurata nella prima stagione da Stefano Lodovichi prosegue e si mescola a quella di Davide Marengo e di Fabio Paladini: ognuno di loro gioca a confondersi, ma ciascuno riesce a dare un suo taglio distintivo, e non è un risultato scontato.

L’ultimo atto di Barone in un perfetto equilibrio, dove nulla è lasciato al caso

Barone in questo suo ultimo atto, per noi ultimo capitolo, non perde il gusto della caccia ma la sua ossessione inizia a perdere mordente quando si accorge in un’operazione di lavoro a cui è stato costretto a prendere parte per tenere in piedi la sua copertura, che tutta la sua vita si è ridotta ad una caccia continua, estenuante, per sé, per gli altri, per il mondo. Ed è questo a rendere il personaggio umano, ricordandoci che dietro la maschera di Barone c’è una vita vera, quella di Alfonso Sabella: c’è un padre oltre che un magistrato, c’è un uomo, c’è un’anima che sente crollare il suo apparente equilibrio, tra la soddisfazione personale di chi ha fatto pagare a chi doveva pagare ma anche l’amarezza di aver perso e aver dovuto rinunciare per lungo tempo a capitoli preziosi di vita. Ed è una maturità e una presa di coscienza trasmigrata a più personaggi.

Non si lascia in secondo piano nulla però, neppure l’evoluzione criminale mafiosa, che abbandona il clamore, le stragi per chiudersi nel silenzio, operando per altre vie e altri attori seguendo l’evoluzione del tessuto economico e sociale. Il Cacciatore 3 è un equilibrio perfetto nella narrazione intimistica dei personaggi e dell’apparato criminale raccontato sempre oltre lo stereotipo: forma e contenuto si sincronizzano armoniosamente. Gli ascolti non hanno premiato forse come avrebbero dovuto l’ultima e terza stagione de Il Cacciatore, ma il suo rush finale è l’emblema perfetto di come riuscire a realizzare una serie di tre capitoli senza correre il rischio di annoiare o sentire qualcuno la frase Non ce n’era bisogno. Se ve la siete persa il nostro consiglio è di recuperarla: fiction Rai così fuoriclasse non capita spesso di vederle in circolazione.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.6

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